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Home NEWS e CRONACA LOCALE

La Curia condanna ma il prete la sfida

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
21 Gennaio 2014
in NEWS e CRONACA LOCALE
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 di Marco Politi in “il Fatto Quotidiano” del 20 gennaio 2014 –

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11 Marzo 2013

Non è stata una passeggiata l’audizione sugli abusi ai minori nella Chiesa cattolica, cui il Vaticano ha dovuto sottoporsi a Ginevra davanti al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, in quanto firmatario delle Convenzione per la protezione del fanciullo.

L’inquirente Sara Oviedo – riferisce l’Associated Press – ha “messo sulla graticola” la Santa Sede con le sue domande sugli insabbiamenti dei casi di pedofilia. La questione è la stessa da anni.

Da un lato il Vaticano sostiene di non essere il capo diretto delle centinaia di migliaia di preti sparsi nel mondo, dall’altro è indubbio che soltanto nel momento in cui Benedetto XVI ha deciso di voltare pagina – con nuove norme – rispetto all’omertà tradizionale, qualcosa ha cominciato a muoversi a livello internazionale.

Ma molto rimane ancora da fare. Perché mentre ci sono episcopati che si sono mossi con serietà già prima della svolta di Benedetto XVI – Usa e Germania per citarne alcuni – organizzando strutture nazionali di sostengo alle vittime e di monitoraggio del fenomeno, la conferenza episcopale italiana continua una linea di eclatante inerzia. I documenti, che citiamo, si riferiscono a due casi.

Una vicenda di abuso accaduta ad Acireale e la storia di don Conti, parroco romano condannato a quattordici anni per abusi dalla Corte di appello di Roma e nei confronti del quale le autorità ecclesiastiche non hanno finora preso nessuna misura. Ad Acireale c’è una madre, che ha appreso sconvolta che suo figlio – oggi trentottenne ricercatore in oncologia a New York – è stato abusato da quattordicenne in un arco di quasi due anni da un prete amico, don C. C.. In città è considerato una persona colta e carismatica, ma durante il processo canonico sono emersi – riferisce l’avvocato Giampiero Torrisi – “altri due casi di molestie”. Dopo anni di sofferenze tenute dentro, nel 2012 la vittima Teo Pulvirenti porta di fronte al tribunale ecclesiastico il prete, che aveva abusato di lui. É un caso di buona giustizia ecclesiastica a livello diocesano.

Il vescovo monsignor Antonino Raspanti compie rapidamente l’indagine preliminare, appura che i fatti meritano un processo, si apre il procedimento e il tribunale ecclesiastico di prima istanza riconosce la colpevolezza di don C.. Scrive a Pulvirenti il vescovo: “In questo grado il sacerdote è stato ritenuto responsabile degli abusi denunciati. Egli dovrà, pertanto, sottoporsi ad alcune restrizioni, in osservanza delle quali dovrà dimorare per alcuni anni fuori dalla Diocesi non assumendo incarichi ecclesiali e non svolgendo il ministero in pubblico”. É il 7 agosto 2013. Don C. ricorre alla Congregazione presso la Dottrina della fede, ma ancora prima del ricorso sfida pubblicamente la sentenza girando per la città. “Si è messo a passeggiare in centro di fronte alla cattedrale”, racconta l’avvocato Torrisi, legale di Pulvirenti. Una provocazione mirata per dimostrare di non tenere in alcun conto le misure di interdizione.

Il vescovo non sa come obbligare il prete abusatore, la conferenza episcopale è notoriamente assente, la madre di Pulvirenti scrive disperata una lettera a papa Francesco chiedendo un “segno CONCRETO di vicinanza a chi soffre” e denunciando che la sentenza avrebbe dovuto metterlo “in condizione di non fare più male a nessun ragazzino. E spero con tutto il cuore che sia così. Spero, ma non ne ho certezza…”. Rivolgersi al papa non è una moda, è l’estrema speranza per chi vede che l’apparato ecclesiastico è inceppato e la giustizia disapplicata. É chiaro che il vescovo locale avrebbe bisogno di tutto l’aiuto concreto della Cei per “applicare la legge” nei confronti del prete responsabile di abusi. Ma così non è. La controprova di questa intollerabile passività della Cei si ha nello scambio di lettere tra il presidente dell’associazione “Caramella Buon onlus”, il cattolico Roberto Mirabile, e il presidente della Cei cardinale Bagnasco. L’associazione sostiene da anni le vittime nel difficile cammino di elaborare la violenza subita e di ottenere giustizia. Mirabile ha sostenuto Teo Pulvirenti ed è intervenuto nel caso Conti.

