Der Spiegel, Germania
Subito dopo la sua elezione papa Francesco aveva promesso un cattolicesimo più aperto e rinnovato. Ma oggi, dopo i numerosi scandali per gli abusi sessuali, il Vaticano attraversa una delle crisi più gravi della sua storia
Il terremoto che sta scuotendo la Città del Vaticano è quasi impossibile da avvertire al suo epicentro. Dietro le alte mura che cingono lo stato della chiesa cattolica regna il silenzio. Nella residenza del papa – la Casa santa Marta – le tendine sono tirate. Una guardia svizzera sorveglia l’ingresso, un gendarme si occupa dei controlli. Il centro nevralgico della chiesa mondiale somiglia a una fortezza. Solo a porte chiuse cardinali e arcivescovi sono disposti a parlare degli eventi che stanno scuotendo le fondamenta della chiesa. Si tratta in primo luogo delle migliaia di abusi sessuali commessi da sacerdoti in ogni parte del mondo.
Ma si tratta anche, e sempre più, di papa Francesco. Lui, che ha esordito come brillante riformatore, minaccia di giocarsi l’autorevolezza parlando spesso nel momento sbagliato e tacendo quando sarebbe importante parlare. Un anziano cardinale della corte di Francesco denuncia menzogne e intrighi, e tuona contro “un santo padre che mette in discussione le verità della fede come nessuno dei suoi predecessori”. Sono passati meno di sei anni da quando Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, è stato eletto 266° successore di Pietro.
Fin dall’entrata in carica è stato osannato come una figura luminosa, come un papa che avrebbe potuto imprimere a una chiesa retrograda un carattere al passo con i tempi. Oggi invece il gregge sembra sfuggire al controllo del suo capo spirituale. Forse alla fine si avvererà quello che, secondo alcuni testimoni, Francesco avrebbe detto davanti a una ristretta cerchia di persone: “Non è escluso che io passi alla storia come colui che ha creato una frattura nella chiesa cattolica”. In questi giorni si parla della crisi più grave dell’attuale pontificato e di una “guerra civile” tra i fedeli che non si limita a contrapporre i conservatori contrari a Francesco ai progressisti che lo sostengono. Oggi le critiche arrivano soprattutto da cerchie conservatrici degli Stati Uniti, dove si avanza il sospetto che il papa argentino abbia protetto una rete di prelati omosessuali, di fatto rendendosi complice di migliaia di abusi. Ma l’accusa più pesante – e finora non smentita – è che Francesco abbia, contro ogni ragionevolezza, riabilitato un molestatore seriale, il cardinale statunitense Theodore McCarrick (nel frattempo sospeso), e gli abbia affidato delicate missioni diplomatiche. L’accusa arriva dall’ex nunzio apostolico a Washington, Carlo Maria Viganò, che ha anche chiesto le dimissioni di Francesco.
“Su questo non dirò neanche una parola”, ha dichiarato il papa. Proprio lui, che in altri casi è pronto a esprimere un’opinione, su questo punto è rimasto fedele alla sua linea: tacere sui temi spinosi. È stato così quando quattro cardinali che lo sospettano di diffondere errori dottrinali hanno espresso dubbi sul suo pontificato. È stato così anche ad agosto, quando trentamila donne cattoliche hanno scritto una lettera aperta che chiedeva di conoscere la verità sugli abusi. Ma Francesco preferisce non affrontare l’accusa secondo cui fin dal giugno 2013 era a conoscenza degli abusi di McCarrick.
Francesco aveva una certa familiarità con questo cardinale statunitense. Quando McCarrick, orgoglioso di poter ancora andare in missione a 84 anni per conto del papa, ha detto: “A quanto pare il Signore ha ancora un po’ di lavoro da farmi fare”, sembra che Francesco abbia ribattuto beffardo: “Può anche darsi che il diavolo non avesse ancora pronta la sua camera”.
Questo papa spesso incline alle chiacchiere e agli scherzi continua a irritare l’élite vaticana, così attenta al rigore dei contenuti e alla severità delle forme. “Fin dall’inizio non ho mai creduto a una parola di questo Francesco”, dice un cardinale di grande esperienza, che preferisce restare anonimo, all’interno delle mura vaticane. “Predica la misericordia, ma in realtà è freddo e scaltro, direi macchiavellico. E – cosa peggiore – bugiardo”.
