Scritto da Il Tutore Pubblico dei Minori Nunzia Lattanzio
lunedì 21 dicembre 2009
lattanzio_nunzia.jpgNella mia veste di Tutore Pubblico dei Minori della Regione Molise, in relazione all’ormai nota vicenda che vede coinvolto don Felix Cini, destinato da alcuni mesi a questa parte dagli Uffici ecclesiastici a coadiuvare il parroco di Cercemaggiore, osservo che dal tenore delle imputazioni contestate al sacerdote, di oggettiva gravità – riportate nella sentenza di patteggiamento resa pubblica da un comitato di cittadini – e tenuto conto del coinvolgimento di giovani vite evidentemente tradite nella loro innocenza in un momento delicatissimo del loro sviluppo, si imponga una severa valutazione di quanto accaduto.
L’episodio grave ed increscioso, da me già segnalato alla locale Stazione dell’Arma e alla competente Autorità religiosa, ha prodotto l’inevitabile senso di disperazione tra la gente e in special modo tra i genitori dei bambini che sono soliti frequentare l’ambiente parrocchiale del piccolo paese della provincia di Campobasso.Il diritto di ogni bambino di vivere serenamente e di essere protetto dalle Istituzioni, sia esse civili che religiose, è sancito dal buon senso civico, dalla nostra Carta costituzionale e dall’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, Carte di diritto nazionale ed internazionale che ho l’obbligo di monitorare nella loro applicazione nella regione Molise.
Ricordo a me stessa che “ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa” (art. 11, c. 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani), e che pertanto.
Pur non contestando in alcun modo le decisioni delle Autorità ecclesiali, e riconoscendo anzi l’opportunità di concedere concrete possibilità di recupero a tutti coloro operanti nell’Ecclesia che vengono interessati da provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, evidenzio che nel caso portato all’attenzione dalle cronache non può assumere alcuna rilevanza la circostanza dell’essere il provvedimento con cui è stata irrogata la sanzione una sentenza di patteggiamento. Detto istituto mal si concilia infatti con la volontà da parte del soggetto interessato di voler pervenire ad un accertamento nel merito delle accuse e ad un’auspicata sentenza di piena assoluzione.
Ciò non è accaduto e tale elemento avrebbe probabilmente dovuto condurre ad assegnare al sacerdote, così intimamente coinvolto in una vicenda che di certo lo ha visto parte attiva, funzioni del tutto diverse che non prevedessero contatti diretti con la comunità dei bambini e degli adolescenti.
Non va sottaciuto che il Codice di Diritto Canonico, al canone 1395, paragrafo 2, prevede in tali casi, sia pure come misura estrema, addirittura la dimissione dallo stato clericale.
Auspico pertanto che quanto deciso dagli Organi della Chiesa possa essere rivisitato nel superiore interesse dei minori, delle loro madri e dei loro padri, i quali hanno il diritto di vivere ed esercitare le difficili funzioni genitoriali in clima di assoluta serenità – non inquinato da ‘ombre’ di nessun genere.
Ritengo che Don Felice Cini, colpevole per i gravi delitti ascrittigli debba astenersi da ogni servizio pubblico che gli consenta di avviare relazioni interpersonali con Minori di età; sarebbe quindi auspicabile che l’Uffizio religioso assegni a lui e a tutti i preti coinvolti in episodi di violenza sessuale o maltrattamenti a danno di bambini e adolescenti impieghi di gestione delle biblioteche o degli archivi ecclesiali.
Nunzia Lattanzio
- testo del canone 1395:
Can. 1395 – §1. Il chierico concubinario, oltre il caso di cui al can. 1394, e il chierico che permanga scandalosamente in un altro peccato esterno contro il sesto precetto del Decalogo, siano puniti con la sospensione, alla quale si possono aggiungere gradualmente altre pene, se persista il delitto dopo l’ammonizione, fino alla dimissione dallo stato clericale.
§2. Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione.
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