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Home NEWS e CRONACA LOCALE

Un tipo sinistro

Breve vademecum sul presunto progressismo di papa Francesco

Federico Tulli by Federico Tulli
17 Agosto 2017
in NEWS e CRONACA LOCALE
Reading Time: 10 mins read
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Nel 2000 Jorge Mario Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires, si unì al coro dei gerarchi della Chiesa che fecero pubblica penitenza per il sostegno garantito tra il 1976 e il 1983 dalla Conferenza episcopale argentina alla giunta civico-militare responsabile di almeno 30mila sparizioni forzate e di migliaia di altri crimini contro l’umanità. Omicidi, rapimenti, torture e furti di neonati compresi. Il gesto, forse un po’ tardivo, fu un’autoassoluzione dell’istituzione che chiedeva perdono per i preti che avevano “peccato” dando appoggio logistico e materiale oltre che spirituale ai carnefici della generazione scomparsa? Oppure fu un’ammissione di colpa? Sta di fatto che mai durante il regime l’allora capo dei gesuiti argentini, come del resto gran parte dei suoi colleghi di culto, aveva preso pubblicamente posizione contro le violenze di Stato perpetrate nei confronti di chiunque fosse anche solo stato sospettato di essere un “sovversivo”. Cosa che invece nel vicino Cile, per esempio, fece il cardinale di Santiago, Raúl Silva Henríquez, il quale dall’11 settembre 1973 in poi non smise mai di puntare il dito contro le politiche repressive del dittatore fascista Augusto Pinochet e dei suoi guardaspalle. Palesemente diverso rispetto al silenzio mantenuto durante la dittatura è stato l’atteggiamento di Bergoglio nei confronti delle istituzioni democratiche. Nel 2010 quando era capo della Conferenza episcopale argentina si scagliò senza esitare contro il Parlamento reo di aver introdotto nell’ordinamento il matrimonio gay. Definendo la legge frutto della «invidia del demonio» che «vuole distruggere il piano di Dio».

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Con la stessa veemenza, fresco di nomina a capo della Chiesa argentina, si era schierato nel 2005 contro il ministro della Sanità del governo Kirchner, Ginés González García, perché aveva proposto la depenalizzazione dell’aborto. La negazione del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza per Bergoglio è un chiodo fisso. La libertà di scelta, l’autodeterminazione, la sessualità della donna nel suo pensiero non sono contemplate. In totale continuità con la misoginia dei suoi predecessori anche da pontefice egli relega la donna entro un recinto predefinito, annullandone l’identità. La donna è tale solo se vergine o madre. «Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, quella che aiuta a crescere la Chiesa» dice da pontefice sull’aereo di ritorno dal viaggio pastorale in Brasile il 28 luglio 2013. «Dio ha creato la donna perché tutti noi avessimo una madre» ribadisce a Santa Marta il 9 febbraio 2017. «Sentir dire che tre figli già sono troppi mi mette tristezza, perché tre figli per coppia sono il minimo necessario a mantenere stabile la popolazione» aveva detto sul volo di ritorno dalle Filippine il 19 gennaio 2015. Madri sì ma con moderazione, per non turbarlo. Tuttavia non si era affatto intristito quando, dieci anni prima, il capo dei cappellani militari argentini, monsignor Antonio Baseotto, affermò che González García, il ministro pro-aborto, avrebbe meritato che gli fosse messa una pietra al collo e fosse buttato in mare. La scelta di questa immagine presa in prestito dal Vangelo di Luca (17, 1-2), che richiama alla memoria i voli della morte e la tragedia che ha segnato il destino di migliaia di suoi connazionali e la vita dei loro familiari, deve aver profondamente colpito Jorge Mario Bergoglio. In positivo. Incurante dell’incidente diplomatico provocato da Baseotto con il governo argentino, e di tutto ciò che a livello emotivo può evocare una frase del genere nei confronti dei familiari di desaparecidos, il pontefice l’ha fatta sua otto anni dopo, l’11 novembre 2013. Durante un’omelia in Vaticano ha auspicato la macina al collo e la fine in mare per «i cristiani e i preti corrotti» dalle tangenti. L’attacco agli evasori suscitò la profonda ammirazione in Italia dell’intero arco costituzionale e della stampa tutta. E poco importa se tra le vittime dei famigerati voli della morte ci sono anche migliaia di nostri connazionali.

