Persino un orologio fermo segna l’ora esatta due volte al giorno, a meno che non sia quello del duomo di Savona che, malgrado i proclami di papa Francesco, sembra incapace di restituire dignità a questa diocesi e alle vittime dei suoi preti pedofili e dei vescovi che li hanno favoriti.
Nel giugno scorso, dopo un tentativo di conciliazione avanzato da cinque vittime di pedofilia e concluso con una proposta indecente del vescovo di Savona Caloggero Marino – avrebbe voluto indennizzarle, per le violenze subite, con l’istituzione di un numero verde gestito dalla diocesi, e non avrebbe neppure dato l’opportunità alle vittime di avere un’occupazione – gli avvocati della Rete L’ABUSO, Elena Peruzzini e Francesca Rosso, hanno citato in giudizio la diocesi savonese.
La citazione si riferisce al caso del sacerdote Nello Giraudo e agli abusi da lui commessi con il favoreggiamento dei vescovi, dal 1980 al 2000 circa, anche se l’ultimo abuso commesso da Giraudo risale al 2005. In quest’ultimo caso la vittima sarebbe già stata risarcita nel 2012, dopo che Giraudo patteggiò una condanna a un anno e sei mesi, per le molestie inflitte al giovane scout, all’epoca dei fatti quindicenne.
Dall’indagine della procura di Savona condotta dal pubblico ministero Giovanni Battista Ferro, emerse che le coperture della chiesa a tutela del sacerdote iniziavano nel 1980, lo stesso anno in cui don Giraudo prende i voti e quando una mamma di Valleggia denuncia, all’allora vescovo di Savona Giulio Sanguineti, molestie sessuali sul proprio figlio.
In un batter d’occhio Giraudo viene spostato, a soli 15 km da Valleggia a Spotorno, in una parrocchia ancor più gremita di minori, dove produrrà altre vittime.
Negli anni novanta, oltre che in diocesi, anche a Spotorno, le tendenze pedofile del Giraudo erano diventate di dominio pubblico, al punto tale che la stessa parrocchia e il nuovo vescovo, Dante Lafranconi, visti i precedenti del prete, ben catalogati negli archivi diocesani, ritenne di doverlo trasferire in un’altra parrocchia. Lo nominò parroco di un piccolo paesino sulle alture di Finale Ligure (SV), Orco Feglino, lontano da occhi indiscreti, dove con la benedizione dello stesso vescovo che lo aveva trasferito, aprì una comunità per minorenni in difficoltà nella quale per circa un decennio proseguì indisturbato la sua missione pastorale in alternanza con le sue perversioni.
L’atteggiamento criminale dell’allora vescovo di Savona, Dante Lafranconi, non passò inosservato agli inquirenti, che nel 2012 ne chiesero il rinvio a giudizio. Lafranconi si salvò grazie alla prescrizione, alla quale, per suo diritto e soprattutto volendo chiarire la propria posizione, avrebbe potuto rinunciare. Ma non lo fece.
Il Giudice del tribunale di Savona Fiorenza Giorgi, sulla base della documentazione emersa dalle indagini della procura, se pur costretta ad archiviare in quanto il reato era estinto, lo fece con parole durissime nei confronti dell’allora vescovo; “la disposta archiviazione nulla toglie alla pesantezza della situazione palesata dalle espletate indagini dalle quali è emerso come la estrema gravità delle condotte criminose del Giraudo non fosse stata per nulla considerata; dai documenti, perfettamente in linea con l’atteggiamento omissivo del Lafranconi, risulta – è triste dirlo – come la sola preoccupazione dei vertici della Curia fosse quella di salvaguardare l’immagine della diocesi piuttosto che la salute fisica e psichica dei minori che erano affidati ai sacerdoti della medesima e come principalmente (per non dire unicamente) per tale ragione l’allora vescovo di Savona non aveva esercitato il suo potere-dovere di controllo sui sacerdoti e di protezione dei fedeli. Altrettanto triste è osservare come, a fronte della preoccupazione per la “fragilità” e la “solitudine” del Giraudo e il sollievo per il fatto che “nulla è trapelato sui giornali”, nessuna espressione di rammarico risulta dai documenti agli atti a favore degli innocenti fanciulli affidati alle cure del sacerdote e rimasti vittime delle sue “attenzioni”.
Dopo la citazione in giudizio depositata dai legali della Rete L’ABUSO, passati i tempi tecnici durante i quali, soprattutto sulla base dei proclami del pontefice, ci si aspettava una concreta ed onesta presa di posizione delle diocesi proprio a consolidamento dei proclami, arriva la conferma che almeno a Savona, la linea resta quella negazionista ed irresponsabile, già consolidata dai predecessori del vescovo Caloggero Marino.
Per il difensore del sacerdote Nello Giraudo (l’avvocato Marco Russo) verrebbero messi in dubbio gli abusi perpetrati dal suo assistito e sosterrebbe che quanto affermato dal gip Fiorenza Giorgi nel decreto di archiviazione per il favoreggiamento alla pedofilia dell’ex vescovo Lafranconi, nello specifico caso non siano supportate da alcun elemento di prova.
Ancor più incredibile la posizione della diocesi, che non solo non ha alcuna intenzione di risarcire il dovuto alle cinque vittime, ma il vescovo Caloggero Marino, quasi non rendendosi conto, o forse facendo finta, lamenta di non essere stato lui vescovo all’epoca, ignorando di essere nominato in quella citazione non come responsabile dell’accaduto, ma semplicemente in quanto Ordinario in carica, della diocesi savonese.
Ad irritare ulteriormente è la farsa, il colpo gobbo che la diocesi ha messo in atto per manipolare i fedeli, nel tentativo di voltare questa lunga e tanto vergognosa pagina di chiesa savonese. Apprendiamo infatti (vedi volantino) che il 19 prossimo, naturalmente a Savona, la diocesi ha organizzato un incontro nel quale, nel tentativo di rassicurare chi ancora manda i propri figli incoscientemente in parrocchia, verrà illustrato come la CEI abbia messo in atto delle linee guida a tutela dei minori e delle persone vulnerabili.
Linee guida con le quali la chiesa da ad intendere che PREVEDE una tutela per i minori. In realtà non è rivolta a loro, ma semplicemente ad auto tutelarsi da eventuali “incidenti”, a fronte dei quali, però – come nel caso savonese e non solo – non PROVVEDE ad assumersi alcuna responsabilità o sostegno per le eventuali vittime, rinnegandole come in questo caso.
La linea criminale ed omissiva della chiesa cattolica emerge già dal pesantissimo report delle Nazioni Unite del 31 gennaio 2014, report al quale il Vaticano avrebbe dovuto rispondere entro il 1 settembre 2017, ma non lo ha ancora fatto oggi.
Lo stesso Motu proprio “VOS ESTIS LUX MUNDI”, recentemente emanato dal pontefice, come si può notare leggendolo, non prevede più alcuna indicazione o facoltà per i vescovi, di denunciare i crimini all’autorità giudiziaria, rendendo così ufficialmente la linea della chiesa, totalmente omissiva delle leggi civili.
Zanardi
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