Parroco di Selvacandida Ruggero Conti è stato condannato nel maggio scorso in appello a quattordici anni e due mesi per violenza continua e aggravata ai danni di una serie di minori. Le vittime attendono con ansia la sentenza di Cassazione, ma sanno che Conti sta sperando che il passare dei mesi lo porti alla prescrizione. (Uno degli effetti della legge Cirielli, ringraziare Berlusconi). La cosa sorprendente è che a differenza di Acireale, le autorità ecclesiastiche romane non hanno mosso un dito. Mirabile scrive a Bagnasco il 3 giugno 2013, chiedendo “quale misura attualmente il Vaticano intende prendere nei confronti dello stesso don Conti e quale misura Sua Eminenza intende prendere nei confronti del Vescovo Monsignor Gino Reali, chiaramente chiamato in causa nel corso del procedimento giudiziario… (che) pur essendo più volte stato informato degli episodi equivoci del Conti, aveva mantenuto negli anni un atteggiamento a dir poco di favoreggiamento e comunque di non-intervento”. Mirabile pone anche la questione del risarcimento delle vittime, che ad esempio ad Acireale è stato impostato correttamente, riconoscendolo alla vittima. La riposta, a firma del sottosegretario Cei, è un capolavoro di evasività. Si citano begli interventi di Benedetto XVI e Francesco, si spiega che la Cei ha varato Linee-guida, in cui è stato “chiaramente affermato che assume importanza fondamentale anzitutto la protezione dei minori, la premura verso le vittime degli abusi” e si conclude elegantemente che “in questo quadro non spetta alla Conferenza episcopale italiana valutare ‘quale misura attualmente il Vaticano intende prendere nei confronti dello stesso don Conti’, come pure esula dalle competenze di questa Conferenza episcopale… la presentazione di scuse alle vittime e la valutazione riguardo a eventuali risarcimenti”. Distinti saluti e chi si è visto s’è visto.

Ci aiuti, il colpevole è tra noi

Santo Padre chi le scrive è una madre di Acireale, città che da tempo vive il peso di una vergogna ad oggi insoluta firmata don C. C.. Mio figlio Teo, il secondogenito, oggi è un uomo di 38 anni. É un affermato ricercatore nel campo del tumore al cervello e vive a New York. Un giorno mio figlio mi chiama e mi prega di partire per New York. Lo raggiungo e mi racconta di aver subito abusi sessuali durante l’adolescenza…

Il buio diventa ancora più profondo, quando mio figlio mi dice che la persona che ha abusato di lui è stato un nostro carissimo amico, nostro punto di riferimento, parroco della nostra comunità. Mi si è congelato il sangue. E mi si congela ogni secondo ogni attimo quando penso a quello che hanno subito mio figlio e altri, altre come lui. La sentenza del processo canonico in primo grado s’è già conclusa con la condanna di questa persona: ma, non rispettando la sentenza, continua a girare per la città (addirittura sembra sia entrato fino a qualche tempo fa nei locali della basilica di San Sebastiano, dove era appunto decano)…

L’obiettivo (della sentenza) era che fosse messo nella condizione di non fare più male a nessun ragazzino. E spero con tutto il cuore che sia così. Spero ma non ne ho certezza. Santo Padre, me la dia Lei questa certezza, faccia in modo che la Chiesa dia un segnale CONCRETO di vicinanza a chi soffre. Aiuti mio figlio, aiuti la mia città. Le scrivo da figlia, Le scrivo da amica, Le scrivo da madre.

Mariolina. Una mamma

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