Quando mai si è sentito parlare così di un successore al soglio di Pietro? Di una personalità a capo di 1,3 miliardi di fedeli, che esercita la sua sovranità assoluta su un’istituzione sopravvissuta a tanti regni e imperi e che continua a opporsi alla globalizzazione? In Francesco riposano le speranze di chi attribuisce a questa chiesa il compito di conciliare passato e futuro. Quello che sognano un ruolo più forte per le donne, il sacerdozio per gli omosessuali, ma anche più ecumenismo, più misericordia e meno fasto. Se Francesco fallisce, non finirà male solo il pontificato di un papa venuto dall’America Latina.
In effetti i problemi non mancano. Lo studio di 356 pagine commissionato dalla conferenza episcopale tedesca sugli abusi sessuali ai danni di minori, di cui Der Spiegel ha fornito alcune anticipazioni, è stato presentato ufficialmente dal cardinale Reinhard Marx il 25 settembre 2018. Quelle pagine documentano in modo sconvolgente gli abusi. Secondo gli autori non c’è motivo di pensare che “gli abusi sessuali commessi da esponenti del clero cattolico nei confronti di minori siano un problema limitato al passato e ormai superato”.
Sotto la pressione delle allarmanti notizie provenienti dalla Germania, il papa ha indetto per febbraio del 2019 un incontro tra i presidenti di tutte le conferenze episcopali nazionali sul tema degli abusi. Dovranno insomma trascorrere altri due mesi prima che gli alti prelati cattolici si riuniscano a Roma. Parliamo di quelle stesse eminenze ed eccellenze che, in virtù della loro posizione di potere, spesso costituiscono il problema, non la soluzione.
Chi ascolta con attenzione la base della chiesa cattolica sente forti borbottii nel ventre di questa potente comunità che ha radici in tutto il mondo. Un viaggio alla ricerca delle vittime di abusi ha portato i giornalisti di Der Spiegel nello stato americano della Pennsylvania, tra le vittime argentine e nell’arcidiocesi del cardinale Reinhard marx, un amico intimo di Francesco. In questi posti si parla apertamente del “problema sistemico” e della “crisi spirituale” della chiesa.
Ma i nostri giornalisti sono andati anche nell’epicentro del terremoto, a Roma, dove vescovi e cardinali hanno detto cosa pensano del sistema di potere della curia. Secondo uno di loro, in particolare , in Vaticano regna un “clima di paura e di insicurezza”.
Buenos Aires, Argentina
Ultimamente il papa viaggia molto. Dal 22 al 25 settembre è stato in Lituania, Lettonia, ed Estonia. Finora, però, Francesco non è mai andato nel suo paese, l’Argentina. “Ci chiediamo perché”, si sente dire tra i suoi collaboratori. Secondo l’avvocato Juan Pablo Gallego, la risposta è semplice: “A Roma Francesco è in esilio. Ci si è quasi rifugiato, perché in Argentina dovrebbe innanzitutto allontanare il sospetto di aver coperto per anni persone che hanno abusato di minorenni”. Gallego è il più famoso difensore delle vittime argentine di abusi sessuali da parte del clero cattolico. Riceve gli assistiti nel suo studio legale, nel centro di Buenos Aires. Chi vuole conoscere i punti oscuri del passato di Bergoglio, dice Gallego, deve occuparsi anche dell’ascesa e della caduta di Julio Cesar Grassi, un sacerdote in carcere dal 2013 per aver abusato di ragazzi di età compresa tra gli undici e i 17 anni. Prima di diventare papa, Bergoglio è stato il confessore di Grassi e, secondo Gallego, ha fatto anche realizzare uno studio di 2600 pagine che doveva contribuire a scagionare Grassi e a criminalizzare le vittime.
“Nel 2006 ebbi un colloquio con Bergoglio”, dice Gallego. “Era chiuso, severo e diffidente, e non ha detto una parola sul fatto che i difensori di Grassi erano pagati dalla chiesa. L’immagine attuale, quella di un papa aperto e simpatico, non corrisponde a quella dell’uomo che mi trovai davanti in quell’occasione”. Gallego si lamenta del fatto che nessuno dei suoi assistiti è mai stato invitato in Vaticano: “Perché Francesco, invece di ricevere quelle vittime ha preferito accogliere Lionel Messi?”.
