ASSOCIAZIONE MAP CORSO DI MASTER MASTER DI I LIVELLO IN SESSUOLOGIA
Analisi sistemica del fenomeno degli abusi sessuali nei contesti ecclesiali.
Intervista a: Francesco Zanardi (vittima di abuso sessuale clericale)
Progetto educativo di prevenzione genitori-figli età 9-12
Candidato Relatore Dott. Leonardo Bianchi Prof.ssa Mara Porcaro matricola MSI008
Biennio Accademico 2021/2023 1 2
Introduzione……………………………………………………………… p. 5
Capitolo 1 – Excursus storico: l’emergere della problematica e consapevolezza all’interno della Chiesa Cattolica – 1.1 La sollevazione mediatica dello scandalo e i suoi primi effetti …. p. 6
– 1.2 Tentativi di risposta all’emergenza ………………………………. p. 9
– 1.3 La fondazione di istituzioni, strumenti e leggi per la tutela dei minori e persone vulnerabili ……………………………………………………. p. 10
Capitolo 2 – Report sul fenomeno degli abusi nella Chiesa
– 2.1 Dati statistici sul fenomeno. Il report dalla John Jay Collage of Criminal Justice …………………………………………………………. p. 14
– 2.2 C’è legame tra omosessualità e abuso sessuale?…………………. p. 20
– 2.3 Dati e analisi rapporto CIASE ……………………………………. p. 25
– 2.4 Dati e analisi degli abusi riproduttivi ……………………………. p. 36
Capitolo 3 – Analisi delle cause del fenomeno degli abusi
– 3.1 Perchè sono realmente un fenomeno particolare gli abusi nella Chiesa …………………………………………………………………. p. 44
– 3.2 Le ragioni degli abusi – il ruolo del silenzio …………………… p. 46
– 3.3 Le ragioni degli abusi – il ruolo del clericalismo e il laisser-faire sociale ………………………………………………………………….. p.50
– 3.4 Le cause degli abusi – una scarsa selezione e inadeguata formazione del clero al difficile ruolo e alla possibilità-impossibilità di espressione sessuale ………………………………………………………………… p.52
– 3.5 Le cause degli abusi – il legame tra potere, sesso 3 e controllo sociale ………………………………………………………. p. 55
– 3.6 Le cause degli abusi – fattori religiosi: influenza sacramentale, identità vocazionale, missione caritativa ………………………………. p. 59
Conclusioni ………………………………………………………………. p. 63
Intervista a Francesco Zanardi (vittima di abuso sessuale clericale) …………………………………… p. 65
Progetto educativo di prevenzione agli abusi sessuali in ambienti ecclesiali: “sfatiamo il silenzio” ……………………………………….. p. 82
Il mio percorso nel Master ……………………………………………..p. 86
Bibliografia, documenti/report, sitografia …………………………….. p. 87
Tesi – Analisi sistemica del fenomeno degli abusi sessuali nei contesti ecclesiali PDF
Introduzione Il fenomeno degli abusi sessuali riguarda tutta la società, dalla famiglia a tutte le istituzioni e oltre.
La letteratura si esprime largamente sui caratteri, i danni e le possibili vie di terapia legato a un qualsiasi tipo di abuso sessuale. Intento di questa monografia è quello di cogliere i particolari degli abusi nei contesti ecclesiali, in particolare della Chiesa Cattolica. L’idea è che ciascun fenomeno di abuso debba essere studiato non solo nei suoi caratteri universali ma anche negli aspetti particolari dove esso si verifica. Riguardo quelli in ambiente ecclesiale l’analisi non si è potuta fermare al mero aspetto sessuale o psicosessuale ma, presentandosi in un ambiente che fenomenologicamente si palesa come religioso-spirituale, è doverose analizzare proprio questi ulteriori aspetti se si vogliono cogliere le peculiarità degli ambienti ecclesiali. Per fare questo sono andato alla ricerca di ciò che di specifico offre la letteratura scientifica e i report che le equipe di specialisti hanno elaborato per analizzare il fenomeno. In particolare mi sono soffermato sul report statunitense, ormai datato 2004 ma che ha fatto la storia della ricerca in questo campo, e quello francese della commissione CIASE datato 2021. Entrambi i report sono stati scelti per esaustività, completezza e per il fatto che fossero stati elaborati da commissioni indipendenti rispetto l’istituzione ecclesiastica. In appendice alla monografia ho aggiunto un’intervista fatta a Francesco Zanardi, vittima di abuso a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti per la sua testimonianza. Ultimo contributo è un progetto ideato per la prevenzione degli abusi sessuali in ambienti ecclesiali con destinatari minori dai 9-12 anni e la partecipazione dei loro genitori.
Capitolo 1 – Excursus storico: l’emergere della problematica e consapevolezza all’interno della Chiesa Cattolica
1.1 La sollevazione mediatica dello scandalo e i suoi primi effetti Nel 2016 vinse l’oscar come miglior film e come miglior sceneggiatura “il caso spotlight” girato l’anno precedente nel quale viene raccontata l’indagine giornalistica del Boston globe che a sua volta valse il premio pulitzer nel 2003. L’indagine era relativa a casi di abusi sessuali avvenuti nella diocesi di Boston “coperti” strategicamente secondo i giornalisti da Bernard Francis Law arcivescovo metropolita di Boston dal 1984 al 2002 anno in cui Giovanni Paolo II accettò le sue dimissioni. Dall’indagine emerse che l’arcivescovo e cardinale quando veniva a conoscenza di un abuso commesso, interveniva spostando di parrocchia in parrocchia il prete colpevole e stabilendo accordi extragiudiziali riservati con le vittime; tale procedura veniva attuata anche dal predecessore. L’anno seguente la pubblicazione dell’inchiesta giornalistica la conferenza episcopale statunitense incarica la John Jay Collage of Criminal Justice della City University of New York considerata la migliore in materia, di compiere un indagine più approfondita e di carattere scientifico sui casi di abusi nella Chiesa. Lo studio che d’ora in poi chiameremo John Jay report riconobbe attendibili 6700 accuse delle 10667 raccolte per abusi su minori nel periodo dal 1950 al 2002. Gli accusati furono 4392 tra sacerdoti e diaconi in servizio in questo arco di tempo rappresentanti il 4% del totale. Fu l’ingresso dei metodi della ricerca e della scienza nell’ambito specifico degli abusi all’interno della Chiesa, un qualcosa che stava diventando un nuovo oggetto di 6 studio e non più un solo fatto di cronaca e di scandalo morale e religioso. Il passo che la conferenza