Il Vaticano ha avviato in Polonia un’indagine sull’attività dell’arcivescovo di Przemysl Adam Szal e del suo predecessore Jozef Michalik circa possibili omissioni nello sradicare la pedofilia di questa diocesi. Lo riporta il giornale Rzeczpospolita rivelando il caso di un prete che negli anni novanta, quando a dodici anni era chierichetto, fu più volte molestato dal suo parroco, anche durante la confessione.
“Non lo dire a nessuno, sarà il nostro segreto”, gli diceva il pedofilo. Il futuro sacerdote non ne parla con nessuno e nega il trauma che però torna con forza dopo tanti anni. Nel frattempo sente da altri clerici i racconti su strani comportamenti del suo abusatore. Ordinato prete riceve come prima destinazione propria la chiesa presso quale lavora anche il suo molestatore. Spinto dalle chiare prese di posizioni di Papa Francesco contro la pedofilia, nel settembre 2013 il prete denuncia il suo caso al vescovo Jozef Michalik, ordinato vescovo nel 1986, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Alcune settimane dopo il pedofilo riceve dal vescovo l’indirizzo della sua vittima, va a trovarla, la ricatta, chiede di ritirare la denuncia ma lascia anche una dichiarazione nella quale ammette di averla ‘dannata’ durante l’infanzia.
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Nel 2016 monsignor Michalik va in pensione e la gestione del caso passa al successore, il quale solo nel 2019 manda la documentazione al Vaticano. La Santa Sede abroga il termine della prescrizione (di cinque anni) e nel 2021 decide che il pedofilo può restare sacerdote ma gli vieta di avere qualsiasi contatto con i giovani. Il prete-vittima invece, disturbato dallo stress post-traumatico per anni viene lasciato senza aiuto da parte della chiesa. Decide di sottoporsi alla necessaria terapia ma solo l’estate scorsa convince la diocesi a finanziarla. Alcuni mesi fa è stato contattato da un inviato del Vaticano che sta esaminando il suo caso.
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