Julieta Añazco è una delle vittime che finora non è stata ricevuta dal papa. Questa donna minuta è originaria di La Plata, una città di circa un milione di abitanti non lontana da Buenos Aires. In questo pomeriggio di fine estate siede con noi in un caffè e si sforza di trattenere le lacrime. Aveva sette anni quando trascorse per la prima volta le vacanze estive con gli scout della sua parrocchia, nei dintorni di La Plata. Nel campo c’era una tenda dove il sacerdote Ricardo Giménez confessava i bambini. Solo in seguito Julieta seppe che quel prete era stato trasferito. Circolavano voci che nel suo precedente posto di lavoro avesse abusato di minorenni. In quella tenda Giménez, un ometto grasso con gli occhi da pesce lesso, fece sedere Julieta a gambe larghe sulle sue ginocchia. Quindi la bambina avvertì le dita del prete sulla pelle e poi sentì che la penetravano. Ricorda ancora l’odore della guancia di lui contro la sua. Ancora oggi, a quarant’anni di distanza, le viene da piangere quando ne parla.
All’epoca Añazco non disse niente ai genitori, perché si vergognava. In seguito andò da uno psicologo, ma poi abbandonò la terapia perché non riusciva ad aprirsi. Oggi però, insieme ad altre vittime della Rete dei sopravvissuti agli abusi dei sacerdoti, parla apertamente di quello che le successe. Ha ancora davanti agli occhi quelle immagini rimaste sepolte dentro di lei per tanto tempo: le immagini delle confessioni sotto quella tenda.
Nel 2013, quando Bergoglio era papa da poco, Julieta Añazco e altre tredici vittime di Giménez hanno scritto in una lettera quello che gli era successo. In seguito agli abusi alcuni avevano sofferto di depressione, altre avevano tentato il suicidio o erano diventate tossicodipendenti, mentre Giménez continuava a celebrare la messa e a occuparsi di bambini. Le vittime hanno spedito la lettera all’indirizzo “Papa Francisco, Vaticano” nel dicembre 2013. Tre settimane dopo ricevettero la conferma che era arrivata a destinazione, poi più niente. Giménez è stato trasferito in una casa di riposo, dove ancora oggi si presenta ai giornalisti in abito sacerdotale. È rispettato e continua a dire messa.
Molte delle vittime di abusi residenti a Buenos Aires avevano già chiesto aiuto a Bergoglio quando era ancora cardinale, ma nessuna era stata ricevuta. Ora Julieta Añazco e altre esigono che i loro aguzzini siano processati nei tribunali ordinari. In Argentina ci sono 62 procedimenti giudiziari in corso contro sacerdoti cattolici, e secondo alcuni le vittime sono migliaia. Ma i sacerdoti continueranno a restare in silenzio, dice Añazco: la chiesa non fa niente per denunciare lo scandalo e cerca di mettere tutto a tacere. “Per noi è difficile, perché nessuno ci crede. Vorremmo andare dal papa, ma lui ci ignora”.
Mentre parliamo con Julieta Añazco, all’altro capo della piazza i gradini della grande cattedrale si riempiono lentamente di persone. Decine di studenti si sono riuniti qui per annunciare tutti insieme al vescovo la loro uscita dalla chiesa cattolica, anche per via dello scandalo degli abusi. Quello che, visto da lontano, sembra solo un episodio che coinvolge molte persone, ha un valore simbolico: è un’istantanea scattata nel paese del papa nel settembre 2018 e mostra giovani donne e uomini che si allontanano dalla fede cattolica.
Roma, Italia
I giornali italiani fanno a gara avanzando ipotesi ai limiti dell’incredibile. L’ex nunzio pontificio Viganò avrebbe in casa valigie piene di materiali compromettenti. E in Vaticano, a quanto pare, si parla dell’imminente esplosione di una “bomba atomica”. Un influente padre gesuita, Antonio Spadaro, ribatte che le accuse contro Francesco sono una “farsa” e resteranno senza conseguenze, perché “questo papa trae energia dai conflitti”. Ma al momento sembra proprio che l’uomo di Buenos Aires difficilmente potrà portare a termine il pesante compito di smantellare il potente e a volte arrogante apparato di governo della curia, mettere ordine nelle finanze vaticane e allo stesso tempo trovare risposte inattaccabili sul piano dogmatico alle questioni morali e di fede del ventunesimo secolo. Francesco vuole democratizzare la chiesa cattolica e renderla meno centralizzata. Vuole che la chiesa pensi in modo aperto e in linea con la realtà sociale contemporanea. Ma secondo i suoi avversari, la dottrina cristiana non può lasciarsi guidare dalla realtà sociale: l’unico metro di misura sono la vita e le opere di Gesù Cristo. Un papa non deve puntare alla creatività, ma alla continuità, dicono.
