Lo scrittore replica alle accuse per il suo romanzo “Bruciare tutto” dedicato al priore di Barbanadi
ROBERTO CARNERO
Non c’è pace per don Lorenzo Milani. La figura, già ai suoi tempi controversa, del priore di Barbiana continua a essere tale all’approssimarsi del cinquantesimo anniversario della morte (avvenuta a Firenze il 26 giugno 1967 all’età di 44 anni). A sollevare il polverone – e ad attirare l’attenzione mediatica su un anniversario che comunque non sarebbe passato inosservato – è stata la dedica posta in epigrafe all’ultimo romanzo di Walter Siti, “Bruciare tutto” (Rizzoli): “All’ombra ferita e forte di don Lorenzo Milani”. Il problema è che il libro di Siti ha per protagonista un sacerdote pedofilo.
Molti hanno protestato: accostare la parola pedofilia a don Milani è parso intollerabile. «Tutto è nato dalla mia ammirazione per don Milani», dice ora Siti, dichiarandosi sorpreso e stanco dalle polemiche suscitate. E aggiunge: «Ho pensato che alcune frasi contenute nelle sue lettere potessero alludere a un’attrazione verso i minori, sublimata però in una specchiata vita sacerdotale, in cui dal semplice desiderio egli non è mai passato alle vie di fatto. Quelle espressioni sarebbero una sorta di residuo linguistico inerte, quasi una spia dell’avvenuta sublimazione. Quello che ci tengo a dire, però, è che la figura di don Leo, il protagonista del mio libro, non è affatto ispirata a quella di don Milani. Caso mai è il suo opposto: se don Milani non ha ceduto a un desiderio illecito, il mio personaggio vi cede e, tragicamente, se ne fa travolgere».
Le frasi a cui allude Siti sono contenute nell’epistolario di don Milani, frasi che però – come ha puntualizzato il critico Alessandro Zaccuri su “Avvenire” – andrebbero lette nel contesto integrale delle lettere da cui sono state estrapolate. In particolare, a suscitare scalpore è una lettera datata 10 novembre 1959. “Se un rischio corro per l’anima mia”, scriveva il prete fiorentino, «non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto d’amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)». E ancora: «E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in c*** se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Un linguaggo ruvido, certo, ma che nel primo caso allude a quell’eccesso di amore per gli ultimi più volte dichiarato da don Milani, nel secondo al tradimento e alla prevaricazione del potente ai danni del più debole.
«Non si può capire don Milani leggendolo superficialmente», replica Anna Carfora, docente di Storia della Chiesa alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. La professoressa Carfora è uno dei curatori del “Meridiano” Mondadori in due tomi contenente l’opera omnia di don Milani, da ieri in libreria (l’opera, diretta da Alberto Melloni, è curata, oltre che dalla professoressa Carfora, da Federico Ruozzi, Valentina Oldano e Sergio Tanzarella).
Anna Carfora vorrebbe parlare soprattutto di don Milani, più che delle polemiche intorno a lui, ma non può sottrarsi dal puntualizzare: «Penso che la polemica abbia avuto in questi giorni uno spazio eccessivo. Il tutto si è basato su estrapolazioni fatte senza conoscere il suo pensiero e il suo modo abituale di esprimersi. Ciò del resto è quanto accade da anni, forse da sempre, anche a proposito della sua visione pedagogica, quando essa viene banalizzata o fraintesa, o quando, al contrario, si cerca di mettersi sotto l’ombrello di don Milani per acquistare visibilità».
