Finché la Chiesa continuerà a considerare l’abuso un’offesa a dio è difficile credere a una svolta concreta nella sua presunta battaglia contro i sacerdoti pedofili.
di Federico Tulli
In Irlanda tra il 1995 e il 2011, nonostante le resistenze e le pressioni della Chiesa cattolica locale e della Santa Sede, diversi magistrati sono riusciti a indagare e a dimostrare abusi compiuti da oltre mille religiosi su almeno 30mila bambini e adolescenti. Sgominando un radicato sistema di potere, “laico” e clericale, che per oltre 50 anni era riuscito a coprire le violenze e a garantire l’impunità ai responsabili. Uno dei Report governativi, quello redatto nel 2009 dalla Commissione Ryan, recita nella prefazione: «La pedofilia è un fenomeno endemico alla Chiesa d’Irlanda». Nel 2011, dopo la conclusione dell’ultima inchiesta – denominata Rapporto Cloney – il primo ministro irlandese Enda Kenny è andato di fronte al suo Parlamento riunito in seduta comune a denunciare che «per la prima volta un rapporto sugli abusi sessuali del clero ha messo in luce un tentativo della Santa Sede di frustrare un’inchiesta in una repubblica democratica e sovrana, e questo – sottolineò Kenny – tre anni fa soltanto, non tre decenni fa». Difficile, se non impossibile scovare tra i nostri presidenti del Consiglio, dal 1948 a oggi, uno capace di compiere, all’occorrenza, un gesto del genere. Eppure, fare i conti con il passato, indagando sugli abusi insabbiati, si può. È anzi doveroso, anche in Italia, e non solo per una questione di giustizia per le vittime. L’intervento di una commissione d’inchiesta che agisce alla luce del sole, coordinata tra Stato e Chiesa, lancia innanzi tutto una chiaro messaggio ai pedofili: la parrocchia non è più luogo di caccia e il vescovo non è più un fidato protettore. In secondo luogo consente a chi non ha avuto ancora la forza di denunciare il proprio aguzzino, di non sentirsi più solo.
Si potrebbe obiettare che in Italia non si è indagato perché non c’era nulla su cui indagare. In effetti c’è stato anche chi mi ha risposto in questo modo. È accaduto al simposio internazionale sulla pedofilia nel clero organizzato nel 2012 a Roma dalla Pontifica università gregoriana. Il titolo era un apparentemente efficace slogan: “Verso la guarigione e il rinnovamento”. Guarigione di chi e rinnovamento di cosa? Della Chiesa cattolica e apostolica romana «ferita al cuore» dagli abusi sui bambini. A fine lavori provai a chiedere al portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, se non ritenesse coerente – quanto meno con lo slogan del simposio – che la Conferenza episcopale italiana istituisse una commissione indipendente d’inchiesta per individuare e descrivere il contesto in cui sono avvenuti i numerosi casi che si contano anche nel nostro Paese, sgombrando così il campo dai dubbi relativi ad atteggiamenti ambigui di fronte alle denunce rimaste, per così dire, inascoltate da titolari di diocesi italiane. Posi la domanda a padre Lombardi anche perché quello italiano è l’unico capo dei vescovi al mondo scelto direttamente dal papa. E che quindi ha una concreta possibilità di incidere sulle decisioni della Cei da parte della Santa Sede. Ma secondo questa, come detto dal portavoce vaticano, “un caso Italia” non esiste.
La realtà dei fatti su cui mi sono trovato a indagare nel mio primo libro sull’argomento, e sul prossimo in uscita tra un paio di mesi sempre per L’Asino d’oro edizioni, dice il contrario. E rivela l’esistenza di una scia di abusi che parte non da “ieri” ma dagli anni a ridosso della nascita del Regno d’Italia e prosegue fino a “oggi” senza soluzione di continuità. A titolo di esempio, basti citare, fermandoci ai tempi recenti, i casi di don Ruggero Conti a Roma, condannato nel 2013 in Appello a 14 anni e 2 mesi per violenza sessuale continuata ed aggravata compiuta tra il 1998 e il 2008 su sette bambini, del cui comportamento il suo vescovo Gino Reali era stato informato almeno dal 2006; oppure di don Seppia a Genova, con le denunce ignorate per quasi 20 anni dalla curia guidata per un certo periodo anche dal presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco; e dell’Istituto per sordomuti Provolo di Verona, dove dagli anni Cinquanta fino al 1984 si è consumata fin dentro le stanze dell’allora vescovo Giuseppe Carraro – oggi in odor di santità – un’agghiacciante vicenda criminale ai danni di oltre 40 giovanissimi ospiti, di cui ancora oggi troppo poco si parla nonostante l’ammissione di colpa da parte di tre sacerdoti avvenuta nel 2012. Due dei quali sono ancora al loro posto in quell’istituto.