Francesco ha più di un punto debole. Da anni tuona contro il capitalismo globale ma, come del resto i suoi predecessori, ha accettato milioni dal cardinale McCarrick (ora caduto in disgrazia), raccolti con le offerte. E ancora: esalta il valore della famiglia tradizionale, ma si circonda di consiglieri e collaboratori che danno l’esempio contrario, visto che convivono, in modo più o meno palese, con persone dell’uno o dell’altro sesso.
Il giornale Il Fatto Quotidiano afferma di essere in possesso di un elenco che a suo tempo fu consegnato da papa Benedetto XVI a Francesco nella residenza di Castel Gandolfo. L’elenco, scritto su carta intestata della Città del Vaticano, contiene i nomi di presunti esponenti di una “lobby omosessuale”, una rete che avrebbe un grande potere ricattatorio e una forte influenza in Vaticano.
Insomma, Francesco ha ancora il controllo della situazione? Ormai a criticarlo non sono più i circoli ultraconsevatori collegati tra loro in tutto il mondo. Questi cattolici temono che Francesco ammetta alla comunione i protestanti e mal digeriscono che faccia la lavanda dei piedi a una musulmana o che accusi alcuni vecchi esponenti del Vaticano di perdere colpi. I segnali di allarme arrivano anche dalla cerchia interna: “Il papa e i suoi fedelissimi sono visibilmente nervosi”, dice l’esperto vaticanista Edward Pentin. “Sono convinti che ci sia un complotto dei conservatori per sbarazzarsi di Francesco. Da questo punto di vista il suo problema principale è che non ascolta chi non la pensa come lui. E queste persone si vendicano”.
Hagamos lìo, “facciamo un casino”, era il motto di Bergoglio ai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires. Ora che è papa, continua a seguire lo stesso principio, mettendo in discussione certi dogmi, ignorando procedure collaudate e disdegnando alcuni obblighi cerimoniali. “Francesco è bravissimo a mettere le cose in movimento”, sostiene un prelato tedesco. “Ma tutto questo non produce risultati se alla fine si limita a dare degli scossoni”. Qualche esempio? Per quanto riguarda l’ipotesi di ammettere alla comunione anche i coniugi protestanti di fedeli cattolici, il papa ha incoraggiato il cardinale tedesco Marx a fare un gesto di apertura pionieristico sotto il profilo ecumenico, ma poi – in seguito alle proteste dei conservatori – ha fatto marcia indietro, lasciando ogni decisione alla volontà dei vescovi tedeschi.
Ancora più sconcertante è la condotta del papa nell’ambito in cui la credibilità della chiesa è più in gioco, cioè nel modo di affrontare gli abusi sessuali sui minori commessi da sacerdoti. Il tribunale speciale annunciato nel 2015 e destinato a giudicare i vescovi sospettati di aver coperto gli abusi fino è rimasto lettera morta. Nel 2017 l’irlandese Marie Collins (in passato vittima di abusi) si è dimessa, tra le proteste, dalla Pontificia commissione per la tutela dei minori, parlando di “belle dichiarazioni pubbliche contraddette dai fatti in privato”.
Può darsi che il papa abbia drammaticamente sottovalutato la misura della decadenza morale all’interno della chiesa: la cultura generalizzata “dell’abuso e dell’omertà”, come la chiama lui. Ma può darsi anche che voglia chiudere gli occhi davanti a indizi di reati commessi dai suoi fedelissimi, perché è interessato a salvare questo cardinale o quel vescovo per motivi politici.
