A 40 giorni dal memoriale Viganò la Chiesa partorisce un comunicato anodino. Il caso dell’ex porporato verrà approfondito, ma la lobby gay resta un tabù. La Santa Sede comunque ammette che dal passato “potrebbero emergere scelte incoerenti”
di Lorenzo Bertocchi
Con un comunicato diramato ieri pomeriggio dalla Sala stampa vaticana, arriva una prima risposta dopo oltre 40 giorni dalla pubblicazione del memoriale dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò. Ma è una risposta che non può essere considerata esaustiva dei “chiarimenti” che erano stati annunciati in una dichiarazione del C9, il gruppo di nove porpore che coadiuva il Papa nel governo della Chiesa, il 10 settembre scorso.
Il comunicato si concentra esclusivamente sul caso dell’ex cardinale Theodore McCarrick, di cui papa Francesco ha accettato le dimissioni dal collegio cardinalizio lo scorso 27 luglio, dopo che le accuse per abusi rivolte nei suoi confronti erano state ritenute “credibili”. Sappiamo, invece, che la testimonianza di Viganò riguarda anche McCarrick, ma apre uno scenario molto più vasto di malgoverno nella Chiesa e di cordate clericali, tra cui spicca quella della famigerata lobby gay, che non può certo ridursi al caso dell’arcivescovo emerito di Washington.
Comunque nel testo diramato ieri, che non fa mai riferimento al dossier dell’ex nunzio pubblicato su queste colonne, c’è una novità: “Il Santo Padre ha disposto di integrare le informazioni raccolte tramite l’investigazione previa con un ulteriore accurato studio dell’intera documentazione presente negli archivi dei dicasteri e uffici della Santa Sede riguardanti l’allora cardinale McCarrick”. In un certo senso questa è una risposta anche a Viganò, il quale ha scritto chiaramente che nei dicasteri vaticani sull’ex cardinale ci sono da tempo dei dossier. Sarebbe interessante sapere da quanto tempo esistono e cosa contengono, perché è assodato che almeno dal 2000 tali accuse di abusi su seminaristi erano giunte dagli Stati Uniti alla segreteria di Stato.
Nella dichiarazione di ieri si dice che “nel settembre 2017 l’arcidiocesi di New York ha segnalato alla Santa Sede che un uomo accusava l’allora cardinale McCarrick di aver abusato di lui negli anni Settanta”, e a quel punto “il Santo Padre ha disposto in merito un’indagine previa approfondita, che è stata svolta dall’arcidiocesi di New York e alla conclusione della quale la relativa documentazione è stata trasmessa alla Congregazione per la dottrina della fede”. Ma di cosa sia successo prima del settembre 2017 non si dice nulla, mentre Viganò sostiene che almeno dal giugno 2013 papa Francesco sapesse delle accuse rivolte a McCarrick e che lo stesso ex cardinale fosse stato sottoposto a sanzioni in forma “segreta” da Benedetto XVI.
Tra le righe però si lascia capire che qualcosa deve essere andato storto nella gestione del caso. “La Santa Sede”, si legge, “è consapevole che dall’esame dei fatti e delle circostanze potrebbero emergere delle scelte che non sarebbero coerenti con l’approccio odierno a tali questioni. Tuttavia, come ha detto papa Francesco, “seguiremo la strada della verità, ovunque possa portarci”. C’è poi il riferimento a un’ermeneutica che tenga conto di un imprecisato “contesto storico”, come se, appunto, vi sia stato un tempo in cui insabbiare fosse davvero l’unica soluzione attuata dalla Chiesa per questi casi.
Con Benedetto XVI nel 2002 assistiamo alla vera svolta sul modo in cui la Chiesa affronta gli abusi, grazie all’istruzione De delicti gravioribus, poi è stato un crescendo di norme e procedure, compreso il Motu proprio di Francesco sulla rimozione dei vescovi “negligenti” del 2016. Ma fino a che punto queste norme sono state attuate? Il caso MaCarrick potrebbe svelare due pesi e due misure, soprattutto quando a essere accusati sono vescovi o cardinali, magari con solidi agganci in curia, come lascia intendere la testimonianza di Viganò.
Però il comunicato di ieri su questo possibile scenario di coperture ad alto livello non dice assolutamente nulla. Non risponde alle circostanze sollevate da Viganò, che non riguardano solo Francesco, ma tre segretari di Stato, i cardinali Angelo Sodano, Tarcisio Bertone e Pietro Parolin, nonché due prefetti della congregazione dei vescovi, Giovanbattista Re, e l’attuale, il cardinale canadese Marc Ouellet. Tutte queste eminenze non hanno agito in un imprecisato “contesto storico”, ma quasi tutti hanno operato il loro ufficio negli ultimi 20 o 30 anni. E il cardinale Ouellet, di recente chiamato in causa da Viganò nel suo ultimo scritto, è tutt’ora nel ruolo.
Gli abusi e la loro copertura, dice ancora il comunicato, “non possono essere più tollerati” e “un diverso trattamento per i vescovi che li hanno commessi o li hanno coperti rappresenta infatti una forma di clericalismo mai più accettabile”. Sarà interessante capire allora quali fatti seguiranno all’approfondimento di inchiesta che ha richiesto ora il Papa, per chiarire chi ha permesso la carriera sfolgorante di McCarrick, vescovo di Washington nel 2000 e cardinale nel 2001, poi globetrotter con agganci importanti in varie parti del mondo, nonostante le accuse nei suoi confronti risalenti almeno al 2000.
È certamente necessario nell’ottica della Chiesa che tutti i fedeli si sentano parte di questa situazione per superarla insieme, come Francesco aveva già scritto nella Lettera al popolo di Dio diramata lo scorso 20 agosto dopo l’esplodere del rapporto del Gran giurì di Pennsylvania. Ma il tornante della storia che deve superare la Chiesa va oltre il caso MaCarrick su cui si concentra il comunicato diramato ieri. Si tratta, infatti, di far uscire dall’ovile i pastori incapaci o corrotti. L’unità, che è importante, e che tutti a parole dicono di voler difendere, può essere pagata a qualsiasi prezzo?
(trascrizione da La Verità del 7 ottobre 2018)
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