Nel verdetto della diocesi Ambrosiana che pare più “uno scherzo da preti” si legge che don Samuele Marelli viene spogliato dell’abito sacerdotale per i prossimi cinque anni che sembrano quasi una vacanza dove non avrà neppure più l’onere della messa.
Viene imposta «la proibizione di risiedere nel territorio dell’Arcidiocesi di Milano», «dell’esercizio pubblico del ministero sacerdotale», sempre per cinque anni, oltre al divieto perpetuo di «cercare contatti volontari con minori, se non alla presenza di un accompagnatore maggiorenne», quest’ultimo provvedimento molto fantasioso, a meno che l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini non intenda “scortarlo” 24/24 a vita.
Non una parola riguardo le vittime di don Marelli.
Detta così è di certo inaccettabile per chiunque e rasenta il ridicolo, ma non è così.
Vediamo il perché.
Partiamo dall’equivoco indotto da molti prodotti giornalistici, alcuni persino ben fatti ma tutti contengono un’incorrettezza che genera un macroscopico equivoco di fondo che li rende forvianti, facendoli puntualmente terminare con nessuna soluzione al problema.
Questo accade quando il prodotto giornalistico, in quanto tale sfora dalle competenze giornalistiche, totalmente assente di una analisi tecnica che un giornalista per quanto bravo raramente ha.
Ma partiamo da una base corretta perché l’errore è generato da un pensiero incorretto dove lo Stato, in questo caso l’Italia, viene visto dall’autore come se l’Italia fosse un’estensione dello Stato Pontificio le cui leggi possono essere applicate.
Questo è un gravissimo errore perché va ricordato che ogni stato al mondo ha le sue leggi basate sulla propria costituzione e se pur diverse sono tuttavia compatibili in quanto si basano sul diritto della persona, cioè del cittadino.
C’è un solo Stato al mondo che ha una carta costituzionale incompatibile con il resto del mondo, questo Stato è quello Pontificio la cui costituzione si basa sul diritto di Dio e il cittadino in questo caso non ha un diritto ma un dovere.
La costituzione dello Stato del Vaticano sono i dieci comandamenti e se quasi nessuno nota questo, basta leggere uno dei motu propri in materia, prendiamo l’ultimo il Vox Estis lux mundi dove all’articolo 1 è chiaramente scritto “* un delitto contro il VI comandamento del decalogo commesso con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, o nel costringere qualcuno a realizzare o subire atti sessuali”.
Per chi non sapesse il sesto comandamento del decalogo (dieci comandamenti) è “non commettere atti impuri”, cioè un peccato contro Dio dove la persona è colei che ha un dovere nel non commetterlo.
L’esatto opposto di quello che accade in tutte le altre leggi al mondo dove l’oggetto del danno è la persona che viene abusata contro la quale quindi, viene commesso un crimine.
Credo che il concetto adesso sia chiarissimo, quanto la sospensione per cinque anni di don Marelli, una sanzione sufficiente per la chiesa a scontare il peccato commesso.
Vi domanderete adesso come si risolve il crimine subito dall’abusato?
Anche qui la risposta è semplicissima, ci deve pensare lo Stato, non quello Pontificio ma quello italiano. Altro passaggio che puntualmente viene dimenticato ed è a causa di ciò che nell’immaginario collettivo delle illustrazioni giornalistiche crea quell’imperdonabile equivoco.
Un problema particolarmente italiano dove i governi non hanno mai proferito parola e adeguato le leggi, minore all’estero dove magari anche li si sottolinea poco la doppia struttura giudiziaria che tuttavia viene compensata dal fatto che esistano contrariamente all’Italia leggi che compensano evitando il problema.
Esemplare il caso di Piero Brogi, un italiano abusato in Italia, che da anni vive in Francia dove è stato risarcito dalla conferenza episcopale francese.
Questo fa capire che i provvedimenti di Papa Francesco sono stati recepiti laddove le leggi dello stato sono adeguate, mentre in Italia i vuoti legislativi sono tali da aver concesso alla conferenza episcopale la libertà non solo di non fare un’inchiesta governativa, ma ad oggi di non parlare neppure lontanamente di risarcimenti alle vittime.
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