Tre dei nove componenti del Consiglio dei cardinali, il cosiddetto C9 istituito da Francesco, sono sospettati. L’australiano George Pell, signore delle finanze vaticane e numero tre della gerarchia della Santa Sede, dal 1 maggio 2018 è sotto processo nel suo paese. Sembra che molti anni fa abbia abusato di minori, ma i suoi sostenitori dicono che è un pretesto per sbarazzarsi di un cardinale malvisto per aver lanciato l’allarme sulla giungla delle finanze vaticane. Oscar Andrés Rodrìguez Maradiaga, uno dei più stretti collaboratori del papa, è nell’occhio del ciclone da quando sono state diffuse delle notizie sugli scandali sessuali che sarebbero avvenuti nella sua diocesi in Honduras; anche un vescovo ausiliario che era un suo protetto è sotto accusa. Inoltre Maradiaga, seguace della “chiesa dei poveri” sostenuta da Francesco, è stato accusato da un giornalista italiano di aver intascato quasi 660mila dollari nel 2015, quando era gran cancelliere dell’università cattolica di Tegucigalpa. Lui sostiene che quei soldi sono andati tutti alla sua diocesi. Infine il cardinale cileno Francisco Javier Erràzuriz Ossa è accusato nel suo paese di aver coperto i crimini del sacerdote Fernando Karadima. Solo molto più tardi il capo della chiesa ha ammesso “gravi errori” e ha chiesto perdono.
Ingenuità, faccia tosta o mancanza di alternative? Perché Francesco, salutato come riformatore anche – o forse soprattutto – in ambienti lontani dalla chiesa, si circonda di uomini che con la loro condotta incarnano molte delle cose che lui stesso condanna?
Nasce il sospetto che la scelta di mantenere al loro posto prelati molto discussi sia dovuta a un misto di disinteresse e malinteso spirito di corpo. Francesco deve affrontare casi molto diversi tra loro. Ci sono i fedeli omosessuali le cui inclinazioni, secondo la dottrina cattolica, “non sono in sé peccaminose”, ma “rappresentano condotte malvagie se considerate sotto il profilo morale”. Poi ci sono i sacerdoti che violano il loro voto di castità e il celibato, e infine gli uomini che, come il cardinale McCarrick, abusano di minorenni.
Corrono voci sul caso di uno dei fedelissimi di Francesco, un cardinale che fino alla primavera del 2018 lavorava nel palazzo della Congregazione per la dottrina della fede come responsabile della stesura di testi legislativi e del trattamento riservato ai colpevoli di reati sessuali. Questo cardinale non avrebbe messo fine a certe attività del suo segretario, a cui era stato concesso, secondo direttive dall’alto, un lussuoso appartamento. Nel 2017 la gendarmeria vaticana lo ha arrestato irrompendo nel bel mezzo di una “battaglia a palle di neve” (un festino a base di cocaina riservato a dipendenti del Vaticano) in compagnia di omosessuali. I gendarmi lo hanno preso di peso e trasportato in una clinica per la disintossicazione.
Poi c’è il direttore della foresteria della Casa santa Marta, dove risiede il papa. Si è distinto come uomo del Vaticano in Uruguay, dov’era arrivato insieme a un ex ufficiale della guardia svizzera a cui era legato da una relazione. All’inizio del 2001 è stato picchiato in un locale per incontri gay ed è stato messo in salvo da alcuni sacerdoti. Ma è agli atti anche un episodio in cui, a Montevideo, il tecnico arrivato per riparare un ascensore guasto ci ha trovato dentro il diplomatico in compagnia di un ragazzo. Eppure Francesco nel 2013 l’ha nominato “prelato”, cioè supervisore dello Ior, la banca del Vaticano.
Infine c’è don Mauro Inzoli, soprannominato “don Mercedes” a causa della sua passione per le auto di lusso. Tolto di mezzo da Benedetto XVI per abusi sui minori, nel 2014 è stato in parte riabilitato da Francesco, nonostante l’opposizione dell’allora prefetto per la dottrina della fede, il cardinale tedesco Gerhard Mueller. Poco tempo dopo Inzoli è stato condannato a quattro anni e sette mesi di carcere in seguito a decine di “episodi” con ragazzi giovanissimi. Il papa ha commentato così: “Questa vicenda mi ha insegnato a non fare più simili errori”. Quella promessa risale all’autunno del 2017. Neanche un anno dopo scoppiava il caso del cardinale McCarrick.
Diocesi di Erie, Pennsylvania
Lawrence Persico, 67 anni, sembra provato. Dal 2012 guida la diocesi di Erie, nello stato della Pennsylvania, sull’omonimo lago poco distante dal confine tra gli Stati Uniti e il Canada. A bassa voce, visibilmente ansioso di mostrarsi calmo, il vescovo ci dice che la crisi della chiesa cattolica non è mai stata così evidente: “Siamo nel bel mezzo di un uragano”.
