L’arma in più dei pedofili si chiama prescrizione Mer, 04/05/2011 – 09:30
Federico Tulli
IL CASO. In Italia i termini temporali entro cui è possibile denunciare un abuso sono troppo brevi. La vicenda delle vittime di don Cantini e la mancata ratifica della Convenzione di Lanzarote.
Violentare decine di bambine per oltre 20 anni, essere denunciato e considerato colpevole in base a prove e testimonianze inoppugnabili. E farla franca. In Italia è possibile, grazie alla brevità dei termini di prescrizione previsti per gli abusi “sessuali” (10 anni) e all’inerzia del Parlamento. Il caso dell’ex parroco fiorentino Lelio Cantini, autore di violenze su alcune minorenni di età compresa fra i 10 e i 17 anni, per il quale lunedì scorso il gip ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Paolo Canessa, riaccende i riflettori su di un nodo irrisolto nella difficile battaglia contro la pedofilia.
Gli ultimi abusi denunciati dalle vittime risalgono al 1993 e questo mette al riparo da un’azione penale Cantini. Il quale nel frattempo è stato spretato dalla curia fiorentina. Della necessità di rivedere i termini di prescrizione si è molto parlato sulla scia degli scandali che hanno colpito la Chiesa cattolica di mezza Europa tra il 2009 e il 2010, quando il governo italiano rappresentato dalla ministra per le Pari opportunità, Mara Carfagna, ha ospitato la cerimonia di presentazione della campagna anti-pedofilia lanciata dal Consiglio d’Europa.
In quella occasione, era il 29 novembre 2010, Carfagna assicurò che anche il nostro parlamento «nelle prossime settimane» avrebbe ratificato la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso “sessuale”. Il testo di legge contiene tra le altre misure, il raddoppio dei termini di prescrizione entro cui è possibile denunciare l’abuso, l’introduzione del reato di apologia della pedofilia, e l’inasprimento delle pene.
Da quel giorno più che settimane sono passati mesi (per la precisione, sei), ma la norma è arenata alla Camera senza che nessuno sappia dire quando riprenderà l’iter di approvazione. Considerando la particolare ferocia del reato e, sopratutto, le conseguenze a livello psichico che subisce la vittima di un ’abuso, da tempo è in atto in Europa una campagna per l’eliminazione di qualsiasi termine di prescrizione per questo crimine. Non sono affatto rari i casi in cui chi ha subito una violenza in tenera età impieghi anni, se non decenni (come nel caso delle donne abusate da don Cantini), a vincere vergogna, sensi di colpa, diffidenza dei familiari e dell’ambiente in cui vive prima di rivolgersi a uno specialista o all’autorità giudiziaria per raccontare quanto subito.
In Italia, grazie alla cosiddetta ex Cirielli la prescrizione per il reato di “pedofilia” (termine tuttora assente dal nostro codice penale) fu abbassata da 15 a 10 anni. Altrove l’approccio istituzionale è ben diverso. Ad esempio, in Germania, la pressione dell’opinione pubblica e la notevole sensibilità del governo di Angela Merkel ha fatto sì che dopo gli scandali scoppiati in numerosi istituti scolastici del Paese retti da gesuiti venisse approvata il 23 marzo scorso un disegno di legge che prevede un allungamento dei tempi di prescrizione delle responsabilità civili per questi reati da tre a 30 anni. Una misura inevitabilmente destinata a rafforzare la posizione delle vittime nelle procedure penali relative a questi casi.
Di notevole importanza sono, almeno sulla carta, anche le Nuove norme approvate a maggio 2010 in Vaticano da Benedetto XVI, che fanno scattare la prescrizione dopo 20 anni dal compimento della maggiore età del minore «con» cui il «chierico» ha compiuto l’atto “sessuale”. Infine, il 27 aprile scorso, la Conferenza episcopale cilena a fronte del clamoroso “caso Karadima” (sacerdote ottuagenario molto noto nel Paese e tra i più influenti religiosi nella Chiesa del Cile), ha emanato un Protocollo che consente alle gerarchie locali d’indagare anche nelle vicende in cui sia già subentrata la prescrizione.