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Il nuovo Papa dovrà occuparsi anche degli abusi sessuali nella Chiesa, e potrebbe essere un problema

A Francesco viene attribuito il merito di aver adottato misure più incisive rispetto a quelle dei suoi due predecessori, ma la questione rimane seria

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
15 Maggio 2025
in Mondo
Reading Time: 8 mins read
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“Stiamo esponendo un problema che non è risolvibile con le sole forze della Santa Sede. Lo sforzo di chiunque sarà eletto Papa sarà quello di intervenire chiedendo agli Stati che hanno vuoti legislativi, come l’Italia, di colmarli per non rendere vano lo sforzo che anche la Chiesa sta cercando di fare in questo contesto”. Con queste parole Francesco Zanardi, presidente dell’associazione Rete L’Abuso, lo scorso 7 maggio, giorno di inizio del conclave che ha eletto Papa Leone XIV come successore di Papa Francesco, ha riportato all’attenzione il problema della gestione, della denuncia e dell’adeguatezza delle leggi per i reati che coinvolgono sacerdoti e hanno come vittime ragazzine e ragazzini, soprattutto.

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Un tema che è sembrato più attuale che mai fin da poche ore dopo la nomina di Robert Francis Prevost come 267º papa della Chiesa cattolica e primo papa statunitense della storia, lo scorso 8 maggio.

Papa Leone XIV è stato criticato proprio per la gestione di due casi di abusi sessuali: il primo, più recente, riguarda accuse mosse nel 2024 da tre sorelle per episodi avvenuti nella diocesi di Chiclayo in Perù, dove Prevost fu vescovo dal 2015 al 2023. Il secondo caso risale invece a oltre 25 anni fa, quando Prevost, allora priore provinciale a Chicago, autorizzò la residenza di un sacerdote accusato di abusi sessuali vicino a una scuola elementare.
Seppure il Vaticano abbia negato ogni responsabilità di Prevost, è vero che il suo nome è stato oggetto di inchiesta e questo oggi sembra essere un campanello d’allarme su un tema così rilevante.

Ma qual è l’entità del problema?

Il numero è impressionante, se si considera che spesso gli abusi non vengono denunciati oppure vengono ignorati o addirittura insabbiati. Ci fu, per esempio, un’inchiesta della televisione polacca TVN24, trasmessa lunedì 6 marzo 2023, che sostenne che quando Karol Wojtyla era vescovo e cardinale di Cracovia, e dunque prima di essere eletto papa, fosse a conoscenza dei casi di pedofilia nella Chiesa polacca. Ai sacerdoti accusati di aver commesso abusi sui minori avrebbe dato copertura spostandoli in altre parrocchie lontane da Cracovia. L’autore del reportage è il giornalista investigativo Marcin Gutowski. Gutowski dice che Wojtyla, già dagli anni Sessanta, non solo era a conoscenza degli abusi commessi dai sacerdoti nella sua diocesi, ma che intervenne direttamente spostando alcuni dei preti accusati da una parrocchia all’altra: una pratica assai comune all’interno della Chiesa.

Sempre nel 2023 la Chiesa portoghese aveva presentato risultati di un’inchiesta sugli abusi subiti da minori e compiuti da rappresentanti del clero in Portogallo. L’inchiesta, condotta da una commissione indipendente, aveva individuato 4.815 casi accertati di abusi sessuali su minori fra il 1950 e il 2022: è una cifra ottenuta da 512 testimonianze raccolte in un anno, a cui si aggiungono casi denunciati da persone diverse dalle vittime. Il capo della commissione, il neuropsichiatra infantile Pedro Strecht, ha detto che con ogni probabilità è una stima per difetto e che i casi registrati sono solo una parte di quelli realmente avvenuti.

