Due o tre cose da tenere a mente quando si legge una notizia di cronaca che riguarda membri della Chiesa o della Santa Sede sui principali giornali del nostro Paese, oppure quando viene data su uno dei Tg della Rai. In Italia è cosa rara l’informazione sulle cose di Chiesa indipendente dalla Chiesa stessa.
Quasi tutte le notizie più importanti che passano attraverso i media generalisti arrivano direttamente dalla sala stampa della Santa Sede o sono filtrate dai “vaticanisti”, giornalisti cioè formati e accreditati presso la Sala Stampa vaticana. E che rischiano di perdere l’accredito in caso di articoli non graditi da Casa Madre. A parte rare eccezioni, le inchieste o gli approfondimenti sui lati oscuri della Chiesa quasi mai vengono approcciati con una visione realmente laica, indipendente e deontologicamente ineccepibile. Al contrario, si raccontano in maniera del tutto parziale, cioè solo dal punto di vista della Chiesa, le situazioni di criticità che riguardano tutto ciò che accade all’interno e in “prossimità” delle mura leonine.
Un altro elemento fortemente indicativo è rappresentato dal numero di testate giornalistiche riconducibili alla Chiesa che usufruiscono dei fondi pubblici all’editoria. Come ho ricostruito in un’inchiesta sulla rivista Nessun Dogma, su 117 giornali e periodici che si spartiscono i contributi, ben 55 (il 47%) sono testate e riviste di chiara matrice cattolica, se non addirittura organi di stampa che fanno capo ad alcune delle 224 diocesi italiane. In pratica quasi un giornale su due finanziato dallo Stato ha come editore di riferimento la Chiesa. Poiché tre indizi fanno una prova, ne cito un altro. Mi riferisco al solido accordo, di recente rinnovato, tra la Rai e la Conferenza episcopale per la trasmissione di contenuti religiosi nella televisione pubblica. Un’intesa che ha rafforzato il numero di trasmissioni a contenuto religioso e di religiosi nelle trasmissioni della tv pubblica, in un palinsesto zeppo di fiction a sfondo religioso e dove già la Chiesa cattolica sfiora il 100% di presenze sul totale dei soggetti confessionali, e dove nei tre Tg nazionali, ma anche nei principali Tg privati, il papa è più presente del presidente Mattarella.
E poi ci sono i giubilei e le beatificazioni. Veri e propri strumenti di auto promozione a spese del contribuente italiano che oramai vengono utilizzati con scadenze sempre più ravvicinate. Come ricordano diversi studiosi, dato che per quattro secoli in età moderna e contemporanea i papi sono stati quasi tutti italiani, il nostro Paese è divenuto una terra “privilegiata” di destinazione del messaggio e di formazione di una mentalità religiosa collettiva. E abbiamo i principali quotidiani che quando scrivono del papa usano l’epiteto “sua santità” o analoghi, accettando acriticamente la dimensione clericale che è insita in questa terminologia, contribuendo a far attecchire questa mentalità.
E così a poco a poco l’opinione pubblica perde di vista alcune cose fondamentali per sviluppare il proprio senso critico. Per esempio? Per esempio è bene ricordare che la Santa Sede è una monarchia assoluta governata da una casta maschile celibe di circa 200 cardinali. Il papa detiene il potere assoluto nella chiesa cattolica e nella dimensione politica riassume i tre poteri nella sua persona esercitati generalmente tramite delega (legislativo, esecutivo e giudiziario). Tutti gli devono obbedienza attraverso le vie gerarchiche. Il pontefice è colui che insieme a quella casta decide le regole morali a cui si devono attenere loro stessi, il clero e soprattutto l’enorme numero di fedeli nel mondo. La prima conseguenza di una struttura organizzata in questo modo è la mancanza di trasparenza che nell’informazione e nell’attività giudiziaria della Santa Sede raggiunge i livelli più elevati. Perché a monte c’è l’idea che il papa, cioè la chiesa cattolica, non deve giustificarsi con nessuno di ciò che fa e dice. Delle proprie azioni e decisioni il pontefice risponde solo a Dio e a se stesso al di là della coerenza con le cosiddette sacre scritture, la tradizione e il magistero della chiesa.
Pensiamo a quanto accaduto in Irlanda il 20 luglio 2011. Ecco cosa affermò il premier irlandese, Enda Kenny, in un drammatico discorso in Parlamento davanti alla Camera Bassa, dopo la conclusione di un’indagine governativa sulla pedofilia nella Chiesa: «Il rapporto della commissione Cloyne ha evidenziato il tentativo della Santa Sede di bloccare un’inchiesta in uno Stato sovrano, non più tardi di tre anni fa, non trent’anni fa». Per poi aggiungere: «Il Rapporto Cloyne fa emergere la disfunzione, la disconnessione e l’élitarismo che dominano la cultura del Vaticano. Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati per sostenere, invece, il primato delle istituzioni, il suo potere e la sua reputazione». Quanto descritto fin qui è accaduto durante il pontificato di Benedetto XVI. Con papa Francesco poco o nulla è cambiato anche se nel 2019 è stato eliminato il segreto pontificio.
Nel 2014, quando il segreto ancora era in vigore, gli ambasciatori di papa Francesco presso le Nazioni Unite opposero un netto rifiuto a due diversi Comitati Onu (per i Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e Contro la tortura) che chiedevano la lista con i nomi dei circa 900 sacerdoti pedofili ridotti allo stato laicale nel decennio precedente dopo essere stati condannati dalla Congregazione per la dottrina della fede, ed espulsi dalla Chiesa. Ad oggi, quei nomi risultano ancora ignoti e 900 pedofili circolano liberamente nella più totale inconsapevolezza di chi li frequenta. E nessun giornalista ha mai chiesto di questo al pluripresente e celebratissimo in tv e sui media italiani papa Francesco.
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