MILANO-ADISTA. Giulia ha 14 anni quando il “Lupo” le mette le mani addosso per la prima volta. Succede durante una vacanza estiva con l’oratorio. Già, perché il “Lupo” non è uno qualsiasi, ma uno dei preti della parrocchia dove trascorre ogni pomeriggio. Quel giorno al campeggio ha un lieve malore, il “Lupo” – di 30 anni più vecchio di lei – l’ausculta con lo stetoscopio e poi, mentre è sdraiata e ancora un po’ intontita, l’accarezza per un attimo. All’inizio sembrerà un episodio isolato e circoscritto, forse solo un sogno – «pochi istanti dopo, non ero più neppure certa che fosse successo davvero» –, e invece sarà il primo capitolo di una storia di abusi sessuali che si protrarrà per molto tempo e che solo oggi, a distanza di 35 anni, Giulia ha trovato il coraggio di raccontare e di consegnare alla memoria collettiva con il libro Giulia e il Lupo. Storia di un abuso sessuale nella Chiesa (l’Ancora, pp. 136, euro 14,50; il libro può essere acquistato anche presso Adista, scrivendo ad [email protected]; telefonando allo 06/6868692; o attraverso il nostro sito internet, www.adista.it).
Il volume, curato dalla scrittrice e giornalista delle testate diocesane di Milano Luisa Bove (che ha raccolto la testimonianza di Giulia), ha ricevuto un palese imprimatur da parte ecclesiastica: non solo è stato pubblicato dalla casa editrice l’Ancora, legata alla Congregazione dei religiosi pavoniani, ma si avvale della prefazione di p. Hans Zollner, membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori – istituita da papa Francesco per far luce sugli scandali sessuali e la pedofilia dentro alla Chiesa – nonché di un breve saggio di Anna Deodato, ausiliaria diocesana in servizio presso il Centro per l’accompagnamento vocazionale di Milano.
Si tratta del primo racconto di un caso italiano, e la lettura, come scrive p. Zollner, mette a dura prova. Il libro ci getta infatti sin da subito nel crudo racconto della sofferenza vissuta da Giulia: «Prima – scrive Anna Deodato – nel buio dell’impossibilità di liberarsi dal prete pedofilo che la manipolava e la teneva legata a sé, poi nel buio della vergogna e di una colpa che le impediva di riconoscersi vittima di un abuso».
Il “Lupo” – dal nome usato da Bergoglio nei suoi discorsi contro i preti pedofili (il libro non svela l’identità del sacerdote, nel frattempo deceduto) – abusa di Giulia approfittando del rapporto di fiducia instaurato nel tempo. «Cosa stava succedendo? Non lo sapevo neppure io», racconta Giulia. «Lui era sempre la mia guida spirituale, il mio confessore. Doveva sapere. Dovevo fidarmi. E poi forse mi piaceva quello che faceva. Provavo anche paura. Non so. Ero sconvolta. In ogni caso doveva essere un privilegio, perché senz’altro non lo faceva con le mie amiche».
Dopo sette anni di abusi la «storia con il don» finisce. «Non ricordo con precisione come è arrivata questa fine, conservo ancora la data dell’ultimo incontro con lui, un appuntamento in tarda serata. L’ultima volta. Forse poi ho raccolto le poche forze che mi restavano e non ci sono più andata. Lui non mi ha più cercata, forse non gli servivo più. I giocattoli, dopo un po’, quando ci si stanca si buttano via».
Giulia finisce l’università ed entra in Noviziato: «Mi sembrava davvero di aver trovato “casa”: più approfondivo quella spiritualità e più la sentivo mia». Pronuncia i voti e inizia a fare “carriera”. Poi qualcosa comincia a non funzionare, «come se qualcuno si fosse divertito a seminare zizzania a piene mani». Giulia non ne può più e pensa di mollare tutto: comunità e lavoro. «Ma sapevo che non aveva senso, che sarebbe stata solo una reazione istintiva di cui mi sarei presto pentita»: «Per evitare di farmi divorare dalla rabbia e per ritrovare un po’ di serenità ho deciso di farmi aiutare». «Ho scoperto che c’era una persona in grado di aiutare preti e religiose in difficoltà». È l’incontro con questa persona, Martina, a determinare la svolta. È grazie a lei infatti che Giulia comprende la gravità dell’accaduto e muove i primi passi del suo percorso di rinascita.
«Arrivare all’ultima pagina è un esercizio quasi fisicamente doloroso, e certamente una sfida psicologica e spirituale enorme», scrive p. Zollner nella prefazione. «È però necessario – e infine anche salutare – affrontare questa difficile prova: necessario perché siamo chiamati ad assumerci la nostra responsabilità, a fare giustizia per coloro che hanno sofferto tanta ingiustizia e che sono stati feriti terribilmente; salutare perché guardare in faccia i nostri peccati e le nostre mancanze – nel commettere abusi e nel non fare tutto il possibile per evitarli – è doloroso ma ci apre anche gli occhi sulla nostra vera condizione umana e spirituale».
Giulia purtroppo non è la sola ad avere sulle spalle questo vissuto. «Altre donne, consacrate come lei, sono state sessualmente abusate da preti e consacrati», scrive Anna Deodato. «Abusi subiti da piccole o all’inizio della prima giovinezza oppure prima della scelta di consacrazione, ma per tante anche dopo, a volte addirittura all’interno delle loro stesse comunità, dai preti che le accompagnavano, da coloro che rivestivano funzioni di superiori». E accade qui vicino a noi, non solo in terre lontane.
Per Giulia non è stato facile decidere di uscire allo scoperto ma alla fine, spiega nella premessa, si è convinta e ha voluto mettere in fila le motivazioni così come le sono venute: «L’ho fatto per me: perché raccontare mi aiuta, mi costringe a ricordare e soprattutto a esprimere, buttare fuori, pronunciare, riordinare fatti, pensieri, sentimenti, emozioni…»; «per altre donne: ferite come me, che non riescono a dire o non sanno con chi parlare o da dove cominciare»; «per la Chiesa istituzione e per tutti i preti: perché chi governa e i sacerdoti sappiano che certe cose accadono anche in Italia, a Milano; bisogna solo avere il coraggio di dirlo e l’onestà di ascoltare». «Ora spero che siano in tanti a leggere questo libro e a lasciarsi provocare, interrogare. Ma soprattutto spero che queste pagine – sofferte e drammaticamente vere – possano incoraggiare altre donne, vittime di abuso come me, a farsi aiutare e a uscire dall’ombra, anche se il cammino sarà lungo e doloroso. È il prezzo della libertà e del riscatto, ma ne vale la pena».
http://www.adista.it/articolo/56323
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