Padre Carlo Alberto Capella, in queste settimane, ha finito di scontare i cinque anni di galera in Vaticano perché colpevole di possesso e traffico di materiale pedopornografico. Senza più il titolo di monsignore, è tornato a lavorare presso la Seconda Sessione della Segreteria di Stato dove anni fa aveva cominciato la sua carriera ecclesiastica nell’ambito dell’apparato internazionale della Sede Apostolica. In realtà, Capella quando era agli arresti in una stanza della caserma della Gendarmeria vaticana lavorava già presso gli Uffici dell’Elemosiniere del Santo Padre.
Ora, pagato il debito con la giustizia, il presbitero nato a Carpi nel 1967, ordinato a Milano nel 1993 da dove per consiglio del card. Carlo Maria Martini sbarcò nella Segreteria di Stato, è stato reintegrato tra i dipendenti della Sede Apostolica con l’obbligo di rispettare severamente alcune restrizioni legate alla natura dei suoi delitti.
La condanna
Capella, accusato “di pedopornografia nelle particolari fattispecie previste e punite dagli articoli 10 e 11 della legge n. VIII del 2013 (detenzione e scambio di materiale pedopornografico con l’aggravante dell’ingente quantità)”, fu rinviato a giudizio il 9 giugno 2018. La prima udienza si tenne presso il Tribunale Vaticano il 22 giugno. Il giorno dopo, Capella venne condannato a 5 anni di carcere più 5mila euro di multa. (Comunicato vaticano)
Allora, dopo la sentenza, Vatican News riferiva: “Prima della sentenza è intervenuto anche mons. Capella. Come aveva fatto già nella fase istruttoria, ha ammesso di aver compiuto “atti compulsivi di consultazione impropria di internet”. Gli errori commessi – ha affermato – sono evidenti. Ha aggiunto di essere dispiaciuto per quanto questo periodo di debolezza abbia inciso nella vita della diocesi, della Chiesa e della Santa Sede. Sono pentito e rammaricato e sono addolorato – ha poi detto mons. Capella – per la mia famiglia. Spero che questa situazione – ha proseguito – possa essere considerata un incidente di percorso nella mia vita sacerdotale, che amo ancora di più. Voglio proseguire – ha concluso – nel cammino riabilitativo.”
La notizia sette anni fa.
Il 7 aprile 2018 la Sala stampa vaticana pubblicò a sorpresa questo comunicato che causò gran rumore mediatico: “Questa mattina, su proposta del Promotore di Giustizia, il Giudice Istruttore del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha emesso un mandato di cattura a carico di Mons. Carlo Alberto Capella. Il provvedimento è stato eseguito dalla Gendarmeria Vaticana. L’imputato è detenuto in una cella della caserma del Corpo della Gendarmeria, a disposizione dell’autorità giudiziaria. L’arresto giunge al termine di un’indagine del Promotore di Giustizia. Il Giudice Istruttore ha ordinato il provvedimento sulla base dell’articolo 10, commi 3 e 5, della legge VIII del 2013”.
Il nome di Capella nell’Annuario pontificio 2025
Le redazioni di pubblicazioni cattoliche, in queste settimane, hanno pubblicato alcuni articoli che sostanzialmente, seppure con linguaggio morbido, contestano il fatto che mons. Capella – che ha subìto anche un processo canonico – sia stato riammesso negli uffici della Segreteria di Stato. Queste analisi riportano numerose frasi di critica, perplessità e rifiuto, ma sempre attribuite a fonti anonime identificate al massimo con le diciture “persone vicine al dossier o fonti vicine alla Segreteria di Stato”. The Pillar che si è occupato della vicenda scrive: “Una fonte a conoscenza diretta della situazione ha ricordato che Capella fu portato nell’ufficio della Segreteria di Stato dall’arcivescovo Paul Gallagher, capo della seconda sezione e ministro degli esteri del Vaticano”. Il ritorno in Segreteria “è stato chiaramente presentato come un atto di misericordia”, ha detto il funzionario. “L’intenzione era che quest’uomo, che non era stato ridotto allo stato laicale ma che chiaramente non poteva tornare nella sua diocesi o prestare servizio in una parrocchia, potesse collaborare all’ufficio e rimanere in Vaticano, dove è di fatto isolato, ma senza un ufficio formale”.