L’impegno di Papa Francesco e le riforme incompiute

L’inchiesta, che seguiva quelle già concluse in Australia, Francia, Germania, Irlanda e Paesi Bassi, era partita nel novembre del 2021 su richiesta del Vaticano e di Papa Francesco. In materia di lotta alla pedofilia, infatti, Bergoglio nel corso del suo pontificato ha fatto alcune cose, anche se non abbastanza. Il pontefice nel 2019 aveva varato un motu proprio, cioè una legge della Chiesa cattolica, che impone a tutte le religiose e ai religiosi di qualsiasi ordine, di denunciare gli abusi segnalandoli alle autorità ecclesiastiche, che dovranno dotarsi di adeguati sportelli. La legge arrivava dopo un’importante riforma in tema pedofilia. Il 29 marzo 2019 Bergoglio aveva infatti promulgato un altro testo col quale introduceva l’obbligo di denuncia penale per tutti i pubblici ufficiali, l’obbligo di portare avanti l’azione penale indipendentemente dalla volontà della vittima, il decadimento della prescrizione sui reati di questo tipo e il licenziamento di chi risulterà colpevole.

Bergoglio, inoltre, aveva privato della berretta rossa il cardinale scozzese Keith Michael Patrick O’Brien, che era già stato escluso al conclave del 2013 – quello che lo aveva eletto Papa – proprio perché aveva ammesso le sue molestie sessuali su quattro sacerdoti. Nessun pontefice negli ultimi decenni aveva applicato un provvedimento così duro.

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Quando Francesco convocò i vescovi di tutto il mondo in Vaticano nel 2019 per un incontro senza precedenti che mirava a rendere la protezione dei minori una priorità globale, fu un segnale che il Vaticano stava finalmente trattando gli abusi sessuali del clero come una crisi globale piuttosto che come il fallimento di un particolare Paese o cultura. Incontrò anche personalmente le vittime in molti dei suoi viaggi internazionali, per dimostrare che la Chiesa era consapevole del loro dolore.

Il caso italiano e il rapporto CEI

Eppure il rapporto “Proteggere, prevenire, formare” della Conferenza Episcopale Italiana, un documento annunciato a maggio 2022 dal presidente della CEI (e attualmente tra i papabili favoriti a diventare il nuovo pontefice) Matteo Zuppi che avrebbe dovuto essere, o almeno così si era capito allora, la prima parte di una indagine indipendente commissionata dalla Chiesa italiana sugli abusi sessuali e la pedofilia commessi al proprio interno, finora mai realizzata, fu deludente.

In realtà il rapporto considerava solo alcuni casi segnalati alla Chiesa stessa avvenuti fra 2020 e 2021, e perciò offriva un quadro assai limitato e parziale. Nella Chiesa italiana ci sono sempre state enormi resistenze nei confronti di questa inchiesta. La prima parte del rapporto era pertanto molto attesa anche perché, negli ultimi anni, diverse Chiese nel mondo hanno realizzato queste indagini in modo approfondito e dettagliato: che avevano portato tra l’altro, come ad esempio in Francia, al riconoscimento ufficiale della responsabilità istituzionale della Chiesa per le violenze sessuali e gli abusi subiti da migliaia di persone negli anni, e al riconoscimento, anche, della «dimensione sistemica» di quelle stesse violenze. L’indagine italiana, tuttavia, è stata deludente. La questione degli abusi o dei fatti segnalati a questi servizi interni alla Chiesa, che avrebbe dovuto essere centrale, è affrontata solo in un breve passaggio: in modo comunque molto parziale e solo in relazione agli anni 2020 e 2021. Zuppi aveva annunciato che il rapporto doveva riguardare i casi avvenuti negli ultimi vent’anni, dal 2000 al 2021: non ci sono state spiegazioni sul perché la prima parte contenga i dati di due anni su venti.

Una ferita aperta

Dalla morte di Francesco, insieme a cardinali, ecclesiastici e fedeli di tutto il mondo, sono arrivati ​​a Roma anche sopravvissuti agli abusi sessuali e quanti monitorano la gestione dei casi di abuso da parte della Chiesa cattolica romana. Sono lì nella speranza di convincere i cardinali a dare priorità alla questione quando dovranno decidere chi sarà il prossimo Papa. “Penso che sia molto importante ricordare loro che non ce ne andremo”, ha affermato Matthias Katsch, membro del consiglio direttivo di Ending Clergy Abuse, un gruppo di sostegno con sede a Berlino che rappresenta i sopravvissuti di 20 paesi. Matteo Bruni, portavoce del Vaticano, ha affermato venerdì che durante gli incontri pre-conclave i cardinali avevano discusso degli abusi sessuali nella Chiesa e lo avevano considerato una “ferita da tenere aperta” affinché la consapevolezza del problema rimanesse viva e si potessero individuare percorsi concreti di guarigione.

