Due su duemila. È il dato della giustizia impossibile delle vittime di abusi nella Chiesa italiana. Nel nostro Paese, oltre quattromila persone hanno dichiarato o denunciato abusi sessuali commessi da sacerdoti o religiosi. Eppure, in vent’anni, solo due hanno ottenuto giustizia canonica e una sola è stata risarcita. È quanto emerge dal report consegnato ai Garanti per l’infanzia e l’adolescenza dalla Rete L’Abuso, l’associazione fondata da Francesco Zanardi, lui stesso sopravvissuto agli abusi di un prete a Savona e oggi tra i principali attivisti italiani sul tema. Il documento denuncia la totale inadempienza dello Stato e della Chiesa sul fronte della prevenzione e della tutela delle vittime, nonostante la ratifica della Convenzione di Lanzarote, l’approvazione del Codice Rosso e le leggi italiane 172/2012 e 69/2019.
La Chiesa stessa attraverso una commissione vaticana istituita per affrontare la crisi degli abusi sessuali da parte del clero, ha denunciato di recente la troppa «lentezza interna» nella gestione dei singoli casi. «Su 2414 vittime censite», spiega Zanardi, «solo due hanno avuto un processo canonico, una è stata risarcita, e con l’obbligo di non parlarne. È la prova che la giustizia, in Italia, si ferma davanti alle porte delle curie».
La trappola perfetta
Dal 2022 la Conferenza Episcopale Italiana ha istituito sportelli diocesani per raccogliere le segnalazioni di abusi, presentandoli come strumenti di trasparenza e accoglienza. Secondo Zanardi, sono invece «una trappola perfetta, oltre che l’unica cosa realizzata ma che non funziona, almeno per quello che dovrebbe essere l’obiettivo ufficiale. Le vittime, racconta, vengono convinte a recarsi negli sportelli pensando di parlare con professionisti, ma spesso si trovano davanti laici in pensione o volontari senza competenze giuridiche o psicologiche. Raccontano la propria storia, firmano un verbale che non possono conservare e, nel momento stesso in cui lo firmano, fanno partire la prescrizione.
«Quando anni dopo, il tempo necessario a riuscire a parlare di un abuso sessuale e a denunciarlo, provano a rivolgersi alla magistratura, la Chiesa mostra quella firma per dire che la vittima era già consapevole. Ovviamente parliamo dell’ambito civile. Così il reato è prescritto. È un sistema che usa le parole delle vittime contro di loro».
I numeri degli abusi
Nel report sono elencati 1.106 sacerdoti coinvolti in abusi, su circa 31mila attivi in Italia, pari a oltre il 3,57 per cento del clero. Le vittime sono 4.625, di cui 4451 minorenni, in maggioranza maschi, 515 donne, 11 persone con disabilità e 156 adulti vulnerabili. Dei 76 processi canonici avviati, solo 17 sacerdoti sono stati sospesi temporaneamente, 7 spostati in un’altra parrocchia e 18 ridotti allo stato laicale, quasi sempre su richiesta personale. Cinque si sono tolti la vita. In 1.056 casi non è stato preso alcun provvedimento. Nessuna diocesi autonomamente ha trasmesso i fascicoli alla magistratura italiana. «Nemmeno un vescovo ha mai denunciato un prete», afferma Zanardi.
«Eppure quarantaquattro tra vescovi e cardinali risultano omissivi. Nessuno di loro è stato indagato». Il problema, sostiene l’attivista, non è solo morale ma sistemico: «La Chiesa italiana ha costruito una macchina di autodifesa. Le diocesi si dichiarano “autonome”, ma quando c’è un caso si rifanno alla Cei che rimanda tutto a Roma. Alla fine nessuno è responsabile». Zanardi cita i casi emblematici di Savona, Genova, Verona e Bolzano, dove sacerdoti già noti alle autorità ecclesiastiche sono stati spostati in altre parrocchie, spesso a contatto con minori.
«È la stessa logica che negli Stati Uniti è costata miliardi di dollari di risarcimenti. Ma lì la magistratura è intervenuta. Qui no. In Italia lo Stato non chiede conto a nessuno». Mentre la Cei parla di «tolleranza zero», la realtà descritta dalla Rete L’Abuso è quella di una giustizia che giudica se stessa. La commissione indipendente promessa dal cardinale Matteo Zuppi nel 2022 non è mai nata. I dati ufficiali diffusi dai vescovi, 1049 casi di abuso dal 2000 al 2021, si limitano a quelli raccolti internamente agli sportelli, escludendo le denunce alla magistratura e i casi noti alle associazioni. Non vengono forniti i nomi dei sacerdoti, le diocesi, lo stato delle vittime e i risarcimenti. È caso recente quello che ha visto in Piemonte un prete accusato di presunte molestie essere spostato dalla parrocchia dov’è accusato ad un’altra.
Senza giustizia
«La Chiesa parla di trasparenza ma non consegna i nomi alla giustizia», commenta Zanardi. «Li raccoglie solo per gestirli internamente. È un sistema chiuso, autoreferenziale, che non risponde a nessuno». Anche lo Stato, secondo il report, è corresponsabile. La legge italiana non prevede obbligo di segnalazione per i cittadini che vengano a conoscenza di un abuso e il certificato anti-pedofilia, introdotto nel 2014, non si applica al volontariato, la stessa area in cui operano sacerdoti, catechisti e operatori parrocchiali. In questo vuoto normativo, un prete condannato può tornare a lavorare con i minori. «Lo Stato sa e tace. La politica fa finta di non vedere», accusa Zanardi. I dati raccolti dall’associazione parlano chiaro: 155 condanne definitive, 61 casi prescritti, 20 patteggiamenti, 8 archiviazioni, 46 denunce ancora pendenti, 6 casi con reo confessi, 9 preti recidivi. Il tempo medio che una vittima di abusi impiega per denunciare è tra i venticinque e i trent’anni ma la prescrizione si ferma a venti.
«È una matematica dell’impunità», sintetizza Zanardi. Il documento depositato ai Garanti chiede tre interventi urgenti: estendere il certificato anti-pedofilia anche al volontariato e al clero, introdurre l’obbligo di segnalazione per chiunque venga a conoscenza di abusi e creare centri indipendenti di supporto per le vittime, fuori dalla sfera ecclesiastica. «Dopo il caso Spotlight (che portò alla luce abusi sessuali commessi da oltre 70 preti solo a Boston, ndr)», ricorda Zanardi, «in Paesi come Irlanda, Francia, Germania e Stati Uniti sono nate commissioni pubbliche di inchiesta con poteri reali. In Italia invece ci si affida alle parole dei vescovi». Negli ultimi anni alcune diocesi hanno tentato di mostrare apertura, organizzando incontri di ascolto o preghiere per le vittime.
Ma per Zanardi si tratta di gesti «più simbolici che concreti». «La CEI parla di accoglienza ma non riconosce le vittime come interlocutori. Non ci ricevono, non rispondono alle lettere, e quando lo fanno è solo per chiedere silenzio». Il fondatore della Rete L’Abuso rivendica un diritto alla parola pubblica: «Per anni ci hanno detto che eravamo pochi e che ci inventavamo tutto. Ora i numeri li abbiamo».
Due processi canonici, una vittima risarcita, migliaia di storie senza risposta: è il bilancio. «La pedofilia clericale in Italia non è un’emergenza», conclude Zanardi, «è strutturata. Finché lo Stato non avrà il coraggio di dirlo, le vittime continueranno a bussare a una porta chiusa».
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