Le due fonti di The Pillar affermano “che l’intesa iniziale prevedeva che Capella avrebbe lavorato come speechwriter e avrebbe contribuito alla stesura di relazioni senza una designazione ufficiale, un incarico o un grado. Ma qualcosa sembra essere cambiato di recente, con l’edizione del 2025 dell’Annuario Pontificio che elenca formalmente il sacerdote tra i funzionari della sezione diplomatica. Capella è classificato tra i minutanti ovvero gli impiegati senior, e il suo nome compare accanto a quello di diversi capi sezione del dipartimento.”
Sempre The Pillar, con riferimento alla comparsa del nome di Capella nell’Annuario Pontificio 2025, conclude: “Tutti quelli che conoscono la vicenda credono che questo sia oltre il limite, nessuno capisce come sia stata presa questa decisione”, ha detto il funzionario. “Questo è l’opposto di quello che avrebbe dovuto essere lo scopo, ovvero che potesse rendere un servizio utile pur vivendo una vita appartata, senza dare scandalo”.
Ontario. Natale 2016
Le allora presunte attività illegale di Carlo Alberto Capella sono state individuate nel 2016 dalla rete di collaborazione tra la Polizia statunitense e quella canadese specializzata nella lotta contro la pedopornografia digitale. Da subito il caso richiamò l’attenzione prioritaria sia negli Usa sia in Canada. In particolare i sospetti più pesanti contro le attività dell’allora Monsignore Capella in rete sorsero a Windsor (Ontario, Canada) durante il periodo natalizio del 2016. A partire da quel momento il pedinamento digitale e il monitoraggio del dipendente vaticano della Nunziatura a Washington divenne costante e le Polizie statunitense e canadese strinsero un coordinamento ferreo, da subito in contatto con la Santa Sede, con il Nunzio Christophe Pierre (in carica dall’aprile 2016).
Accordi con il Vaticano
La situazione si era molto complicata. Il Canada voleva e chiedeva l’arresto e l’estradizione di Capella che ormai era rientrato a Washington. Gli Stati Uniti volevano arrestarlo ma senza crear frizioni con la Santa Sede. L’arresto o l’estradizione complicavano moltissimo i rapporti tra Vaticano, il Canada e la Casa Bianca, dove il 16 gennaio si insediava il Presidente Trump.
Mons. Capella era un diplomatico vaticano, cosa non trascurabile perché godeva dell’l’immunità, ma era imputato con numerosissime prove di reati gravissimi in qualsiasi codice penale, accuse anche pesanti moralmente per un sacerdote della Chiesa Cattolica impegnata dal Papa stesso nella lotta contro la pedofilia tra i membri del clero.
In questo contesto è nata la possibilità di spedire mons. Capella in Vaticano, discretamente, in virtù di accordi politici e diplomatici, sorpassando le leggi locali, e quindi lasciando al Papa in persona ulteriori decisioni.
Il processo fu una formalità necessaria. In realtà da subito era tutto chiaro e così Capella fu portato in Vaticano con la condanna scritta in tasca. Era l’accordo con il Vaticano.
Da ricordare che allora, gennaio 2017, la Casa Bianca aveva da poche settimane un nuovo inquilino: Donald Trump.
Nota. Capella era stato assegnato alla nunziatura pontificia in India nel 2003 e alla nunziatura a Hong Kong nel 2007. Nel 2008 venne creato Cappellano di Sua Santità, decisione che gli ha conferito quindi il titolo di monsignore. Nel 2011 è stato trasferito in Vaticano per prestare servizio presso la Segreteria di Stato. Poi, nel 2016 è stato assegnato alla nunziatura pontificia negli Stati Uniti. Non molto tempo dopo, nel 2017, Capella fu richiamato in Vaticano senza apparente causa e senza che venissero precisati eventuali nuovi compiti. Nel frattempo, con estremo riserbo gli Stati Uniti, avevano informato la Santa Sede che mons. Capella era sotto inchiesta per possesso e condivisione di materiale pedopornografico. Il Canada emise addirittura un mandato di arresto nei suoi confronti, sostenendo che durante una visita in Canada nel dicembre 2016 aveva posseduto e condiviso materiale pedopornografico.
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