Che sia una ferita aperta, ci sono pochi dubbi, dato che continuano ad emergere resoconti di abusi e insabbiamenti da parte del clero: da casi singoli a centinaia elencati nei rapporti commissionati dalle conferenze episcopali nazionali. Gli attivisti affermano che i principali ostacoli allo sradicamento del flagello si trovano all’interno della Chiesa stessa, sia a livello locale che all’interno della gerarchia vaticana. “In molti Paesi del mondo non occidentale, gli abusi sono ancora considerati un problema occidentale”, ha affermato Marie Collins, ex membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, istituita da Francesco nel 2013 per consigliarlo sulla questione degli abusi sessuali da parte del clero. All’epoca, la creazione di un gruppo di questo tipo fu vista come un segnale forte della consapevolezza di Francesco dell’impatto della crisi degli abusi sui fedeli.

Ma Collins, vittima di abusi irlandese, ha ricordato come la commissione abbia incontrato importanti ostacoli. Era sottofinanziata e carente di personale, ha detto, e i funzionari vaticani erano riluttanti a interagire con i membri della commissione. Per questo i gruppi di attivisti affermano che negli incontri pre-conclave i cardinali dovrebbero essere schietti e pretendere una risposta sì o no alla domanda “Promulgherete una vera legge universale di tolleranza zero?”

Il gruppo “Survivors Network of those Abused by Priests” (SNAP) afferma che i cardinali dovrebbero anche essere consapevoli di come ciascun candidato papale abbia gestito i casi di abuso sessuale avvenuti dentro la Chiesa cattolica. Su questo punto, il mese scorso l’organizzazione ha lanciato Conclave Watch, un progetto che esamina il comportamento e le dichiarazioni dei cardinali sul tema delle violenze. L’organizzazione ha raccolto dossier che chiedono al Vaticano di indagare sui precedenti di 20 cardinali, inclusi alcuni candidati papali spesso citati. Qualsiasi cardinale che “abbia gestito male o insabbiato crimini sessuali, non dovrebbe diventare Papa”, ha dichiarato mercoledì Peter Isely, leader di SNAP di Milwaukee, in una conferenza stampa a Roma. “Questo sembra un criterio ragionevole e pertinente che dovrebbe essere la priorità”, ha affermato. Nessuno dei cardinali pubblicamente accusati di aver gestito male i casi ha parlato con i rappresentanti dei gruppi dei sopravvissuti per affrontare le accuse.

D’altronde lo dicono anche le nuove linee guide della Cei, guidata dal cardinale Zuppi, che al punto 5.5 spiegano che “non può essere tollerato nessun clima di complice e omertoso silenzio in tema di abuso sessuale nei confronti di minori o persone vulnerabili: chiunque abbia notizia della presunta commissione in ambito ecclesiale di abusi sessuali nei confronti di minori o persone vulnerabili è tenuto a segnalare tempestivamente i fatti di sua conoscenza alla competente autorità ecclesiastica, a tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, della ricerca della verità e del ristabilimento della giustizia, se lesa”.

Quand’è che è necessario soffocare l’omertà e denunciare per un ecclesiastico?

Al punto 8.2 dicono: “L’autorità ecclesiastica ha l’obbligo morale di procedere all’inoltro dell’esposto all’autorità civile qualora, dopo il sollecito espletamento dell’indagine previa, sia accertata la sussistenza del fumus delicti. L’autorità ecclesiastica non procederà a presentare l’esposto nel caso di espressa opposizione, debitamente documentata e ragionevolmente giustificata, da parte della vittima (se nel frattempo divenuta maggiorenne), dei suoi genitori o dei tutori legali, fatto salvo sempre il prioritario interesse del minorenne”.

https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a64697045/papa-leone-xiv-prevost-casi-abusi-sessuali/

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