Salvatore Domolo ha 8 anni quando viene abusato per la prima volta dal parroco. Viene da una famiglia disgregata, e quest’uomo si presenta a lui come una figura paterna.
Dopo 3 anni di abusi, Salvatore cerca di liberarsi in qualche modo ed entra in seminario. Una scelta all’apparenza contraddittoria, ma con una sua logica intrinseca: prova a liberarsi di questo peso all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, ma non vi riesce.
Lascia il sacerdozio appena si convince che “la Chiesa è complice degli abusi, tacendo, spostando preti colpevoli”.
Ora, Salvatore ha deciso di raccontare la sua terribile esperienza e la sua risalita dall’inferno in un libro, “In nomine patris”, edito da una casa editrice coraggiosa, l’associazione “Golena”. E’ un volume autobiografico ma anche ricco di riflessioni sulla pedofilia clericale e su come l’ambiente chiuso e asfittico, tipico delle gerarchie ecclesiastiche, possa diventare terreno fertile per la pedofilia. Una critica radicale da chi è stato vittima della pedofilia clericale e prete.
E’ di pochi giorni fa la notizia che l’Onu ha accusato il Vaticano di avere permesso abusi sessuali su decine di migliaia di bambini: un’accusa pesantissima, che non ha avuto molta risonanza in Italia, e che spinge a riflettere su questo fenomeno molto grave. La Santa Sede sta cercando, negli ultimi anni, di arginare e denunciare, ma le dimensioni del problema, secondo l’Onu, sono molto grosse.
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