Condannato don Corradi. E ora su di lui incombe l’inchiesta bis
VERONA Colpevole di 6 pesantissimi capi d’accusa. Responsabile di violenze ai danni di bambini e ragazzi sordomuti dell’istituto Provolo di Luján de Cuyo (succursale argentina della sede madre di Verona) talmente gravi da essere punite con 42 anni di reclusione. Ma la condanna inflitta ieri dalla Giustizia argentina al sacerdote veronese Nicola Corradi equivale all’ergastolo, al «fine pena mai», per chi come lui ha già compiuto 83 anni.
Per l’anziano prete finito in arresto tre anni fa e tuttora detenuto ai domiciliari per ragioni d’età e di salute, il rischio era di un verdetto ancora più pesante: contro di lui, due settimane fa, dai banchi dell’accusa il procuratore Alejandro Iturbide aveva chiesto 45 anni di reclusione.
All’uscita dalla camera di consiglio, 24 ore fa, la seconda Corte penale collegiale composta dai giudici Carlos Díaz, Aníbal Crivelli e Mauricio Juan ha inflitto, oltre che 42 anni a Corradi, 45 anni (esattamente la pena chiesta dalla Procura) all’altro religioso imputato, Horacio Corbacho, mentre l’ex giardiniere Armando Gómez dovrà scontare 18 anni, a fronte dei 22 anni e 6 mesi di carcerazione sollecitati dall’accusa. Contro gli imputati, in totale, venivano ipotizzati 28 capi d’accusa per abusi sessuali e corruzione di minori aggravati dall’aver approfittato del proprio ruolo di educatori e dalla convivenza con le vittime al Provolo di
Luján de Cuyo. Nel dettaglio, 16 le imputazioni che vedevano coinvolto Corbacho, 6 Gómez e 6 Corradi, già sospettato nei decenni scorsi con altri religiosi delle presunte molestie denunciate da alcuni ex alunni del Provolo di Verona (indagine penale, quella, finita poi in archivio per prescrizione).
A difendere a Mendoza i tre imputati è l’avvocato Alicia Arlotta che, a coronamento di una lunghissima arringa che si è protratta per tre giorni, aveva invocato alla Corte «l’assoluzione o la dichiarazione di nullità del processo per violazione del diritto di difesa». Invece i giudici, a conclusione di un processo che aveva preso il via il 5 agosto scorso, hanno confermato con la loro sentenza il pugno di ferro giù usato dal procuratore nella requisitoria.
Ad attendere l’ultimo atto del processo, che in questi 4 mesi si è tenuto a porte chiuse ed è stato tradotto in tempo reale da interpreti della lingua dei segni, si erano radunate all’esterno con i loro parenti numerose vittime. «Questo dolore al cuore non guarisce. Ma vederli condannati mi fa credere nella giustizia», ha commentato colui che per primo, con la sua denuncia, ha rotto il silenzio e dato il via all’inchiesta: si tratta di un testimone protetto con problemi d’udito, ha 28 anni e una figlia piccola.
Un verdetto destinato a lasciare il segno, quello appena pronunciato dalla magistratura sudamericana, non solo per l’ammontare delle pene inflitte ma anche perché i giudici hanno imposto al Ministero della Salute di pagare le spese necessarie all’assistenza psicologica delle vittime e a quello dello Sviluppo sociale di garantire sussidi, formazione e tirocini lavorativi in modo che possano reintegrarsi nella società.
«In Italia ci sogniamo condanne così esemplari» è il commento di Francesco Zanardi, presidente dell ’ associazione Rete L’Abuso.
Quello andato in scena ieri in Argentina, è però solo il primo atto di due inchieste ben più ampie:quella
di Mendoza, che coinvolge 14 indagati tra cui una suora, e quella di La Plata, che vede nuovamente sotto accusa don Corradi insieme a un altro prete veronese del Provolo, don Eliseo Pirmati, di cui è stata chiesta all’Italia l’estradizione.
da Il Corriere del veneto del 26-11-19
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