La quinta parte dell’inchiesta di Panorama è dedicata a Don Luciano, riconosciuto colpevole di abusi ma difeso da grandi avvocati e dall’arcivescovo di Genova, Bagnasco
Un caso esemplificativo e kafkiano. Che Panorama è in grado di ricostruire grazie a documenti inediti. Com’è possibile che un pastore incolpato del peggiore dei peccati ottenga divina salvezza? Gli atti processuali concordano. Primo grado, Appello, Cassazione. Nei tre gradi di giudizio, i magistrati non hanno dubbi: Luciano Massaferro, «don Lu» per i fedeli, è colpevole di violenza sessuale su una chierichetta di 11 anni. La corte suprema, a luglio 2012, conferma la pena: sette anni e otto mesi, interdizione perpetua dai pubblici uffici e 200 mila euro di risarcimento alla vittima. Ma lo scorso febbraio il tribunale ecclesiastico ligure riabilita completamente il prete: «Non consta che abbia commesso i delitti a lui ascritti».
Alassio, Pasqua 2009. È primavera, ma la riviera di Ponente già ribolle dal caldo. Don Lu è il parroco di San Vincenzo e il responsabile della pastorale giovanile scolastica della diocesi di Albenga. S. è invece una turbolenta chierichetta. Come ogni anno, in questo periodo il sacerdote inforca il suo scooter per portare la benedizione alle famiglie. E un pomeriggio si fa accompagnare proprio da S. Quel giorno, ricostruiranno i giudici, abusa per tre volte della giovane undicenne.
La prima volta accade in sella al motorino. Don Lu chiede alla ragazzina, seduta dietro, di toccarlo proprio lì: per fare andare la Vespa più veloce. Il secondo episodio avviene mentre, dalle colline, ritornano ad Alassio. Il prete porta la chierichetta nel suo orto: dentro il capanno degli attrezzi, lo costringe a masturbarlo. L’ultima violenza, invece, si compie nella biblioteca della canonica di San Vincenzo: il parroco spoglia S. e le tocca il seno.
La ragazzina tace fino a luglio 2009. Solo durante un campo estivo della chiesa, racconta tutto a quattro amichette. Le bimbe ne parlano con i genitori. La voce gira. E arriva anche alla madre e al nonno di S., che organizzano un incontro con Don Lu. Il sacerdote nega tutto e li minaccia, riferiranno i due agli inquirenti. Gli intima di stare attenti: lui, a differenza della loro famiglia, è molto stimato. Ci sarebbero decine di avvocati della curia ben lieti di difenderlo in un eventuale processo. Ma i parenti della ragazzina non hanno nessuna intenzione di metterlo nei guai. Anzi, decidono perfino di seguire il consiglio del prete: portare S. da uno psicologo. Un suggerimento che, per Don Lu, si rivelerà però nefasto.
Gli specialisti del Gaslini di Genova ascoltano il racconto della chierichetta. E lo considerano talmente fondato e realistico da denunciare i fatti all’autorità giudiziaria: a insaputa della famiglia di S., che avrebbe evitato quest’onta al sacerdote. La procura di Savona comincia a indagare. E il 29 dicembre 2009 arresta il parroco di San Vincenzo. I fedeli e la curia sono increduli. «La notizia desta molto stupore, perché le accuse fatte sembrano inverosimili» dichiara il vescovo di Albenga, Mario Oliveri. «Don Massaferro è da ritenersi innocente fino a prova contraria».
I magistrati sentono decine di persone. Il 12 marzo 2010 convocano anche una suora: C.A. La donna riferisce un «episodio ambiguo», così lo definiranno i giudici, accaduto qualche mese prima: in sacrestia avrebbe visto un bambino tra le gambe del prete sotto inchiesta. «Una posizione anomala, difficilmente compatibile con un gioco» chiarisce la sorella. «Ebbi pure la netta impressione che don Luciano avesse le mani infilate nella tuta di M. e che il ragazzo avesse una gamba nuda». C.A. aggiunge un altro particolare: «Due anni fa la parrocchia organizzò una gita a Lourdes e M. avrebbe dovuto condividere la stanza con don Luciano. Ricordo che la mamma del bambino mi disse che una sua conoscente l’aveva messa in guardia, dicendole: “Fai dormire tuo figlio con un pedofilo?”. Ma lei non gli aveva dato retta».
Ai pm la suora spiega di aver informato Giorgio Brancaleoni, allora vice vescovo di Albenga: «Lui mi ha creduto, però mi ha detto di non farne parola con nessuno». Qualche giorno più tardi, il 16 marzo 2010, i magistrati chiedono conferma a don Brancaleoni: «Era turbata da questo fatto» ammette, riferendosi alla confidenza della monaca. «Mi disse di temere che io o altri della parrocchia potessimo esporci troppo nella difesa di don Luciano. Io la rassicurai dicendole che avrei parlato di questa cosa con il vescovo». Quanto alla presunta richiesta di tacere, minimizza: «Le dissi solo di usare cautela».