Quello che è emerso ad agosto dal rapporto di un gran giurì va al di là di ogni immaginazione. Nel documento si parla di abusi commessi per decenni in sei delle 197 diocesi cattoliche statunitensi. Almeno trecento sacerdoti avrebbero abusato di più di mille minori. Si parla di stupro, di bambini incatenati dentro i confessionali, di un ragazzo fotografato nella posa di un crocifisso. Si descrive lo stupro di cinque suore. Si dice che le vittime designate erano segnalate ai violentatori da ciondoli d’oro a forma di crocifisso.
Com’è possibile che un sacerdote della diocesi di Erie abbia abusato di numerosi ragazzini e nonostante tutto sia stato ringraziato dal suo vescovo “per quanto ha fatto per il popolo di Dio”? Com’è possibile che un altro sacerdote, che aveva violentato almeno 15 ragazzi da quando avevano sette anni, sia stato elogiato dal suo vescovo come “uomo retto e limpido”? La diocesi di Persico è una delle sei finite sotto inchiesta. Tra i presunti violentatori – molti dei quali sono ancora in vita – 41 venivano da Erie. Cosa distingue il vescovo Persico dai suoi colleghi? Il fatto che lui fin dall’inizio ha accettato di rendere pubblica la verità. Ha aperto un’indagine interna quando gli inquirenti erano ancora occupati nell’istruttoria. Ha parlato con le vittime e altre persone coinvolte nella vicenda e ha incaricato uno studio legale di verificare le accuse. Già nell’aprile 2018 Persico ha pubblicato sul sito della diocesi i nomi dei primi sospetti: 34 parroci e 17 collaboratori “accusati in modo credibile” di aver commesso personalmente abusi sessuali o di esserne stati a conoscenza e di aver taciuto. Nell’elenco di Persico c’è anche il nome di uno dei suoi predecessori, il vescovo Alfred Watson, che ha guidato la diocesi fino al 1982. Watson avrebbe detto a un sacerdote visto in compagnia di un bambino mezzo nudo: “Va’ a casa e sii un buon parroco”.
A quel punto Persico si è messo a disposizione degli inquirenti come testimone ed è stato l’unico vescovo a presentarsi spontaneamente davanti al gran giurì. “La trasparenza è una cosa positiva solo se la si segue”, ci dice Persico ricevendoci nella sala riunioni della diocesi. Il vescovo ha anche fatto installare una linea telefonica dedicata alle vittime di abusi, riceve tutte le persone coinvolte e cerca di riparare torti fondamentalmente irreparabili.
Sharon Tell aveva dodici anni quando fu toccata per la prima volta da James McHale, parroco della cittadina di Bethlehem, a più di cinquecento chilometri dalla sede diocesana. McHale si era occupato della madre di Sharon quando la donna era in ospedale. In seguito andava spesso a trovare la famiglia e veniva invitato in occasione di compleanni e altri festeggiamenti. Una volta andò addirittura in vacanza insieme ai Tell e nei fine settimana dormiva a casa loro. Sharon, che oggi ha 66 anni, dice che all’epoca i suoi genitori si fidavano del prete e che continuarono a non sospettare niente neanche quando cominciò a entrare di sera nella sua cameretta.
Gli abusi cominciarono furtivamente. La prima volta McHale l’accarezzò attraverso il pigiama, le prese la mano e se la posò sui genitali. Sharon fece finta di dormire: non immaginava neanche che quello sarebbe stato l’inizio di vent’anni di abusi. Il sacerdote la violentò per la prima volta quando compì 18 anni, ma passarono decenni prima che lei riuscisse a parlarne ai genitori.
Le aggressioni continuarono anche dopo che Sharon si era sposata e aveva avuto dei figli. Il prete andava da lei due volte alla settimana. Lei si rese conto di cosa le stava succedendo solo quando, dopo che il sacerdote era scomparso dalla sua vita, si rivolse a un centro di assistenza per le vittime di violenza sessuale, perché soffriva di un disturbo bipolare e delle conseguenze di un grave trauma.
Crede ancora in Dio? Sharon Tell guarda fuori dalla finestra e risponde: “Ma certo, che domanda!”. Tuttavia, quando pensa alla chiesa cattolica, quando pensa al papa, ai cardinali e ai vescovi, vede un’istituzione marcia e corrotta fino al midollo. “La chiesa”, dice Sharon, “deve ricominciare da zero”.