Aborto, donne, diritti umani. Già quanto detto fin qui basterebbe per non vedere mai accostate nella stessa frase “papa Francesco” e le parole “Sinistra” o “Rivoluzione”. Tanto più in un momento storico culturale come quello attuale in cui la donna è al centro di un’offensiva violenta senza tregua. Gli omicidi, le percosse, lo stalking, innumerevoli stupri sono all’ordine del giorno. La negazione e l’annullamento dell’identità femminile spesso porta a un tentativo di coercizione e di annientamento fisico che si oppongono sia al processo di emancipazione cioè al riconoscimento di una uguaglianza giuridica sia alla liberazione, vale a dire alla accettazione di una diversa soggettività della donna. Emancipazione e liberazione della donna sono delicatissimi processi ancora in atto. Affinché siano portati a compimento occorrono fondamentali cambiamenti sul piano culturale e sociale di cui solo la Sinistra in quanto tale se ne può fare carico. Rifiutando in primis i fautori della mentalità patriarcale e religiosa che vogliono la donna inchiodata al ruolo di moglie e madre. Tra questi papa Bergoglio è la punta di diamante. Per essere certi di non lasciare adito a dubbi ricordiamo un altro paio di episodi. Il capo della Chiesa che il 2 febbraio 2014 dal balcone di piazza San Pietro ammoniva la platea affermando: «La vita va difesa dal grembo materno fino alla sua fine», è lo stesso sacerdote che ha militato nella Guardia de Hierro, il settore giovanile del peronismo di destra. La Guardia de Hierro nel 1976, il più cruento dei sette anni di dittatura, propose una laurea honoris causa all’ammiraglio Massera. Il titolo fu poi conferito al genocida della caserma Esma di Buenos Aires, il 25 novembre 1977, dall’Università del Salvador (Usal), della cui amministrazione faceva parte il futuro pontefice. E ancora, a proposito di cappellani militari giova ricordare la vicenda di monsignor Christian Federico von Wernich, l’ex cappellano della polizia di Buenos Aires soprannominato “il prete del diavolo”. Costui sconta l’ergastolo dall’ottobre del 2007 perché il tribunale federale di La Plata lo ha riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità per aver partecipato a 6 omicidi, 31 casi di tortura e 42 sequestri. Di fronte ai familiari delle vittime, dei sopravvissuti e ai giudici, il monsignore si è sempre dichiarato innocente, privo di colpe. Nel senso che lui non aveva mai fatto nulla di male. Commentando la sentenza, nel sottolineare «il dolore che ci provoca la partecipazione di un sacerdote in delitti gravissimi», il cardinale Bergoglio si limitò a sottolineare la necessità di una «riconciliazione», rilevando inoltre che l’Argentina doveva allontanarsi «sia dall’impunità sia dall’odio e dal rancore».

Come dire, “scordiamoci il passato”. Una indulgenza che vale per un sadico torturatore omicida, e vale ancora oggi poiché von Wernich non risulta né pentito né dimesso dallo stato clericale, ma non per una donna che se decide di interrompere una gravidanza esercita un diritto, tutela la propria salute psicofisica e non uccide nessuno (perché il feto è un feto e chi non è nato non può morire). «Assoluzione dal peccato di aborto solo se c’è pentimento» ha ribadito papa Francesco a novembre 2016 in vista del Giubileo straordinario. Con questo interessante curriculum in tasca, niente affatto ignoto e davvero difficile da annoverare a “sinistra” e nel pantheon della laicità, il 13 marzo 2013 Jorge Mario Bergoglio appena nominato papa si è affacciato al famoso balconcino e ha detto «buonasera» urbi et orbi. Suscitando immediatamente entusiasmi e ottenendo un’apertura di credito incondizionata. L’elenco di genuflessioni parlamentari ed extraparlamentari a sinistra è lunghissimo. Basti in questa sede pensare al recente discorso davanti ai sindacalisti della Cisl durante il quale papa Francesco ha lanciato i suoi anatemi contro «le pensioni d’oro» perché sono «un’offesa al lavoro». Siamo tutti d’accordo che certi assegni mensili siano indecenti ma non un sopracciglio si è alzato per far notare a Bergoglio che lo Stato italiano elargisce queste pensioni sulla base di leggi italiane. Lui che c’entra? Tanto meno – da destra a sinistra, passando per i sindacati – c’è stato qualcuno che abbia avuto l’ardire di ricordare che sempre lo Stato italiano paga profumate pensioni, per dirne una, ai cappellani militari che rispondono agli ordini dei gerarchi vaticani. Anzi.