episcopale statunitense fece fu un cambiamento, era la nascita dell’analisi fenomenologica degli abusi in ambito ecclesiale. Nel 2001, l’allora prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede card. Ratzinger insieme a card. Bertone decisero tramite una lettera indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa di richiamare all’attenzione il documento scritto nel 1962 (prima edizione però del 1922) sotto il pontificato di papa Giovanni XXIII denominato “Crimen Sollicitationis”. Tale documento dava indicazioni su procedure canoniche quando un chierico veniva accusato di usare il sacramento della confessione per fare avances sessuali ai penitenti, da quello che cioè veniva considerato un peccato riferibile al 6 comandamento. Questo documento al punto 1 definisce così il concetto di molestia: “si ha quando un sacerdote o nell’atto del sacramento della confessione; o prima o immediatamente dopo la confessione; o in occasione o con il pretesto della confessione; o anche al di fuori dell’occasione della confessione nel confessionale o in altro luogo destinato ad ascoltare le confessioni o scelto con il pretesto di ascoltare la confessione proprio in quel luogo, abbia, tentato di incitare o invitare un penitente – qualsiasi persona sia – a comportamenti disonesti e vergognosi sia con parole, sia con segni, sia con cenni, sia con contatto fisico o attraverso la scrittura da leggere al momento o in seguito o abbia tenuto con lui discorsi o pratiche illecite e disoneste con audacia sconsiderata”. Crimen sollicitationis (1962). In questo contesto la Congregazione per la Dottrina della Fede quindi ritenne necessario rispolverare questo documento che richiama alla necessità di affrontare gli abusi con attenzione alle giuste procedure in materia penitenziale 7 riguardo a coloro che commettono l’abuso e l’interesse che ruota intorno alla tutela del sacramento della confessione. Non vi era ancora in quel documento attenzione alla tutela, cura e prevenzione degli abusi su minori o vittime vulnerabili. Da notare che non viene fatto cenno alla gravità del fatto relativa al danno che si commette nei confronti della psiche dell’abusato ma nel mancato rispetto del 6 comandamento, vera parte lesa di un abuso ecclesiale secondo la giustizia del diritto canonico. Nel ottobre 2002 il Vaticano rigetta la Charter for the Protection of children and young people approvata dai vescovi statunitensi a giugno perché si richiedeva una definizione di abuso sessuale più circoscritta, precisa definizione dei limiti alle accuse rivolte ai preti e una limitata delega di autorità ai consigli laici incaricati di valutare casi di abuso. Alcuni preti in Vaticano non condividevano l’idea che le denunce di abuso sessuale dovessero essere riportate alle autorità civili ed erano scandalizzati delle ingenti somme di denaro per i risarcimenti. Allo scandalo legato a Boston ne seguirono altri sempre negli Stati Uniti. La giustizia Americana condannò numerosi membri del clero costringendo le diocesi a risarcimenti che portarono a numerose bancherotte. Nel 2005 un avvocato di Huston accusò l’allora card. Ratzinger di intralcio alla giustizia proprio per aver inviato quella lettera di cui sopra che richiamava al rispetto del Crimen sollecitationis. La storia proseguì con l’elezione di Ratzinger a nuovo papa a cui il presidente americano George Bush concesse l’immunità. Nel biennio 2009-2010 una nuova crisi simile a quella di Boston coinvolse l’europa negli stati di Irlanda, Austria, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Svizzera, Spagna, Regno Unito, Francia e Malta ma non solo; il fenomeno ormai emergeva in tutto il mondo come ad esempio il controverso e famoso caso 8 australiano relativo al card. Pell. Papa Benedetto XVI per il caso irlandese decise di intervenire con una lettera aperta a tutti i cattolici di Irlanda invitando a collaborare con la giustizia uscendo dal segreto che negli anni aveva rafforzato la perpetrazione dei crimini.
1.2 Tentativi di risposta all’emergenza In questi anni in più occasioni papa Benedetto XVII si è espresso con vergogna, condanna e propositi in risposta ad un fenomeno che ormai stava assumendo proporzioni globali e ovunque scuoteva le fondamenta delle Chiese locali. Nel 2011 la Congregazione per la Dottrina della fede pubblicò una lettera nella quale si ripetette in modo formale l’invito che già il papa aveva fatto per la Chiesa Irlandese, quello cioè di collaborare con le autorità civili e di applicare le norme del Diritto Canonico oltre che stabilire linee guida per proteggere i minori ed essere coerenti nella risposta in caso di accuse di abuso e nel trattamento dei abusatori. Dal 6 al 9 febbraio 2012 si tenne presso la pontificia università Gregoriana un simposio dal titolo “verso la guarigione e il rinnovamento”. Tra i vari interventi vi fu la testimonianza di una vittima Marie Collins che subì abusi da parte di un prete quando aveva 13 anni, affiancata da una psichiatra che ha partecipato alla listening session del report irlandese. Nella sua testimonianza la signora Collins affermava che non solo l’abuso ma anche il comportamento tenuto dai superiori dell’abusatore che tendevano a colpevolizzare lei e non agire nei confronti dell’abusatore ha generato uno shock ancora più forte ed ora per il suo percorso di guarigione, a detta della psichiatra lì presente, diventava importante sentir chiedere perdono i leader 9 della Chiesa per aver difeso un abusatore. Durante il simposio gli interventi dei partecipanti riconoscevano la necessità per le situazioni di abusi ecclesiali di dover intervenire su più livelli: canonico, pastorale e formativo. Sempre in questa occasione si è riconosciuto come norme più stringenti siano state prese solo nei luoghi dove lo scandalo ha avuto maggior eco, a seguito proprio del clamore mediatico che le notizie alimentavano. Come si può notare in questi ultimi anni che sto raccontando comincia a delinearsi una maggiore attenzione verso la tutela dei minori e soggetti vulnerabili.
