Numero uno della Caritas diocesana perugino-pievese, fondatore di strutture di accoglienza in Umbria e in Kosovo, parroco amato. Così era conosciuto anche fuori dall’Umbria don Lucio Gatti prima delle accuse per molestie e abuso dei mezzi di correzione basate sulle denunce di cinque ragazzi transitati in centri di accoglienza da lui stesso fondati. Oggi, in una comunità del Nord, don Lucio è ancora immerso nel “percorso spirituale-riabilitativo” iniziato, prima di patteggiare la pena nel gennaio 2014, con la sospensione dal ministero pastorale. “Sono ancora sacerdote perché la mia è stata una sospensione dagli incarichi”, è una delle precisazioni a cui tiene nel corso della prima intervista rilasciata dopo anni. “Anni difficili”, trascorsi a “cercare di capire”, nel tormento continuo di chi ha sentito in sé “un carisma” e ora pensa di essere diventato agli occhi del mondo “un lebbroso”, un uomo con “un marchio a vita”.
Dopo una nuova denuncia per molestie (un episodio che secondo la presunta vittima sarebbe avvenuto quando era minorenne e ospite di una struttura Caritas), don Lucio ha deciso di rompere un lungo silenzio, stimolato in questo anche dalle persone che si sono mobilitate per difenderlo con una petizione. Persone che vogliono non si dimentichi “cosa don Lucio ha fatto per Perugia, l’Umbria, il Kosovo”.
“Marchiato a vita ma non sono un demone” dice in esclusiva in una lunga intervista al Corriere.
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http://corrieredellumbria.corr.it/news/cronaca/238067/don-lucio-gatti-esclusivo-marchiato-a-vita-ma-non-sono-un-demone.html
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