L’assemblea generale dell’episcopato polacco (12-14 marzo) ha respinto il progetto di commissione di indagine sugli abusi presentato da un gruppo di lavoro presieduto dal primate, Wojciech Polak, arcivescovo di Gniezno.
Il comunicato finale dice: «I vescovi sottolineano che la commissione è necessaria, deve essere istituita e avere un carattere storico, con i necessari elementi di analisi interdisciplinare. Sono state formulate numerose osservazioni sulla bozza della commissione che saranno inoltrate al gruppo di lavoro che sta lavorando alla definizione della forma della commissione. Saranno necessarie ulteriori consultazioni su questo argomento» assieme ai superiori maggiori maschili e femminili. Si attendeva un esito positivo dopo un lavoro di due anni, l’incontro dei vescovi con le vittime, l’inoltro al Dicastero vaticano di proposte per modificare il Codice di diritto canonico e dare voce alle vittime nei processi (cf. qui su SettimanaNews).
L’ufficio giuridico si mette di traverso
La mazzata è arrivata dall’ufficio giuridico della Conferenza che, il 28 febbraio, ha dato un giudizio negativo alle “direttive di funzionamento della commissione”.
Denuncia il carattere investigativo dell’organismo e non solo storico-informativo, tale da porre sotto inchiesta anche i vescovi (cosa che il Codice riserva alla Santa Sede).
Inoltre, prevede la possibile collaborazione con persone di non provata fede che potrebbero non aver a cuore il bene della Chiesa.
Sottolinea anche: l’impossibilità di verificare le accuse, il lungo periodo di investigazione (dal 1945 ad oggi), la carenza di indicazioni dei costi dell’operazione e la possibilità che il materiale raccolto possa essere utilizzato per cause civili contro enti ecclesiastici.
La conclusione è drastica. Si torni a votare sulla natura della commissione, dopo la decisione del 2023. Mons. Polak si è affrettato a dire che l’episcopato è autonomo rispetto all’ufficio giuridico, vuole la commissione e l’indagine storica deve partire dal 1945, ma si è astenuto dall’indicare date per una decisione definitiva. Difficile per ora immaginare le reazioni delle vittime, del gruppo di lavoro e dell’opinione pubblica cattolica e non.
Tutti erano fiduciosi fino a pochi giorni prima di un esito positivo e coraggioso da parte dell’assemblea. L’opera congiunta della Fondazione san Giuseppe per le vittime, il consenso dei religiosi e delle religiose, l’ampia opera di informazione, le pesanti censure vaticane a una dozzina di vescovi, gli investimenti di milioni di zloti per risarcimenti e iniziative di formazione avevano arginato l’enorme bolla mediatica scatenata dalle rivelazioni di libri, video, film e testimonianze sull’ampiezza del fenomeno degli abusi ecclesiastici (cf. qui su SettimanaNews).
Tensioni esterne e interne
L’attuale situazione di stallo è comprensibile ma, a sua volta, alimenta il clima di tensione che gli altri argomenti all’ordine del giorno dei vescovi manifestano.
Il primo è la situazione di scontro aperto con il governo per la nuova disciplina dell’insegnamento della religione nella scuola. Il governo ha stabilito di dimezzare le ore, di collocarle all’inizio e alla fine della giornata e di accorpare le classi quando i non avvalentisi siano numerosi.
Non ha accettato la contro-proposta dei vescovi di recepire la riduzione per le scuole superiori, mantenendo le due ore settimanali per quelle inferiori e collocando l’insegnamento religioso o di etica nella valutazione curricolare.
Inutile l’intervento della Corte costituzionale (considerato improprio dal governo), non viabile il riferimento al Concordato, non facilmente collocabili i 10.000 insegnanti (su 30.000; laici per il 50%) che verrebbero espulsi dalla scuola.
In merito, i vescovi «ritengono ingiuste e inique le disposizioni volte a ridurre la durata settimanale delle lezioni di religione da due a un’ora, a collocare le lezioni di religione immediatamente prima o dopo le altre (obbligatorie) e ad accorparle. Nell’introdurre queste modifiche il ministero dell’istruzione ha agito illegalmente perché non ha tenuto conto dell’accordo con le Chiese previste dalla legge».
Si aprono contenziosi in tutte le sedi possibili (nazionali, europee e mondiali) e i vescovi appoggiano la raccolta di firme per un disegno di legge di segno opposto (cf. qui su SettimanaNews).
Non ancora affrontato, ma già al calor bianco la discussione con il governo per il fondo pubblico previsto per la Chiesa. Senza contare il rinnovato scontro sull’aborto e sui temi morali sensibili. I vescovi hanno affrontato la questione dei media, sia di proprietà, ma soprattutto dell’insieme del contesto nazionale.
Motivi di preoccupazione sorgono anche dall’interno della vita ecclesiale, in particolare sul ministero e la formazione dei sacerdoti. Un’ampia informativa è stata fornita ai vescovi da un’indagine nazionale sulla formazione permanente dei parroci e dei cappellani. Il clima complessivo è di crescente perplessità.
La ricerca mostra che i parroci sono disorientati davanti alla rapidità dei cambiamenti socio-culturali. Si richiede, da parte di molti di essi, la collaborazione con i laici e il cambiamento del modello: da un contesto di cristianità a uno di minoranza o, meglio, di relazioni comunitarie. Piuttosto critico anche il giudizio sulla formazione permanente del clero, troppo teologica e poco esperienziale. I cappellani lamentano l’insufficienza della formazione seminaristica e la scarsa comunicazione coi parroci, che, a loro volta, lamentano la distanza dei vescovi.
Segnalano il rischio del burnout, della depressione professionale, e indicano che, nelle difficoltà, i loro riferimenti sono gli amici e i familiari più che i vescovi o i colleghi.
Nel comunicato finale si dice: «È stato presentato un modello di formazione sacerdotale che consenta una risposta multidimensionale alla diversità di sfide, compiti e problemi che i sacerdoti e i candidati al sacerdozio affrontano nel mondo contemporaneo. Sono stati inoltre affrontati lo stato e gli orientamenti della formazione nei seminari teologici e il funzionamento della pastorale vocazionale».
https://www.settimananews.it/chiesa/polonia-abusi-bocciata-la-commissione
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