Le testimonianze della suora e del monsignore, trascurate dai giudici di primo grado, sono inedite. E pongono nuovi interrogativi. Di certo, però, il vescovo vicario non diede molto peso alla segnalazione della religiosa. Poco più di un mese dopo la sua deposizione, il 26 aprile 2010, organizza ad Alassio una partecipata veglia di preghiera per Don Lu. C’è lui alla testa di un migliaio di fedeli in corteo. A una giornalista di Repubblica Genova, spiega: «Ho l’intima convinzione che questo sacerdote sia innocente. Vogliamo fargli sentire che non l’abbiamo abbandonato. Noi sappiamo che è stato un bravo prete». E se alla fine risultasse colpevole? «Ci inginocchieremmo a chiedere il perdono della vittima». Un atto di penitenza che però la curia non farà mai. Anzi.
A febbraio 2011 il Tribunale di Savona condanna il religioso alassino: sette anni e otto mesi di reclusione; interdizione perpetua dai pubblici uffici, scuole e strutture frequentate da minori; risarcimento di 200 mila euro alla parte civile. «L’istruttoria dibattimentale» conclude la sentenza «ha dato piena conferma della consumazione dei fatti così come contestati». A novembre 2011 la Corte d’Appello di Genova conferma la decisione: «Emerge piena prova della penale responsabilità dell’imputato». A luglio 2012 la Cassazione rigetta tutti e sette i punti del ricorso presentato dai legali del parroco: sono infondati. La condanna diventa definitiva. E il risarcimento? «Abbiamo avuto solo poche migliaia di euro, dopo aver chiesto il pignoramento del quinto dello stipendio che l’Istituto sostentamento del clero dava al prete» spiega l’avvocato della ragazzina, Mauro Vannucci. «Ma il sussidio, dopo qualche mese, è stato sospeso».
Eppure Don Lu è stato difeso da un penalista di vaglia: Mauro Ronco, presidente dell’ordine degli avvocati di Torino. Mentre il ricorso in Cassazione è stato discusso in aula dal più blasonato dei principi del foro italiani: Franco Coppi. Difficile che i due legali abbiano lavorato pro bono. Improbabile che le loro parcelle siano state saldate da un umile pastore. Così gli indizi condurrebbero alla diocesi di Albenga o, comunque, a un’istituzione religiosa. Per questo, il difensore di S. ha chiesto il pagamento di quanto dovuto dal prete al vescovo Oliveri. Invito poi reiterato al suo successore, Guglielmo Borghetti. Entrambi si sarebbero sfilati. «Si sono limitati a dire che avrebbero pregato per la ragazza» sostiene Vannucci. Che comunque adesso non esclude un’azione civile nei confronti della curia di Albenga.
Giustizia, dunque, è fatta. O quasi. A febbraio 2018 proprio monsignor Borghetti comunica la «sentenza canonica di assoluzione» su Don Lu: «Deve essere completamente riabilitato, in quanto non consta che egli abbia commesso i delitti a lui ascritti». Il prete può «tornare a celebrare pubblicamente la messa e i sacramenti della vita cristiana». Disposizione con mal si concilia con le interdizioni perpetue imposte dalla giustizia penale.
La decisione arriva dopo più di quattro anni di processo canonico. Normalmente, sui preti sospettati di pedofilia, le indagini sono svolte dalla Congregazione per la dottrina della fede. Stavolta, invece, nel 2013 il caso è affidato a un «giudice delegato»: l’allora presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Bagnasco. Il «capo» dei vescovi è coadiuvato da due «assessori officiali» del Tribunale ecclesiastico regionale ligure. Che, al termine di un procedimento «meticoloso e puntuale» conclude: don Lu è innocente. La bambina, quindi, s’è inventata tutto. Al contrario, nel 2011, la Corte d’Appello di Genova scriveva: «S. non nutriva alcun astio nei confronti del suo parroco, ma gli era affezionata… Non si vede per quale motivo possa aver architettato accuse infondate, consapevole del rischio di perdere chi le offriva una vita più serena».
Bagnasco, però, spiega: «Mi risulta che siano state fatte tutte le procedure previste canonicamente e giuridicamente per il reintegro. Se si è arrivati a questa sentenza, sicuramente ci sono ampie motivazioni». L’arcivescovo di Genova aggiunge: «L’augurio è che, ripristinata la verità, secondo le procedure previste giuridicamente, lui possa essere sereno in ciò che potrà fare da sacerdote, nei limiti delle possibilità previste».
Insomma, la giustizia divina ha «ripristinato la verità». Eppure la diocesi di Albenga, visti i reiterati scandali, nel 2016 viene perfino commissariata da Papa Francesco. Pedofilia, omosessualità, supposte ruberie: la curia più chiacchierata d’Italia. Un florilegio di maldicenze. Una sterminata aneddotica. Che comprenderebbe anche la canzonatura dell’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, a un poco accorto prelato ligure: «Sei di Albenga, figliolo? Allora sei perdonato…».
https://www.panorama.it/news/cronaca/chiesa-abusi-giustizia-inchiesta/
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