Intanto sono state annunciate indagini della magistratura o della polizia in altri otto stati americani. Gli attivisti hanno inviato lettere di protesta a Roma, hanno organizzato veglie a lume di candela e hanno chiesto spiegazioni al Vaticano. Hanno perfino organizzato una manifestazione davanti all’ufficio del vescovo Persico. Lui non ha cercato neanche una volta di sottrarsi alla rabbia dei fedeli. Quando gli chiediamo cosa pensa del papa, Persico spera che Francesco capisca cos’è successo qui: “Reagire con il silenzio non aiuta”.
Arcidiocesi di Monaco e Freising, Baviera
Una domenica mattina davanti alla Marienkirche, la cattedrale di Monaco di Baviera, sotto il sole estivo c’è chi alza già il suo boccale di birra. Ma all’interno dell’edificio regna un silenzio opprimente. Alla messa assistono, quasi dispersi tra i banchi, circa sessanta fedeli. La crisi della chiesa non si ferma nella capitale della Baviera. Meno di un terzo degli abitanti della regione dichiara ancora di essere di fede cattolica. All’arcivescovado qualcuno commenta: “La vera misura del disastro sarà evidente tra dieci anni”. E aggiunge che il papa, che va tanto volentieri nei paesi periferici della cristianità, farebbe bene a non dimenticare la Baviera: “Chi pensa solo a ciò che sta ai margini, si ritrova presto con un buco al centro”.
In parte il problema dell’arcidiocesi di Monaco di Baviera ha origine al suo interno. Per esempio si parla di un esponente in vista del clero cittadino che non si fa scrupolo di piazzare la sua amante al primo banco della chiesa. in città si mormora di preti apertamente omosessuali. E s’inveisce contro questo papa imprevedibile. Perfino in una regione tradizionalmente cattolica come la Baviera tutto questo aggrava la crisi di credibilità della chiesa.
A ciò si aggiunge che il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e di Freising, un uomo potente e molto vicino al papa, non rende la vita facile ai fedeli bavaresi. A volte, scherzando sul suo stesso cognome, parla di un’imminente “rinascita del marxismo”. E quando è andato alla spianata delle moschee di Gerusalemme si è tolto dal collo il crocifisso per non irritare i padroni di casa musulmani.
A settembre il cardinale ha presentato a Fulda un rapporto sugli abusi sessuali di minori da parte di sacerdoti cattolici, diaconi e religiosi di sesso maschile nella giurisdizione della Conferenza episcopale tedesca. Lo studio riguarda casi avvenuti tra il 1946 e il 2014. Sfogliando i 38mila dossier provenienti da 27 diocesi tedesche emerge un quadro che danneggi ulteriormente l’immagine della chiesa. Dagli archivi delle diocesi sono venuti alla luce procedimenti per abusi sessuali ai danni di 3.677 minori, commessi da 1670 esponenti del clero. Più della metà delle vittime aveva meno di tredici anni all’epoca dei fatti. Ma si dice che i casi non denunciati siano ancora di più.
Solo un terzo dei colpevoli degli abusi documentati è stato sottoposto ai procedimenti previsti dalla legge canonica. Molti sacerdoti accusati sono stati semplicemente trasferiti, senza che “la comunità di destinazione” fosse informata. Insomma, ai colpevoli di abusi sui minori sono state affidate parrocchie senza che i fedeli sapessero niente dei loro precedenti. Inoltre, i loro fascicoli sono stati spesso “distrutti o manipolati”.
Il gesuita bavarese Hans Zollner fa parte della commissione del Vaticano contro gli abusi. Si mostra scosso, ma non troppo sorpreso dall’ultimo scandalo di pedofilia. “Francamente”, dice, “ormai mi stupisco poco. Naturalmente è insensato supporre che tutti i sacerdoti siano angeli in Terra, incapaci di fare del male”. Cosa consiglia Zollner? Dove, come negli Stati Uniti, la realtà delle cose è stata denunciata e affrontata con severità e gravi conseguenze “è poi emersa una consapevolezza accresciuta di questo problema e ci sono stati progressi significativi”. Degli oltre mille casi raccolti dal gran giurì della Pennsylvania, nel recente passato ce n’erano pochi ancora aperti.