1.3 La fondazione di istituzioni, strumenti e leggi per la tutela dei minori e persone vulnerabili A seguito del simposio fu istituito dai gesuiti un centro per la protezione dei minori a Monaco con l’obiettivo di sviluppare un approccio sistemico di tutela non solo per abusi nella Chiesa ma anche nella società. Il 2014 è l’anno in cui papa Francesco istituisce la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori (commissione permanente) con lo scopo di: “promuovere la tutela della dignità dei minori e degli adulti vulnerabili, attraverso le forme e le modalità, consone alla natura della Chiesa, che si ritengano più opportune, nonché di cooperare a tale scopo con quanti individualmente o in forma organizzata perseguono il medesimo obiettivo.” Chirografo del Santo Padre Francesco per l’istituzione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. (2014) Tra i membri della commissione vengono scelte anche vittime di abusi affinché la loro voce sia non solo ascoltata ma anche fattiva. Dopo 3 anni nel 10 2017 Marie Collins, ultima rimasta tra le vittime di abusi membra della commissione per la tutela dei minori, si dimette rilasciando ai giornali la dichiarazione che: “Non potevo restare. Dopo tre anni vedere continuamente che nella Curia romana c’era chi non favoriva il nostro lavoro, chi in sostanza lo boicottava, senza rispondere anche alle richieste più elementari che venivano avanzate, mi ha gettato in un profondo sgomento, ho provato anche vergogna, e così ho deciso di dimettermi. In particolare, mi ha ferito il fatto che la raccomandazione della Commissione di istituire un tribunale per giudicare i vescovi negligenti, approvata dal Papa e annunciata nel giugno del 2015, non abbia avuto alcun seguito. Ha trovato dei problemi legali non meglio specificati e così il tribunale non è mai stato istituito. Tutto questo è per me motivo di sofferenza e sinceramente ho ritenuto che era giusto farmi da parte”. Intervista a Repubblica (2017). Nel 2019 papa Francesco scrive: “Vos estis lux mundi”, lettera apostolica in forma di motu proprio. Nel preambolo si legge: “I crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli. Affinché tali fenomeni, in tutte le loro forme, non avvengano più, serve una conversione continua e profonda dei cuori, attestata da azioni concrete ed efficaci che coinvolgano tutti nella Chiesa, così che la santità personale e l’impegno morale possano concorrere a promuovere la piena credibilità dell’annuncio evangelico e l’efficacia della missione della Chiesa.” Vost estis lux mundi (2019) Vi è quindi subito oltre al riferimento riguardo l’offesa a Dio anche quella 11 relativa a danni fisici, psicologici e spirituali indicando nei vescovi i principali responsabili delle azioni concrete necessarie a raggiungere l’obiettivo specificato. L’articolo 5 del motu proprio così si esprime: “Art. 5 – Cura delle persone §1. Le Autorità ecclesiastiche si impegnano affinché coloro che affermano di essere stati offesi, insieme con le loro famiglie, siano trattati con dignità e rispetto, e offrono loro, in particolare: a) accoglienza, ascolto e accompagnamento, anche tramite specifici servizi; b) assistenza spirituale; c) assistenza medica, terapeutica e psicologica, a seconda del caso specifico. §2. Sono tutelate l’immagine e la sfera privata delle persone coinvolte, nonché la riservatezza dei dati personali.” Vos estis lux mundi (2019) Tale motu proprio stabilisce inoltre nuove procedure per segnalare abusi e molestie e assicurare che vescovi e superiori religiosi rendano conto del loro operato, viene anche fissato l’obbligo di segnalazione di abusi all’Ordinario competente. Ogni diocesi inoltre dovrà istituire un servizio di Tutela Minori e un centro d’ascolto. Il consiglio permanente della CEI istituisce la giornata nazionale di preghiera per le vittime di abusi sessuali (18 novembre) in corrispondenza della giornata europea per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, istituita dal consiglio d’europa. A conclusione di questo breve e per ovvie ragioni non esaustivo excursus possiamo affermare che la Chiesa stessa è giunta ormai dopo un certo travaglio a rilevare il fenomeno come un qualcosa a cui era necessario far fronte con delle specificità strutturali e non con un approccio contingente caso per caso. Fondamentali nel far emergere le criticità, la verità e l’importanza del fenomeno sono state le inchieste giornalistiche a cui spesso hanno fatto seguito studi scientifici analitici e senza le quali probabilmente non ci sarebbe stata la stessa attivazione in favore della tutela dei minori nella Chiesa. Chiudo questo paragrafo con le parole di P. James Martin, gesuita: “Benchè un certo atteggiamento anticattolico sia emerso nella copertura mediatica della crisi – per esempio nella facile sovrapposizione tra celibato e pedofilia – la Chiesa dovrebbe essere grata, e non risentita, nei confronti dei mass media per aver rivelato ciò che essa stessa aveva cercato di tenere nascosto” Frawley-O’Dea e Goldner (2009 p. 164) 13
Capitolo 2 – Report sul fenomeno degli abusi nella Chiesa
2.1 Dati statistici sul fenomeno. Il report dalla John Jay Collage of Criminal Justice Non è facile trovare dati statistici sugli abusi in generale, lo è ancora di più per gli abusi in ambito ecclesiale i quali rimangono molto nel segreto. Per avere uno squarcio dobbiamo far riferimento ai report che sono stati elaborati i quali prendono come fonti le denunce fatte presso l’istituzione ecclesiale o talvolta presso i tribunali di stato civile. Quando vengono elaborati i report i dati vengono incrociati anche con altre fonti quali ad esempio archivi giornalistici e altra letteratura socio-criminologica, relazioni e siti istituzionali di enti e associazioni. Il report denominato: “The nature and scope of sexual abuse of minors by catholic priest and deacons in the united states 1950-2002. A research study conducted by the john jay college of criminal justice the city university of new york” ha raccolto dati dal 1950 al 2002 integrando elementi provenienti dal Report on the implementation of the Charter for protection of children and young people il quale includeva dati di abusi sessuali denunciati nel corso del 2004 (non si dispone quindi dei dati relativi al 2003). Il report fa una distinzione tra preti religiosi e secolari: “Se esaminiamo le differenze tra preti diocesani e religiosi, secondo i nostri numeri il 4,3% dei preti diocesani è legato ad abusi e il 2,5% di preti religiosi sono legati ad abusi” John Jay Collage (2004, p.7). Nel 2004 altri 411 preti sono stati accusati. Quando si parla di accusa essa viene presa in considerazione nel rapporto solo se la commissione la considera attendibile. Prendendo questa tendenza valida anche per l’anno 2003 di cui non si hanno dati il calcolo farebbe corrispondere a una 14 stima del 4,75% di sacerdoti tra il 1950 e il 2004. Per Gordon e FrawleyO’Dea tali stime sono però da considerarsi probabilmente al ribasso perché: il 2% dei preti diocesani e il 20% dei preti religiosi non sono stati inclusi nel John Jay Report; nella ricerca del 2004 il 7% delle diocesi e il 29% delle comunità religiose non hanno comunicato i propri dati relativi al 2004. A questi motivi c’è da aggiungere il fatto che sia nel John Jay Report che nella ricerca del 2004 la raccolta dati si basava dalla disponibilità dei vescovi e superiori religiosi di riferire volontariamente tutte le informazioni pertinenti. Vista la riluttanza ad affrontare l’argomento le autrici affermano: “è possibile che alcuni abbiano nascosto ai ricercatori informazioni significative. Inoltre, nel corso degli anni alcuni vescovi sono riusciti con l’intimidazione a convincere le vittime o le loro famiglie a non dare seguito alle accuse di abuso sessuale e, di conseguenza, in questi casi non esistono dati ufficiali.” FrawleyO’Dea e Goldner (2009, p. 30) Si deve poi sempre ricordare che quando si tratta di denuncia di abusi sessuali subiti 20 anni non sono molti in realtà e spesso le denunce non avvengono affatto. Sempre il John Jay Report ha calcolato come meno del 13% delle accuse è stato presentato nel corso degli anni in cui gli abusi venivano perpetrati mentre il 25% delle denunce è stato depositato più di 30 anni dopo l’inizio degli abusi. Interessanti possono essere le considerazioni sul numero di abusatori per anno di ordinazione. 