Non è solo la fine di una carriera clericale. È il crollo di un muro di omertà. Giuseppe Rugolo, ex sacerdote della diocesi di Piazza Armerina, è stato ufficialmente ridotto allo stato laicale. La Chiesa ha spezzato ogni legame con lui dopo averlo riconosciuto colpevole di abusi su minori. Un atto raro e probabilmente tardivo, ma che arriva grazie alla denuncia coraggiosa di Antonio Messina, il giovane archeologo che ha avuto la forza di parlare per primo. È la sua voce, solitaria e determinata, ad aver aperto la breccia con una denuncia che ha aperto alla crisi. Perché Rugolo non è solo un carnefice da isolare: è il volto scoperto di una sistema che per anni ha scelto di proteggere se stesso. E che, stavolta, non ha comminato all’ex sacerdote solo una sanzione canonica, ma dato un segnale forte. Una crepa nel muro di gomma.
La svolta (fuori dalla Sicilia)
Il processo canonico – celebrato fuori dai confini siciliani – ha dichiarato Rugolo colpevole di abusi su minori. Il verdetto ha tagliato ogni legame tra l’ex prete e la Chiesa, sancendo la sua dimissione dallo stato clericale, ora in attesa solo della ratifica formale dal dicastero per la Dottrina della fede. Ma quel che colpisce è la modalità: il procedimento è stato affidato a una commissione composta da membri non siciliani, riuniti in un albergo per garantire indipendenza e protezione da qualunque condizionamento locale. Una scelta non casuale, secondo Alessandro Camedda, avvocato rotale e consulente della parte offesa: «Se il Vaticano avesse voluto coinvolgere la diocesi, avrebbe utilizzato il tribunale ecclesiastico locale. Invece ha escluso Piazza Armerina. È stata una decisione netta, significativa».
Il coraggio che ha fatto crollare il muro
Ma questo atto di giustizia ecclesiastica nasce da un fatto molto più umano e scomodo: la denuncia pubblica e personale di Antonio Messina, che ha avuto la forza di portare alla luce non solo la propria storia, ma anche quella di altri ragazzi coinvolti, ancora minorenni all’epoca dei fatti. Nel processo penale, Rugolo è stato condannato in primo grado a quattro anni e mezzo, pena poi ridotta in appello a tre anni per la «tenuità del fatto» in relazione agli altri due giovani. Una definizione che ancora oggi lascia sgomento chi conosce i dettagli della vicenda. Ma non intacca la forza di Messina nel rompere il silenzio, affrontando lo stigma, l’isolamento e il peso della denuncia.
Il sistema che resta (e che va smontato)
La riduzione allo stato laicale di Rugolo non è la fine. È un inizio di resa dei conti, non solo contro il singolo sacerdote, ma contro un sistema che ha per anni protetto, coperto, silenziato. Lo dimostra il fatto che, mentre Rugolo viene formalmente allontanato, la diocesi di Piazza Armerina è chiamata in causa in un altro processo. Il vescovo Rosario Gisana e il parroco del Duomo di Enna don Vincenzo Murgano sono imputati per falsa testimonianza: secondo gli inquirenti, avrebbero mentito durante il primo procedimento contro Rugolo. La prima udienza è fissata per l’autunno e mira a ricostruire anche la rete di verità collaterali, tra possibili omissioni, reticenze e apparenti dimenticanze. Per evitare che la giustizia si esaurisca con un singolo mostro da isolare. Senza scardinare le impalcature e le responsabilità – anche morali e istituzionali – che hanno reso possibile questa e altre vicende. Una sfida anche per la Chiesa, a cui adesso tocca guardarsi dentro e scegliere.