Roma, Città del Vaticano
L’uomo che probabilmente sa già come andrà a finire questa vicenda si trova al primo piano del palazzo Apostolico, su una poltrona rococò ricoperta di velluto rosso e sovrastata da arazzi di seta e da un ritratto a olio di Francesco. È l’arcivescovo Georg Gӓnswein. Nella sua qualità di prefetto della Casa pontificia, questo sacerdote venuto dalla foresta Nera – e soprannominato a Roma “il bel Giorgio” – è in contatto costante con Francesco. Ogni mercoledì, durante l’udienza generale del papa in piazza san Pietro, siede alla destra del pontefice. Ma allo stesso tempo, in qualità di segretario privato e coinquilino, è la persona in assoluto più vicina al papa emerito Benedetto XVI.
Dal 2013 Gӓnswein è servitore di due padroni e oggi si trova in mezzo a un fuoco incrociato. Nel monastero Mater Ecclesiae, su un’altura all’interno del Vaticano, celebra la messa mattutina con Benedetto, il papa che si è battuto più di ogni altro contro gli abusi e ha allontanato dal servizio pastorale circa ottocento sacerdoti, anche se tutto questo è passato inosservato in Germania a causa dell’indignazione provocata dagli scandali per gli abusi nel monastero di Ettal e nel Canisius college. Dopo la messa Gӓnswein scende nel palazzo Apostolico e incontra Francesco, che invece è accusato di aver insabbiato gli abusi sessuali.
Chi può saperne di più di Gӓnswein? È vero – come sostiene Viganò – che Benedetto XVI, quando sedeva sul soglio di Pietro, ha imposto sanzioni contro il cardinale McCarrick che poi sono state ritirate da Francesco? “Su questo cosiddetto memorandum Viganò non dice neanche una parola”, risponde Gӓnswein. Lo sa bene: in questa situazione senza precedenti nella storia, in cui all’interno delle mura vaticane ci sono due papi, qualsiasi cosa gli sfugga di bocca potrebbe danneggiare l’uno o l’altro.
Ma come si comporta Francesco di fronte all’accusa mostruosa di aver mentito? E alla richiesta delle sue dimissioni? “Tanto per il suo spirito quanto per il suo modo di affrontare le cose, il papa iene prima di Viganò e sarà ancora lì dopo Viganò”, dice Gӓnswein.
Ma quello che pensa davvero, Gӓnswein lo lascia intendere quando parla fuori dalle mura vaticane. L’11 settembre a Roma, in occasione della presentazione di L’opzione Benedetto, di Rod Dreher (secondo il New York Times “il libro più importante degli ultimi dieci anni in materia di religione”), l’alto prelato tedesco ha affermato che negli Stati Uniti lo scandalo degli abusi è stato una specie di 11 settembre della chiesa cattolica. Le anime ferite a morte e inguaribili delle numerose vittime “ci consegnano un messaggio che è ancora più grave di quanto lo sarebbe il crollo improvviso di tutte le chiese della Pennsylvania”.
Per descrivere l’attuale situazione della chiesa cattolica, Gӓnswein ricorre a immagini forti, degne dell’Antico testamento. Vede avvicinarsi “una crisi davvero escatologica”, un “grande diluvio che sommerge il vecchio occidente cristiano” e la minaccia di “un’eclissi di Dio davanti alla quale noi tutti nel mondo proviamo terrore”. Potrebbe essere fondata, quindi, l’affermazione fatta nel 2012 da Benedetto XVI, secondo il quale ci dibattiamo nella più profonda crisi spirituale “dal tramonto dell’impero romano, verso la fine del quinto secolo: la luce del cristianesimo si sta spegnendo in tutto l’occidente”. Intanto l’uomo che deve tenere alta la fiaccola del cristianesimo si considera vittima. Il 18 settembre, durante la messa del mattino alla Casa santa Marta, Francesco spiega il suo silenzio di fronte alle accuse e paragona la sua situazione a quella del figlio di Dio moribondo: “Quando la gente lo insultava, quel venerdì santo, e gridava “crucifige!”, restava zitto perché aveva compassione di loro”. Perché, aggiunge, “nei momenti difficili, nei momenti in cui il diavolo si scatena dove il pastore è accusato, il pastore soffre, offre la vita e prega”.
(Gli autori di questo articolo sono Marian Blasberg, Walter Mayr, Valentyna Polunina e Christoph Scheuermann. – Internazionale 7/13 dicembre 2018)
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