15 Come è possibile notare dalla tabella, Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p. 32), raccolta dall’intervento di Gordon e Frawley-O’Dea dal 1984 al 2000 si registra un calo significativo della percentuale di abusanti. Tale calo però va inserito in una probabile sottostima degli abusi dovuta alla età più tipica in cui i preti cominciano ad abusare, al tempo spesso necessario alle vittime prima di effettuare la denuncia e a dei primi possibili effetti positivi dovuti a una maggiore attenzione alla selezione dei candidati all’ordinazione (dal 1980 in poi infatti i seminari hanno avviato una selezione psicologica dei candidati). 16 Non ultimo dal 1990 una maggiore cultura sociale di sensibilizzazione sugli abusi ha portato a maggiore vigilanza la società nel suo complesso. Riguardo la data di nascita dei sacerdoti abusanti quasi due terzi erano maggiori di 64 anni nel 2002 a conclusione del John Jay Report e quasi il 90% maggiore di 54 anni. Le autrici che analizzano i dati evidenziano che: “essi erano cresciuti in un periodo di repressione sessuale al livello della società nel suo complesso, e in particolare all’interno delle comunità cattoliche. […] In più, i sacerdoti nati prima del 1950 spesso entravano in seminario a 14 o 15 anni, preparandosi a una vita di celibato senza aver superato la pubertà e sviluppato una psicosessualità matura. Può anche essere che questi sacerdoti fossero particolarmente vulnerabili alla possibilità di essere psicologicamente destabilizzati dalle trasformazioni culturali, inclusa una maggiore apertura nei confronti del sesso, avvenuta a fine anni 60 e nei primi anni 70. Quando i sacerdoti appartenenti a queste generazioni agivano esplicitamente la loro sessualità, sceglievano probabilmente minori poiché li percepivano come pari sul piano psicosessuale.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p. 35) Accennavo prima alla questione dell’età dei preti al tempo del primo abuso. Nel report che stiamo analizzando risulta essere mediamente quella di 39 anni con un cambiamento dai 38 degli anni ‘50 ai 48 del 2002. Sembrerebbe dunque che contrariamente a quando si credeva prima di questo report i primi abusi non si registrano a seguito della conclusione della formazione in seminario ma a distanza di almeno 10 anni dall’ordinazione. In questa fase tempistica un prete ha intorno a sé parenti e amici coetanei che hanno intrapreso una carriera e una vita diversa, pensiero delle autrici è che: 17 “immaturi sul piano psicosessuale e privi di esperienza, alcuni sacerdoti potrebbero aver commesso l’abuso in un impeto di rabbia, invidia e risentimento sociale, al fine di acquisire un senso soggettivo di potere. L’abuso sessuale del figlio di un parrocchiano rappresenta anche un attacco alla capacità di quell’uomo di proteggere la propria prole: un aspetto della paternità negato al Padre sacerdote”. FrawleyO’Dea e Goldner (2009, p. 34). Venendo all’età delle vittime entrambe le ricerche rilevano che essa sia in un range tra i 10 e i 14 anni. In particolare quelle di sesso maschile però avrebbero riferito di aver subito abusi tra i 15 e i 17 anni. In questo gruppo di età la percentuale di vittime è aumentata nel corso dei decenni dal 26% degli anni ‘70 al 55% negli anni ‘90. A fronte di tale cambiamento però ciò che è rimasto costante è invece la differenza di età che si aggira sempre intorno ai 20 anni, come descritto in precedenza è infatti aumentata nel corso del tempo l’età media del sacerdote al momento del primo abuso. Ancora una volta le autrici mettono in parallelo l’aumento di età delle vittime con la percezione di sentirsi pari a loro da parte dei abusanti che negli ultimi decenni hanno iniziato a entrare in seminario più tardi: “il loro stesso sviluppo psicosessuale può essersi spostato verso la tarda adolescenza piuttosto che la pubertà” FrawleyO’Dea e Goldner (2009, p. 37). Altre analisi prese in considerazione dal report riguardano il numero di vittime per sacerdote. Si veda la tabella: 18 John Jay Collage (2004, p.51). Questi secondo gli analisti sono i dati da considerarsi meno attendibili in primo luogo perché si basano, ricordiamolo, solo sulle denunce delle vittime e le cui accuse sono state condivise e messe a disposizione dei ricercatori. Ultimo elemento riguarda il tipo di abuso. Circa un terzo dei sacerdoti accusati avrebbe penetrato le vittime o costrette al sesso orale. Il 2,9% si sarebbe limitato a discorsi di natura sessuale o all’uso della pornografia; il 9% avrebbe toccato la vittima attraverso i vestiti o essere toccato da lei e il 15,8% non si sarebbe spinto oltre il toccarsi sotto i vestiti. Nella maggioranza dei casi il prete si sarebbe spinto ad atti gravi inoltre, solo il 29% delle vittime riferisce di essere stata abusata una sola volta mentre più della metà delle vittime risponde con la voce “diverse volte” all’indagine. Ancora le autrici così commentano il dato: “Questo dato smentisce la costruzione dell’abuso sessuale da parte del prete come momentanea mancanza di giudizio e, al contrario, invita a considerare il perpetratore 19 come una persona pericolosamente incline ad abusare di una giovane vittima diverse volte.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.38)
2.2 C’è legame tra omosessualità e abuso sessuale? Sembra assurdo dover titolare con una domanda retorica come questa un paragrafo all’interno di un capitolo dedicato all’analisi statistica del fenomeno di abusi in quanto omosessualità e abuso sono questioni che assolutamente non sono legate tra loro. Nel caso degli abusi ecclesiali però una particolarità statistica fortemente controcorrente rispetto ai dati da riferire agli abusi in generale, ha dato modo agli analisti di fare delle considerazioni che in questa tesi ho deciso di non tralasciare proprio perché possono dare adito a pericolosi collegamenti privi di fondamenti scientifici. Il mio intento è appunto quello di screditare e confutare ogni tentativo di cercare correlazioni tra loro. Due fenomeni in natura possono presentarsi coincidenti ma senza alcuna correlazione o causalità e questo è proprio uno di questi casi. Non vi è alcuna possibilità di dimostrazione scientifica che omosessualità e abuso sessuale siano più o meno legati tra loro rispetto a quanto possa esserlo l’eterosessualità o in genere qualsiasi questione relativa all’orientamento. Tale impossibilità è dovuta al fatto che semplicemente altre sono le questioni legate all’abuso come vedremo nel corso di questo elaborato. Questo improprio collegamento ha però portato persone interne alla Chiesa a dichiarare che la pedofilia sia una perversione legata all’omosessualità o comunque ci sono stati numerosi tentativi di voler trovare una qualche tipo di radice comune, dandone quantomeno