Siti allude a una propensione alla pedofilia asceticamente sublimata: «Ecco, questo è un completo rovesciamento – sostiene Anna Carfora – della figura di don Milani, il quale voleva rendere il cristianesimo umano, concreto, incarnato, superando quell’approccio ascetico tradizionale che, esso sì, fa perdere umanità. Ed è proprio quando si perde in umanità, che si finisce nella perversione. Lorenzo Milani era un uomo di fede, non di religione. Anche dopo la conversione e l’ordinazione sacerdotale conservò un linguaggio molto diretto, spesso dissacrante, assai lontano da quel modo di esprimersi pio e un po’ convenzionale di certi religiosi. La sua è una lingua geniale e spesso paradossale: per questo le sue espressioni non vanno mai intese alla lettera, perché c’è un oltre che va recepito. Chi si ferma alla lettera e non si proietta verso questo oltre rischia un totale fraintendimento dei significati reali».
Il primo tomo del “Meridiano” presenta gli scritti editi, dalle Esperienze pastorali alla celebre “Lettera a una professoressa”, ma anche molti inediti, ora disponibili per la prima volta; il secondo tomo raccoglie le lettere, nella quasi totalità dei casi riscontrate sugli originali e integrate delle parti cassate per ragioni di privacy in precedenti edizioni parziali. Emerge così il ritratto di una figura intellettuale di assoluto rilievo nella cultura italiana del secondo Novecento, ma che ha ancora molto da dire anche oggi. Anche se, pure nel caso del suo pensiero pedagogico, non mancano gli attacchi, come quelli di chi vede nel “donmilanismo” le radici di tutti i mali della scuola odierna. Ma anche qui spesso alla base ci sono grossolani fraintendimenti. «Molte volte chi polemizza con la pedagogia di don Milani – spiega Anna Carfora – non ha letto i suoi scritti, di cui ha un’idea vaga e distorta. Don Milani non era affatto per una scuola lassista che puntasse al ribasso. Voleva invece una scuola che facesse parti eguali tra diseguali, mentre ancora oggi l’inclusione e il superamento delle differenze di partenza sono obiettivi decisamente lontani dall’essere raggiunti. La sua era una pedagogia critica, l’esatto opposto dell’efficientismo aziendalista a cui sembra sempre più venire improntata la scuola attuale nel nostro Paese».
Anche la Chiesa vede oggi in don Lorenzo Milani, ai suoi tempi osteggiato e incompreso dalle gerarchie, un precursore di una visione della fede al passo con i tempi. Si può parlare di una vera e propria riabilitazione, arrivata a quasi cinquant’anni dal provvedimento del Sant’Uffizio del dicembre 1958 contro il libro “Esperienze pastorali”. Papa Francesco ha inviato alla platea “laica” della fiera “Tempo di libri” un videomessaggio in cui ha espresso il suo pensiero sul prete di Barbiana, già da lui definito tre anni fa “un grande educatore italiano”. Ma questa volta Bergoglio ha accostato a don Milani uno degli aspetti che più volte lo stesso pontefice ha indicato come via per gli uomini di Chiesa: la vicinanza al loro gregge. Secondo il papa, infatti, l’inquietudine di don Milani «non era frutto di ribellione ma di amore e tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata». E, il 20 giugno prossimo, per l’anniversario della morte, il Pontefice visiterà Barbiana e pregherà sulla tomba del priore.
«Papa Francesco – chiosa Anna Carfora – ha qualcosa in comune con don Milani: è molto amato fuori dalla Chiesa, ma spesso osteggiato al suo interno. Don Milani viveva una fedeltà sostanziale, e non solo formale, al dettato evangelico della povertà e si collocava sul pericoloso crinale tra ortodossia e libertà. Oggi, come ai suoi tempi, molti temono che osare navigare nel mare aperto delle sfide poste dalla modernità (oggi dovremmo dire della postmodernità) significhi venir meno alle basi dell’ortodossia, ma non è così, perché è proprio la fede cristiana a spingere a muoversi in questa direzione. Don Lorenzo Milani aveva capito e praticava questo metodo. Aveva molto amato papa Giovanni XXIII. E oggi avrebbe molto amato papa Francesco».
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2017/04/25/news/walter-siti-assediato-non-e-don-milani-il-mio-prete-pedofilo-1.15251567
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