A fronte di un (imbarazzante) silenzio tombale sull’ingerenza di un capo di Stato straniero negli affari italiani è via via montata una (altrettanto imbarazzante) marea di osanna dei media e degli opinionisti per la “sensibilità” del pontefice verso i lavoratori sotto pagati. È questa la reazione da quando il gesuita argentino ha pronunciato il fatidico «buonasera» di quattro anni fa. Una reazione che non tiene mai conto dell’inapplicabilità di una visione laica – che parta cioè dal rispetto dei diritti inalienabili della persona e dal pensiero che siamo tutti esseri umani dalla nascita – a un’organizzazione come quella della Chiesa cattolica che per sua natura e cultura si oppone a questi stessi princìpi. Davvero occorre ricordare ai fan progressisti di papa Francesco che costui oltre a essere il capo di una religione monoteista che crede nel peccato originale e nell’esistenza del diavolo, è un monarca assoluto a cui tutti i suoi sudditi devono obbedienza e che detiene i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sulla base di una elezione decisa da una casta di circa 200 persone, tutti uomini? Cosa c’è di sinistra in questo? E di laico? C’è per caso qualcosa di laico e di sinistra cui ispirarsi, nella consueta linea politica di marca gesuita, che consiste nel rimproverare gli sfruttatori e al tempo stesso predicare mansuetudine presso gli sfruttati, egregiamente sintetizzata da papa Francesco nel discorso pronunciato il 4 febbraio 2017 durante un incontro con il movimento dei Focolari? Nel mondo ideale di papa Francesco i ricchi rimangono ricchi e i poveri rimangono poveri. “I poveri vanno accompagnati”. Nulla viene detto o fatto per toglierli dalla condizione di povertà. È questa la nuova idea di uguaglianza a sinistra? Bergoglio lo ha detto chiaramente, basta leggere questa frase. «Il “no” ad un’economia che uccide diventi un “sì” ad una economia che fa vivere, perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare comunione». Quell’“economia che include i poveri” sta lì a dire che la realtà sociale di queste persone è per il papa immodificabile. Siamo ben lontani da un’economia che produce reddito e redistribuisce equamente ricchezza rimuovendo «gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Così c’è scritto nel secondo comma dell’articolo 3 della nostra laica Costituzione. Per ridare slancio alla sinistra queste parole non sono assai più utili di quelle del gesuita papa Francesco? Domanda pleonastica.

Torniamo infine alla stretta attualità e al modo in cui il papa sta conducendo la sua presunta battaglia contro la pedofilia nel clero. Cosa c’è di laico e di umano nel considerare un delitto contro la morale, cioè un’offesa a Dio, lo stupro di un bimbo di tre anni da parte di un adulto cinquantenne? E sempre a proposito di superamento delle disuguaglianze, è forse laica e di sinistra la frase pronunciata da papa Bergoglio l’8 gennaio 2014? «Un bambino battezzato non è lo stesso che un bambino non battezzato» disse nell’udienza generale a Santa Marta. Queste parole possono essere declinate in diversi modi, basti citarne uno per tutti: un bambino battezzato non è lo stesso che un bambino ebreo. Di fondo c’è l’idea non proprio laica e di sinistra secondo cui l’identità umana è data dal battesimo. Se il battesimo non c’è, non ci sono nemmeno l’identità e l’uguaglianza tra esseri umani. La pretesa che i vari Bertinotti, Pisapia, Renzi, Fassina e tanti altri, hanno di indicarlo come guida morale della nostra società si scontra con questa visione della natura umana che distingue le persone cattoliche da quelle che non lo sono. È una visione figlia di una cultura che attraversa fino a oggi la storia millenaria poco edificante dell’istituzione che papa Francesco rappresenta, segnata da intolleranze verso le altre religioni monoteiste, da inaudite violenze contro le donne e gli eretici e dagli abusi psicologici e fisici su minori affidati alla sua cura.

A proposito della pedofilia, si diceva, senza dover andare troppo lontano nel tempo ecco uno dei passaggi più significativi del durissimo atto di accusa delle Nazioni Unite contro la Santa Sede per la sua ambiguità nella gestione della pedofilia clericale, elaborato nel 2014 in virtù della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia: «La Commissione è fortemente preoccupata perché la Santa Sede non ha riconosciuto la portata dei crimini commessi, né ha preso le misure necessarie per affrontare i casi di abuso sessuale e per proteggere i bambini, e perché ha adottato politiche e normative che hanno favorito la prosecuzione degli abusi e l’impunità dei responsabili».