connotazioni di “degrado morale”. La morale è semmai questione filosofica, può appartenere ad una religione che svolge una funzione sociale in 20 merito all’ordinamento morale dei suoi fedeli ma certamente non può e non deve essere in alcun modo confuso con quanto riguarda il discorso scientifico. Lasciando quindi da parte la questione morale della Chiesa in materia di omosessualità di cui recentemente papa Francesco si è limitato a dichiarare non essere un reato ma un peccato (peccato sarebbe l’atto non la tendenza in sé) consideriamo ora i dati oggetto delle controversie. Il John Jay Report riporta: “I risultati dei nostri studi indicano che di tutte le vittime […] 81% sono maschi e il 19% femmine” John Jay Collage (2004, p. 69). Si veda la seguente tabella per i dettagli, stessa pagina del report: Altri studi confermano l’anomalia fissando una prevalenza delle vittime maschili che va dal 64% al 78%. Il rapporto CIASE, denominato: “Les violences sexuelles dans l’Eglise catholique. France 1950-2020. Rapport de la Commision indépendant sur les abus sexuels dans l’Eglise, Octobre 2021” che più avanti analizzerò nel dettaglio, fissa la prevalenza di maschi a 80%. Oltre ad essere insolito il fatto che la vittima sia un maschio piuttosto che una femmina è insolito anche che la relazione sia di tipo omosessuale piuttosto che etero. Il rapporto CIASE riferisce che in quasi la metà dei casi di vittime minorenni l’aggressore si definisce omosessuale (80% di coloro che aggrediscono una vittima maschio) mentre un terzo si definisce bisessuale. Gli aggressori di vittime adulte che si definiscono omosessuali sono invece il 20%, nessuna bisessuale. L’analisi della Commissione CIASE sulla sessualità degli aggressori cosi conclude: “Sulla base degli elementi annotati negli atti, si può ipotizzare che alcuni aggressori di vittime minori siano affetti da pedofilia. Gli aggressori sessuali di vittime maschi minorenni o di entrambi i sessi (27 casi) segnalano tutti attività di masturbazione in 14 casi analizzabili e più della metà di loro guarda materiale pornografico, anche pedopornografico (3 casi), se documentato nel fascicolo (9 casi analizzabili e 5 casi rispettivamente) con un sentimento espresso di frustrazione sessuale significativa. Pertanto, è lecito pensare che almeno tre di loro siano affetti da un disturbo pedofilo. Infatti, in tre casi di aggressori di vittime minori (un aggressore di ragazzi e due aggressori di vittime di entrambi i sessi), vengono descritte fantasie di pedofilia, e in un caso di aggressore di vittime minori maschi, vengono segnalati antecedenti di parafilia. Inoltre, in due casi (un maschio molestatore di bambini e un maschio molestatore di bambini di entrambi i sessi), si rileva addirittura lo stesso tipo di precedenti penali” Report CIASE (2021, p. 211). Quello che avverrebbe però, secondo Gordon e Frawley-O’Dea, sarebbe da intendersi all’interno del concetto di fusione e identificazione con un proprio pari come già scritto in precedenza. Aggiungono le autrici: “l’autore dell’abuso, probabilmente entrato in seminario minore all’età di 14 o 15 anni, potrebbe inconsciamente aggredire la sessualità della vittima quando quest’ultima ha la stessa età che lui aveva al momento dell’ingresso in seminario, castrando simbolicamente la vittima come lui stesso è stato simbolicamente castrato.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.25) Cattolici come preti, giornalisti ma anche funzionari vaticani come ad esempio il cardinale Jorge Medina prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, hanno legato senza spiegare la causalità del fenomeno, l’omosessualità alla pedofilia come se un orientamento omosessuale da parte del prete fosse fattore di rischio per un abuso. Nel 2005 Eisenberg in un articolo “Report: pope bans gay seminarians” contenuto in New York Newsday On-Line affermava che ci fosse notizia del fatto che il Vaticano avesse bandito gli omosessuali dal sacerdozio. La Chiesa nel 2005, dando però altri motivi (l’insegnamento dottrinale per cui la tendenza omosessuale sarebbe “oggettivamente disordinata”), si è effettivamente espressa ufficialmente sui criteri di ammissibilità al sacerdozio con un documento della congregazione per l’educazione cattolica denominato: “Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri” in cui si legge al numero 8 e 9: “Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d’intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay.” Congregazione per l’Educazione Cattolica (2005). Lo psicologo e direttore di “The journal of child sexual abuse” sostiene che persone omosessuali ed eterosessuali presentano la stessa probabilità di violare sessualmente un minore, tesi riportata da Elias nel 2002 in: “is homosexuality to blame for Church scandal?”. Illustri autori come David Finkelhor, direttore del Crimes Against Children Research Center (Università del New Hempshire) definisce l’attrazione per i minori un’attività sessuale specifica, opinione condivisa da John Bancroft, medico e direttore del Kinsey Institute for Research in Sex, Gender, and Reproduction. Nel contributo di Gordon e Frawley-O’Dea viene citato lo studio di Groth e Olivieri i quali dopo aver analizzato circa tremila autori di crimini sessuali, su una popolazione di abusatori generale e quindi non specificamente afferente al clero, hanno rilevato che: “gli uomini attratti in modo non esclusivo da bambini, o che erano passati da un’attrazione per gli adulti a un interesse per i bambini, si definivano tutti eterosessuali e in genere esibivano tendenze omofobe.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p. 26). I criminali sessuali vittimizzano sessualmente adulti e minori di entrambi i generi, tali fenomeni vanno piuttosto visti come crimini di potere che hanno poco a che fare con l’orientamento sessuale di chi li commette. Si consideri infatti come anche in carcere uomini eterosessuali dotati di maggior potere e autorità all’interno della popolazione carceraria scelgano altri uomini per avere rapporti sessuali e imponendo così il proprio potere su qualcuno. Sulla prevalenza statistica di 24 vittime di genere maschile piuttosto che femminile, oltre che il meccanismo di identificazione col sé di cui abbiamo parlato, Gordon e Frawley-O’Dea mettono in evidenza come i ragazzi siano più facilmente avvicinabili dai preti rispetto alle ragazze. Inoltre, i preti sono spaventati dalle donne, giovani o adulte che siano e sono misogeni, caratteristiche che li trattengono dall’avere rapporti con loro, specie sessuali. Inoltre può accadere che siano preoccupati dalla possibilità di gravidanze a seguito dei rapporti con donne in età puberale o postpuberale.