A parlare di «ferita al cuore» al Simposio della Gregoriana era stata Marie Collins. Cittadina della non più cattolicissima Irlanda – tra il 2005 e il 2011 nel pieno degli scandali pedofili, i fedeli sono crollati dal 67 al 49% della popolazione – la Collins è stata ora chiamata da papa Francesco a rappresentare le vittime di tutto il mondo nella Commissione vaticana per la tutela dei minori. Annunciata nel 2012 durante il Simposio, ri-annunciata a dicembre 2013 dalla Santa Sede e presentata al mondo come un chiaro segnale dei buoni propositi di Bergoglio proprio nei giorni in cui saliva la tensione per l’inchiesta realizzata dall’Onu e si concretizzavano le accuse delle Commissione per i diritti del fanciullo riguardo i sistematici insabbiamenti adottati negli ultimi 20 anni dai gerarchi vaticani, papi compresi, la Commissione nemmeno oggi prende il via. Quando entrerà a regime questo organismo, contribuirà «alla missione del Papa di rispondere alla sacra responsabilità di assicurare la sicurezza ai giovani». In che modo non è chiaro – considerando anche la scomposta reazione della Santa Sede nel febbraio scorso alle circostanziate accuse di reticenza, favoreggiamento, collaborazione e complicità con i criminali pedofili in tonaca in tutto il mondo mosse dall’Onu – ma il gran parlare che se ne fa è dovuto al fatto che “finalmente”, dopo 25 mesi, sono stati annunciati i nomi dei primi otto componenti. Il cui compito, come ha spiegato padre Lombardi, consiste nell’«elaborare la struttura finale della Commissione, precisandone scopo e responsabilità e proponendo i nomi di ulteriori candidati, in particolare da altri continenti e Paesi, che possono essere chiamati al servizio della Commissione».
Al momento il gruppo degli otto è in maggioranza rappresentato da europei «per agevolare gli incontri», ha precisato il portavoce vaticano. Si tratta di quattro uomini e quattro donne. Oltre alla Collins c’è il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, la psichiatra francese Catherine Bonnet e la collega inglese Sheila Hollins, l’italiano Claudio Papale, docente di Diritto canonico alla Pontifica Università urbaniana, l’ex-ambasciatrice polacca Hanna Suchocka, il gesuita argentino padre Humberto Miguel Yanez SJ, direttore del dipartimento di Teologia morale della Pontificia Università gregoriana, e il gesuita tedesco padre Hans Zollner, vicerettore accademico e preside dell’Istituto di Psicologia della Gregoriana. «Nella certezza che la Chiesa deve svolgere un ruolo cruciale in questo campo, e guardando al futuro senza dimenticare il passato, la Commissione – osserva Lombardi – adotterà un approccio molteplice per promuovere la protezione dei minori, che comprenderà l’educazione per prevenire lo sfruttamento dei bambini, le procedure penali contro le offese ai minori, doveri e responsabilità civili e canoniche, lo sviluppo delle “migliori pratiche” che si sono individuate e sviluppate nella società nel suo insieme». Lombardi ha quindi sottolineato che l’iniziativa del papa prosegue l’impegno dei predecessori: Bergoglio con questo nuovo atto «mette in chiaro che la Chiesa deve tenere la protezione dei minori fra le sue priorità».
L’auspicio di chi scrive, ma anche dell’Onu, è che il gesuita argentino si comporti invece esattamente all’opposto dei suoi ultimi due predecessori: il santo Wojtyla e l’emerito papa Ratzinger. Ma per far questo Bergoglio dovrebbe cambiare immediatamente il Codice di diritto canonico e il Catechismo laddove l’abuso viene ancora definito un delitto contro la morale, cioè un’offesa a dio, e non un crimine contro le vittime più indifese. Finché rimane questa convinzione, non è chiaro che genere di prevenzione la Chiesa pretenda di organizzare. E soprattutto, è logico pensare che in sede di giudizio i tribunali ecclesiastici e la Congregazione per la dottrina della fede continueranno a comportarsi di conseguenza, come sempre hanno fatto. Vale a dire, senza fare nulla di concreto nella stragrande maggioranza dei casi: “condanna” del “peccatore” a un periodo di penitenza in un luogo segreto, al termine del quale costui può tornare tranquillamente a esercitare a contatto con i bambini, senza che i loro genitori sappiano nulla.
Poiché è impossibile anche solo ipotizzare che la Chiesa cattolica sia disposta a modificare parte di ciò che è alla base della propria cultura e della propria politica, nonostante sia assodato che si annidi in queste convinzioni la matrice della diffusione della pedofilia nelle parrocchie di tutto il mondo, l’auspicio è che almeno a qualcuno della Commissione venga in mente prima o poi di suggerire l’apertura di un’inchiesta seria e indipendente anche in Italia. Levando così dal cono d’ombra in cui è stato messo a forza per decenni un argomento che è molto più di un tabù. Al resto, si spera, penserà il senso civico e di giustizia della parte sana della nostra società.
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