La Convenzione cui la Santa Sede aderisce, prevede come clausola ineludibile per i firmatari l’obbligo di adottare ogni misura possibile per tutelare i diritti fondamentali dei minori e per proteggere la loro crescita da qualsiasi situazione a rischio. Secondo il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia, l’essenza della Convenzione è stata ripetutamente e palesemente violata dal Vaticano, come si evince dal rapporto pubblicato il 5 febbraio 2014 al termine di una capillare inchiesta avviata a luglio del 2013. Pur senza citarli, l’Onu ha puntato quindi il dito contro gli ultimi tre capi della Chiesa: Francesco I, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Il riferimento alle carenze normative non è casuale ed è tuttora valido. Già perché l’acclamatissimo inasprimento delle norme penali attuato da Francesco a cosa può davvero servire se per i “peccatori” la pena consiste nel dover recitare più avemmarie in un convento? Finché in Vaticano si continuerà a considerare le violenze sui bambini un peccato e non un reato, cioè un crimine contro la persona, la “tolleranza zero” contro la pedofilia ecclesiastica che tante volte abbiamo sentito invocare prima da Benedetto XVI e poi da Bergoglio sarà un annuncio fine a sé stesso. Buono solo per convincere parte dell’opinione pubblica che qualcosa effettivamente stia cambiando dopo decenni di complicità con migliaia di pedofili e impegni in serie non mantenuti. È questa la chiave per comprendere come mai papa Francesco abbia prima deciso di affidare a monsignor George Pell la guida del superministero dell’Economia, rimanendo sordo agli avvertimenti ricevuti ovunque, e poi lo abbia lasciato andare quando ormai era diventato indifendibile agli occhi dell’opinione pubblica. In cima ai pensieri di un papa c’è sempre la tutela dell’istituzione. L’obiettivo primario è quello di sostenerne l’immagine e il buon nome. Sempre. Le persone non contano. “Vatican first”, possiamo dire parafrasando Trump. Prima c’è la Chiesa, poi, se c’è tempo e spazio ci si può occupare delle persone (se sono battezzate). Ma anche qui c’è una gerarchia. In cima ai pensieri del papa non ci sono le vittime dei preti pedofili che da 40 anni in Australia attendono giustizia, ma il monsignore chiacchierato cui ha concesso l’aspettativa per andarsi a difendere di persona in Patria. Affinché tenga l’ormai ingombrante ombra lontana dalla Santa Sede. E se ancora siete perplessi, badate bene che lo ha rifatto. Consegnando le chiavi della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf), l’organismo della Santa Sede presso cui sono accentrati i processi più gravi per pedofilia, all’arcivescovo gesuita Luis Francisco Ladaria Ferrer. E cosa c’è nel palmares di questo monsignore? Nel 2012 quando era segretario della Cdf mise la sua firma insieme all’allora prefetto Llevada sulla sentenza di condanna di un prete pedofilo nella quale si intimava di non rendere pubblica la notizia. E che fine fece questo signore? Scontata la penitenza, con il suo bell’abito talare decise di diventare allenatore di una squadra di calcio giovanile. All’insaputa della condanna, tante famiglie gli affidarono i loro bambini. Nel 2015 è stato arrestato, questa volta dalla polizia italiana. Stando alle accuse ne ha violentati almeno dieci. E però Jorge Mario Bergoglio è un rivoluzionario, lava i piedi ai carcerati e ha detto «buonasera» a tutti.

https://left.it/2017/08/17/un-tipo-sinistro

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Federico Tulli è giornalista professionista. Per anni firma di Left sin dalla sua fondazione nel 2006, prima come collaboratore fisso e poi come redattore, ha scritto articoli per numerose testate italiane e internazionali (tra cui MicroMega, Avvenimenti, Sette, Globalist, Cronache laiche, Adista, Critica liberale, Brecha, etc). Per L’Asino d’oro edizioni ha pubblicato i libri: “Chiesa e pedofilia” (2010), “Chiesa e pedofilia, il caso italiano” (2014) e “Figli rubati. L’Italia, la Chiesa e i desaparecidos” (2015). Nel 2018, insieme a Emanuela Provera, ha pubblicato “Giustizia divina” (Chiarelettere). Nel 2020, per “I libri di Left”, ha pubblicato “Cosa ci ha insegnato la pandemia”, e nel 2023 “La Chiesa violenta” (Ed90). Ad aprile 2023 è uscito un suo saggio dal titolo “Informazione e Intelligenza artificiale: quale futuro per il giornalismo?” nel libro, a cura di Andrea Ventura, “Pensiero umano e intelligenza artificiale. Rischi, opportunità e trasformazioni sociali” (AA.VV., L’Asino d’oro ed.). Nel 2022 Tulli ha ideato e realizzato per Left “Spotlight Italia”, la prima indagine giornalistica permanente sui crimini nel clero italiano, e fa parte di #ItalyChurchToo, coordinamento italiano delle associazioni contro gli abusi nella Chiesa cattolica in Italia. Contatti: [email protected] [email protected]

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