2.3 Dati e analisi rapporto CIASE Il rapporto CIASE identifica 3 fasi di periodizzazione delle violenze che ricalcano quelle già individuate da simili commissioni precedenti. La prima, quella di picco della curva di violenze, è racchiusa negli anni che vanno dal 1950 al 1970. Questa fase raccoglie il 55,9% degli abusi rilevati dalla commissione che, ricordiamo, ha indagato sugli anni che vanno dal 1950 al 2020. Nella seconda fase quella tra il 1970 e il 1990 si registra un forte calo degli abusi il cui numero va a rappresentare il 22,1% del totale. Per il rapporto la principale causa va individuata nel drastico calo del numero di chierici e religiosi dal ‘70 in poi mentre la seconda, legata alla prima, riguarda il graduale ritiro del clero da ruoli interni a istituti educativi cattolici, luoghi nei quali si verificavano gli abusi. La tendenza decrescente in valori assoluti delle vittime si ritrova in valore relativo anche tenendo conto del calo del numero del clero. L’incidenza del tasso di aggressioni da parte di un membro del clero sul totale generale di abusi che si sono registrati nella società francese è sceso dallo 0,6% nella fase che va dal 1950 al 1970 allo 0,2% dal 1970 al 1990. 25 Nella terza fase a partire dagli anni ‘90 si registra una certa recrudescenza del fenomeno degli abusi ecclesiali. Nell’ultimo trentennio analizzato si raccolgono il 22% dei casi rilevati (nel dettaglio 13,3% negli anni ‘90 e 8,7% negli anni 2000). Bisogna mettere in evidenza come siano aumentate le vittime in contesti ecclesiali da parte di abusatori non aderenti al clero bensì laici e catechisti che erano a contatto con i minori e andavano a coprire i vuoti lasciati dal calo delle vocazioni clericali e religiose. Il numero di vittime di aggressori non aderenti al clero nè alla vita religiosa è passato da un numero di 1.860.000 della seconda fase a 2.220.000 della terza e ultima fase. Aumenta anche l’incidenza degli abusi delle violenze sessuali da parte del clero e religiosi in valori relativi (tenendo cioè conto del numero di aderenti al clero) sul totale generale degli abusi su minori registrati nella società francese. Negli ultimi 30 anni tale incidenza è passata dallo 0,2% della seconda fase allo 0,4% della terza fase. Secondo Inserm (l’istituto che per CIASE ha condotto la ricerca), in sintesi, se è vero che in termini assoluti il fenomeno si stia riducendo va fatto il dovuto distinguo per i valori in termini relativi. “L’individuazione delle tre fasi entro i 70 anni coperti dall’analisi della commissione sulla base degli archivi della Chiesa è inoltre confermata dall’archivio di giustizia che la commissione ha potuto consultare. Infatti, il numero dei processi penali che coinvolgono aggressori all’interno della Chiesa è diminuito dagli anni ’60, poi ha conosciuto una certa inerzia negli anni 1970-1990, prima di subire un aumento molto forte rispetto agli anni 1990.” Report CIASE (2021, p. 131) L’analisi delle fonti archivistiche analizzate dalla commissione ha portato anche a rilevare come nella maggioranza dei casi l’abuso è commesso da una 26 persona che regolarmente ha frequentato la vittima nell’ambito di attività educative (47%); pastorale, coro, confessione, mantenimento spirituale, ritiro e altre pratiche religiose (36%); legami di vicinanza familiare (17%). Senza indicarne un dato quantitativo il rapporto afferma che sul piano del profilo sociale della vittima le caratteristiche tipologiche attraversano tutte le categorie professionali delle famiglie d’origine, sono di estrazione generalmente modesta, molto praticanti. L’età prevalente va dai 10 ai 13 anni. Fra le costanti che invece riguardano gli abusatori il report analizza la possibilità di trasformarsi da vittima a carnefice da parte dei seminaristi nel momento della formazione. Tale rilievo sarebbe riscontrabile in particolar modo dai dati provenienti dagli archivi e risulta coerente anche con i dati della popolazione generale secondo la quale: “l’aver subito violenze sessuali può costituire un fattore di rischio per la commissione di una violenza sessuale. Si stima quindi che, nel complesso, dal 30% al 60% degli autori di reati sessuali su minori abbia subito violenza durante la loro infanzia.” Report CIASE (2021, p.133). Analizzando più studi il report afferma che più del 20% degli abusatori ecclesiali potrebbe essere stato vittima di abusi in infanzia. Tuttavia ci tiene a specificare: “la Commissione desidera sottolineare con forza, soprattutto in considerazione del numero di vittime per aggressore, che solo una piccolissima minoranza di persone vittimizzate potrebbe successivamente commettere attacchi, una volta raggiunta l’età adulta. Le quote sopra citate non sono in alcun modo reversibili. L’affermazione di un determinismo tra la condizione di vittima e quella di aggressore sarebbe quindi particolarmente infondata.” Report CIASE (2021, p.134) 27 Nessuna persona che ha abusato di un adulto ha subito abusi in infanzia. Come per il report statunitense significativo è lo squilibrio di genere tra le vittime minori di genere maschile (80%) e le femminili (20%). Secondo l’indagine sulla società francese riguardo gli abusi (quindi non quella appositamente fatta dalla Commisione) le vittime di abusi ecclesiali sono per il 93% minori. L’età media del primo abuso è di 10-11 anni e stabile nel tempo ma questo dato contrasta fortemente con quanto invece risulta dai dati che emergono dalle apposite ricerche della commissione. Secondo quest’ultime infatti riguardo la fascia d’età 10-13 anni sarebbe scesa a rappresentare il 31% dal 55% nel periodo di partenza mentre la fascia dei 18-20 anni registra un balzo dal 1,7% iniziale giungerebbe al 21%. Tale discrepanza di dati va ricercata nelle diverse tipologie di ricerca dei dati e dal campione dei partecipanti ai questionari della ricerca della commissione. Il grafico mette in evidenza come le vittime di genere femminile sia prevalente fino ai 10 anni circa dove vengono significativamente sorpassate dalle vittime maschili che tornano a rappresentare la minoranza dopo la maggior età. 28 Grafico contenuto in Report CIASE (2021, p.153). La Commissione, similmente agli studi che l’hanno preceduta, conferma che fra le possibili spiegazioni di tale particolare fenomeno ci sia la maggior facilità di avvicinarsi ad un minore maschio piuttosto che femmina. A ciò aggiunge anche la possibilità di idealizzazione dell’infanzia e di rifiuto della donna. All’inizio del periodo studiato gli istituti che formavano il clero accoglievano le vocazioni di fanciulli dell’età di 10-11 anni e all’interno dei seminari minori venivano scrupolosamente formati alla purezza. Il ricordo di tale infanzia verrebbe quindi idealizzato a contrasto di un’adolescenza vissuta invece come impura oltre che alla costruzione di una percezione ideale della donna vista come tentatrice della propria vita dedita al celibato. Riguardo al contesto ambientale 29 in cui l’abuso si verifica i principali sono: per il 30% si tratta di scuole o convitti; 21,2% catechismo e cappellanie; 20,2% movimenti sociali giovanili, campi estivi e pellegrinaggi; e la casa dell’abusante per il 21,2%. Bisogna evidenziare come con il ritiro delle vocazioni clericali e la sostituzione dei laici negli ambienti del catechismo e cappellanie si è passati da un iniziale 22,7% al 14,4%. A compensare tale cale percentuale aumenta invece quello dei movimenti giovanili passato dal 17% al 30%. Anche quello classificato dalla Commissione come “congregazioni, comunità e ritiri” ha registrato un importante balzo in alto passando dal 5% al 25%. Fra gli autori i principali sono anzitutto sacerdoti di parrocchia 30%, insegnanti aderenti al clero 24,5%, cappellani e responsabili di movimenti giovanili 14,8%, religiosi 7,7%. Gli ambienti parrocchiali però nell’arco del tempo sono via via andati a rappresentare dei luoghi sempre più sicuri. Se infatti rappresentavano il 62% dei casi prima del 1970 rappresenta solo il 6% dopo il 1990. Secondo la Commissione incide molto la diminuzione della partecipazione alla vita parrocchiale da parte dei fedeli che si registra dal 1970 in poi. Vanno infatti a incrementare quei tipi di abusi legati a nuovi movimenti carismatici specie quelli che coinvolgono i minori e gli abusi cosiddetti familiari. Con questo termine la commissione intende o abusi di preti sulla propria parentela o su famiglie particolarmente credenti e attive nell’ambito