Francesco dall’inizio del pontificato ha duramente attaccato i sacerdoti pedofili. Eppure, nonostante le accuse di decine di vittime e quelle dei giudici australiani, il cardinale George Pell, braccio destro di Bergoglio finito nel mirino della Commissione d’inchiesta di Camberra, resta saldo sulla sua poltrona. Ma sul tema delicato della pedofilia non possono esserci tentennamenti. Né salvacondotti personali
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Papa Francesco non può più aspettare. Dopo le audizioni di questi giorni davanti ai giudici della commissione d’inchiesta del governo australiano sulla pedofilia, il cardinale George Pell – che Bergoglio stesso aveva chiamato nella Santa Sede tre anni fa – non può più rimanere sulla sua poltrona.
Deve dimettersi subito, lasciando ad altri la guida del più importante ministero vaticano, quella Segreteria dell’Economia voluta da Bergoglio per fare trasparenza sui business vaticani. Nel caso non volesse fare un passo indietro, dovrebbe essere il pontefice, capo supremo della curia, a muoversi di conseguenza. Senza aspettare – come suggerisce qualche suo consigliere – che Pell compia 75 anni, età in cui formalmente gli alti prelati devono rimettere il mandato.
Stavolta il tempo è scaduto prima, ed ulteriori mediazioni metterebbero gravemente a rischio l’immagine del Papa rivoluzionario e inflessibile, nemico giurato dei maniaci che infestano la Chiesa.
Il tema della pedofilia, riportato alla ribalta dal caso Pell (di cui “L’Espresso” si è più volte occupato in infelice solitudine) e dell’Oscar a “Spotlight” come miglior film (che narra le gesta dei giornalisti del Boston Globe che nel 2002 scoperchiarono lo scandalo dei sacerdoti pedofili della loro città), è troppo delicato, e non può essere gestito con le solite prudenze vaticane tanto invise a Bergoglio.
Pell è infatti accusato da decine di sopravvissuti di gravi nefandezze. Su tutte quella di aver protetto preti pedofili, mostri seriali che hanno violentato decine di bambini, non denunciandoli subito e permettendo il loro spostamento in altre diocesi. Il cardinale è stato accusato da una vittima di aver tentato di comprarlo. Da molte altre di aver creato, quando era vescovo a Melbourne, un sistema per difendere le finanze della Chiesa, a danno delle richieste risarcitorie degli abusati. «Un sistema progettato per controllare le vittime, contenere gli abusi e proteggere la Chiesa», ha spiegato la ricercatrice e editorialista Judy Courtin, che insieme a molti altri osservatori considera le azioni dell’australiano volte a «minimizzare i reati, occultare la verità, manipolare, intimidire e sfruttare le vittime».
Pell è stato definito un «sociopatico» da più di un sopravvissuto, mentre la relazione preliminare dei giudici della Royal Commission pubblicata qualche mese fa ha già spiegato che il cardinale «non si è comportato da buon cristiano». Il prelato ha perfino paragonato un anno fa la Chiesa a un’azienda di autotrasporti, affermando che «non è colpa di una ditta se il camionista molesta le autostoppiste».
Al netto degli scandali e dei lussi sfrenati che hanno colpito Pell dopo la pubblicazione di alcune inchieste che ho pubblicato sull’Espresso, la sua posizione è indifendibile. Francesco è stato il primo pontefice ad autorizzare l’arresto di un alto prelato per reati sessuali su bambini, monsignor Josef Wesolowski, morto prima dell’inizio del processo. Un appeasement o ulteriori tentennamenti sul caso Pell, suo uomo di fiducia, sarebbe un errore, ancor più grave della nomina del porporato di Ballarat a numero tre del Vaticano. Uno sbaglio che confermerebbe i preconcetti dei critici – soprattutto anglosassoni – che da mesi attaccano il soglio petrino.
«Durante il papato di Francesco la Chiesa cattolica non ha fatto nulla per eliminare gli abusi sui minori da parte del clero» ha spiegato due settimane fa Peter Saunders, ex vittima di un prete pedofilo che il papa aveva voluto nella nuova Commissione pontificia per la tutela dei minori, sospeso dall’incarico proprio per le sue critiche a Pell. «La Commissione? È soltanto una questione di pubbliche relazioni, necessaria dopo gli scandali sulla pedofilia nel clero che hanno scosso i fedeli».
Tra parole e azioni la coerenza è sempre necessaria, soprattutto se gli anatemi vengono da un papa dichiaratamente riformista. Oggi le vittime dei sacerdoti australiani giunte a Roma grazie a una colletta per guardare in faccia il cardinale durante l’udienza in videoconferenza, hanno scritto una lettera al pontefice chiedendo di essere ricevuti, sperando che la Chiesa li «aiuti a sostenere e salvare le tante vittime che ancora non hanno parlato e che invece hanno bisogno di aiuto, per evitare altre morti premature».
Sarebbe bello se Francesco li ricevesse, e comunicasse loro che anche Pell gli ha consegnato una lettera. Di dimissioni irrevocabili.
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