ecclesiale e che accolgono nella loro quotidianità il prete. Questo genere di abusi si estende maggiormente nel tempo rispetto alla media. Su una perpetrazione di 5 anni nella media i dati si attestano sul 7% del totale mentre nel caso di quelli famigliari la percentuale è del 22%. La disparità di genere indicata in precedenza resta più alta riguardo ai maschi ma di molto meno, 52% contro 48%. In base a questi dati il rapporto nota come sia anzitutto la disponibilità e la facilità di abusare della vittima piuttosto che il genere e le altre cause descritte in precedenza a determinare la preferenza nella scelta della vittima. Incrociando i dati delle vittime di abusi sulla popolazione generale e quelli sui 30 casi ecclesiastici la Commissione è riuscita ad elaborare delle stime è impossibile afferma la Commissione stabilirne con esattezza il numero. “L’indagine sulla popolazione generale consente di stimare in 330.000 il numero di persone vittime di reati sessuali prima del compimento dei 18 anni da parte di persone legate alla Chiesa: membri del clero cattolico (sacerdoti, diaconi), monaci e monache, ma anche laici, uomini o donne, che lavorano in un istituto scolastico cattolico o in un collegio cattolico, curando il catechismo o una cappellania cattolica, o animando patrocini, campi vacanze o movimenti giovanili cattolici (scout, azione cattolica, altri movimenti, ecc.) . All’interno di questo numero totale, 216.000 persone sono state vittime di chierici, monaci o monache, che corrisponde al perimetro studiato proprio dalla commissione. Il gran numero di persone che sono state aggredite in questo modo, quando erano minorenni, è sia impressionante che spaventoso. […] Da questi dati si evince anzitutto che la violenza sessuale nella Chiesa non è, contrariamente alla credenza popolare, prerogativa dei soli chierici e religiosi: nel periodo preso in esame, sono certamente responsabili del 65,4% di assalti all’interno della Chiesa; ma i laici sono responsabili del 34,6% degli attacchi, ovvero più di un terzo. Non appena gli adulti entrano in contatto con minori, c’è il rischio, nella Chiesa cattolica come altrove, che si verifichi un abuso di potere, autorità o fiducia, che porti ad aggressioni sessuali. È anche probabile che, nel tempo, a causa in particolare della riduzione del numero di chierici e religiosi e dell’aumento della responsabilità dei laici, la quota delle vittime dei laici nella Chiesa cattolica aumenterà.” Report CIASE (2021, p. 222) La violenza sessuale perpetrata da responsabili afferenti alla Chiesa rappresenta il 6,1% delle violenze sul totale della popolazione francese nel periodo preso in analisi, quelle nello specifico commesse da chierici, monaci e 31 monache ha raggiunto poco meno del 4% (3,93%) di questo totale. Sulla base di tali dati si afferma che: “ il tasso di prevalenza della violenza sessuale nella Chiesa è più alto che in tutti i casi di socializzazione diversi dai circoli familiari e di amicizia.” Stime più incerte riguardano il numero di aggressori. Si oscilla fra una percentuale molta alta di aggressori o un numero molto elevato di vittime per aggressori. Una stima approssimativa collocherebbe tra il 2,5%-2,8% chierici e religiosi aggressori. Afferma il Rapporto: “Questo tasso dal 2,5% al 2,8% sembra basso alla luce dei confronti internazionali disponibili che sono compresi tra il 4% e il 5% in Germania e negli Stati Uniti e che raggiungono o addirittura superano il 7% in Australia e in alcune diocesi irlandesi (vedi sotto).” Report CIASE (2021, p. 226). Il rapporto cita numerosi studi che analizzano come i pedofili nei diversi contesti dove si verificano, possono abusare di qualche unità di vittime fino a centinaia e così conclude in sintesi: “dagli studi sopra riportati risulta che un predatore può fare un numero di vittime molto superiore alla media che risulterebbe dal tasso del 2,8% osservato in Francia (cioè 63 vittime), soprattutto quando attacca bambini maschi, come avviene in modo schiacciante nella Chiesa cattolica.” Report CIASE (2021, p. 230) Tre sono le ipotesi formulate 2,8% di aggressori se le vittime per ogni aggressore sono in media 63; 5% (35 vittime in media); 7% (25 vittime in media). 32 Tabella contenuta in Report CIASE (2021, p. 231). Per quanto riguarda un raffronto tra la Chiesa e gli altri ambienti di socializzazione quello ecclesiale risulta essere l’ambiente maggiormente a rischio. Il grafico sottostante, frutto dell’indagine sulla popolazione generale nella metropoli di Parigi, pone al numeratore il numero delle vittime mentre al denominatore il numero di persone che ha frequentato ciascun ambiente sociale ottenendo un tasso di prevalenza. 33 Tabella contenuta in Report CIASE (2021, p. 233). 34 “In totale, nella popolazione generale, il 14,5% delle donne e il 6,4% degli uomini dichiarano di aver subito abusi sessuali quando avevano meno di 18 anni. Sebbene la famiglia sia di gran lunga il primo ambiente in cui si verificano reati sessuali contro minori (il 3,7% della popolazione metropolitana ha subito aggressioni sessuali da parte di un familiare prima dei 18 anni, il 2% circa da un amico di famiglia estraneo al minore o no, mentre la cerchia ristretta di amici viene dopo con percentuali che resta su circa il 2%), la Chiesa cattolica è, in proporzione, il primo ambiente interessato dalla violenza sessuale sui minori e, di conseguenza, il primo degli enti interessati, siano essi pubblici o privato: l’1,2% delle persone che nell’infanzia hanno svolto attività legate alla Chiesa (scoutismo cattolico, movimento giovanile cattolico, catechismo, cappellania, scuola cattolica o collegio) dichiara di essere stato aggredito prima dei 18 anni da una persona legata a la Chiesa. Questa proporzione è dello 0,82% se ci limitiamo alla violenza commessa da un chierico o da un membro di un istituto religioso (sacerdote, diacono, monaco o monaca).” Report CIASE (2021, p. 233-234). Il grafico sottostante riporta invece in modo eloquente i dati e le considerazioni fatte in precedenza in merito al genere delle vittime che nella Chiesa, costituendo una caratteristica peculiare, vede per la maggioranza vittime maschili. 35 Tabella contenuta in Report CIASE (2021, p. 236). 2.4 Dati e analisi degli abusi riproduttivi A tal proposito la rivista Adista ha pubblicato la traduzione in italiano di un articolo “open access” pubblicato su “Religions” frutto di due anni di ricerca della teologa Doris Reisinger dal titolo: “l’abuso riproduttivo nel contesto dell’abuso sessuale clericale nella Chiesa cattolica”. A causa della scarsità di dati riguardo abusi subiti da persone adulte la ricerca della Reisinger si basa sui dati delle minori. Nell’articolo conferma i dati riportati in precedenza per cui circa un terzo delle vittime di abusi sono di sesso femminile e di queste un 36 terzo sono in età post-puberale. Secondo uno studio tedesco il 34,9% ha coinvolto ragazze delle quali un terzo aveva più di 13 anni all’epoca della prima aggressione sessuale. Per stabilire quante possono essere state vittime di abuso di tipo riproduttivo Reisenger confronta i dati di John Jay Report con quelli di Witt e all. del 2019 che riferiscono età e tipo di abuso subito arrivando ad una stima che va dal 1% al 10% di abuso riproduttivo. Prendendo per buona questa stima in una popolazione tra i 70 e gli 80 milioni il numero delle vittime minorenni di abuso riproduttivo da parte del clero cattolico sarebbe nell’ordine delle migliaia. Il numero di vittime adulte di abusi riproduttivi sarebbe invece di 4 volte maggiore. Lo studio della Reisinger si basa sul più grande archivio indipendente del mondo sugli abusi clericali (bishopaccountability.org) e sono relativi dunque alla Chiesa cattolica statunitense, i riscontri nel dettaglio sono visibili in tabella. 37 Tabella contenuta a pagina 5 dell’articolo della rivista Adista. Nello studio si afferma che: “nella maggior parte delle fonti su casi di preti sessualmente violenti, i riferimenti a forme di contraccezione sono rari. A volte ci sono accenni al fatto che i sacerdoti usano i preservativi o addirittura erano vasectomizzati. Tuttavia, nei casi conclusi con gravidanze, il metodo di controllo delle nascite preferito dai preti, se ce n’era uno, sembra essere stata il coito interrotto.” Reisinger (2022, p. 4) Una volta avvenuto il concepimento e durante la gravidanza i preti che hanno ingravidato le loro vittime: “di solito mettono la propria reputazione al di sopra 38 dell’autonomia del corpo e della salute della vittima, e a volte anche della vita della loro vittima e del loro bambino (non ancora nato).” Reisinger (2022, p.5). Si attua dunque un processo di coercizione al fine di interrompere o nascondere la gravidanza senza tener conto della volontà o necessità della persona incinta. Senza offrire un dato statistico la Reisinger afferma che dagli archivi emerge come molti sacerdoti cerchino di persuadere all’aborto, pagando o portando le vittime in strutture. Il motivo della reputazione del prete è la principale se non l’unica motivazione come l’eloquente caso Luna, prete della diocesi di El Paso, ne dà testimonianza. Tale prete, riporta Reisenger: “avrebbe detto a una delle sue vittime di non poter tenere il bambino perché non gli avrebbe fatto <>.” Reisinger (2022, p.6). In altri casi le vittime scelgono di abortire. Un’altra vittima sempre del prete sopra citato testimoniò di essere stata abusata per la prima volta a 11 anni nel 1980 e di aver abortito a 14 anni. Durante l’udienza la donna raccontò di come Luna reagì quando lei gli disse di non voler tenere il bambino e di come dichiarò a lui la sua intenzione di non voler far nascere un bambino sottoponendolo all’umiliazione di essere nato da uno stupro specie di un prete. Reisenger così sintetizza dall’articolo Reporter’s record 2019: “Anche lei si è sentita traumatizzata dall’aborto. Ha detto che si sente ancora colpevole e non si è mai perdonata, e che parla <> al bambino che ha perso, anche adesso, tre decenni dopo.” Reisinger (2022, p.7). Prosegue con un interessante osservazione: “A volte, la pressione ad abortire non sembra essere l’esperienza traumatica principale, ma più una sorta di punto di cristallizzazione che porta le vittime a rendersi pienamente conto della loro situazione. Questo si traduce in uno shock, sopratutto quando alle vittime era 39 stato fatto credere di essere in una <>”. Reisinger (2022, p.7). Quando le gravidanze vengono portate a termine le giovani madri si trovano a dover lottare legalmente per ottenere un mantenimento, trovando l’opposizione del prete abusatore sostenuto dalla diocesi intenta nel proteggerlo. Citando il caso della donna Sharon Roy rimasta in cinta di padre Patrick J. Colleary, accusato di averla violentata nel 1978 all’età di 17 anni, così Reisenger sintetizza: “fu solo nel 1995, quando Roy presentò richiesta di mantenimento del bambino al Dipartimento della Sicurezza Economica Child Support Enforcement Administration di Phoenix, che la diocesi <<pignorò come se niente fosse 400 dollari mensili di salario di Colleary>> per mantenere il figlio. In un’intervista con il Phoenix New Times nel 2002, Roy disse: <<E’ terribile avere a che fare con loro. Ti intimidiscono all’ennesima potenza, ti fanno sentire come se fossi tu la persona cattiva>>.” Reisinger (2022, p.8) Un altro modo cui si presta ricorso per coprire la paternità dei preti è quello dell’adozione coatta. Nel contesto cattolico dalla ricerca sembra emergere con frequenza il ricorso alle case di maternità, luoghi in cui venivano accolte donne single rimaste in cinta: “descritte da Marcia A. Ellison come <>” Reisinger (2022, p.9). Reisenger analizza i fattori che causano tali abusi soffermandosi per primo aspetto su sovrapposizioni di misoginia. La logica patriarcale, sessista e misogina che sarebbe presente nella Chiesa vede subordinare la sessualità femminile a quella maschile fino a far in modo che la vulnerabilità riproduttiva delle 40 ragazze e delle donne non comporterebbe più diritti ma soli obblighi. Questo sistema di ingiustizia riproduttiva costituirebbe la base che permette e oscura l’abuso riproduttivo. L’autrice rafforza la sua tesi analizzando nel dettaglio la misoginia. Evidenzia come le donne risultino doppiamente subordinate sia per il genere che per il ruolo in quanto impossibilitate ad accedere agli ordini sacri. Per accedere a ruoli di legislazione, giurisprudenza e amministrazione si deve infatti essere ordinati sacerdoti e quindi maschi celibi, così commenta: “Di conseguenza, il gruppo di persone che stabilisce le regole per la vita sessuale dei cattolici e il gruppo di cattoliche che possono rimanere incinte o di cattolici sposati con una persona che può rimanere incinta sono separati nel modo più netto possibile. Inoltre, questi due gruppi – clero e laici – sono in un chiaro rapporto di superiorità e subordinazione secondo la costituzione della Chiesa, che esige una stretta obbedienza e affidabilità dal basso verso l’alto, mentre la responsabilità morale è solo dall’alto verso il basso.” Reisinger (2022, p.11) Altro fattore preso in analisi riguarda la crescente importanza delle questioni riproduttive dall’inizio del XX secolo. In sintesi i vari documenti definiscono che solo coniugi eterosessuali sono autorizzati ad avere rapporti sessuali. Tali atti devono essere almeno aperti se non finalizzati alla trasmissione di nuova vita. Peccato grave sono l’atto sessuale fuori dal matrimonio, l’uso di anticoncezionali artificiali e sopratutto l’aborto. Stando così le cose l’abuso riproduttivo dovrebbe essere severamente punito ma così non è, cito Reisenger: “In parte perché i concetti stessi di autonomia riproduttiva e abuso riproduttivo sono estranei alla logica di questi documenti. In parte perché la tanto invocata dignità delle 41 madri e la sacralità della vita non ancora nata, così come presentate nella dottrina cattolica, non si traducono in diritti canonici garantiti e applicabili per madri e bambini. Non da ultimo, le decisioni su se e chi debba essere perseguito e punito per una gravidanza illegittima o per un aborto, e chi debba essere assolto e su quali basi, sono riservate in definitiva al clero maschile. Nei casi di abuso riproduttivo, tutti questi fattori lavorano a svantaggio delle vittime, come si può vedere in casi esemplari.” Reisinger (2022, p.11) Ci sono inoltre incentivi che portano i sacerdoti che non vogliono portare il peso del celibato a spostarlo sulle donne e sui figli che hanno generato, spiega infatti la Reisenger: “nella logica del diritto canonico, una violazione del celibato rimane, per il sacerdote, per lo più una questione di coscienza personale finché non diventa uno scandalo pubblico. Perchè se <<l’atto non è noto ad altri (e quindi, ipso facto, non è scandaloso), questi fatti pesano contro l’imposizione di qualsiasi conseguenza canonicamente penale>>.” Reisinger (2022, p.11). Ecco spiegato perché nel caso sopra citato Sharon Roy non ottenne alcun mantenimento fin quando non portò la sua causa di fronte al Child Support Enforcement Administration di Phoenix. Venendo all’analisi di alcune conseguenze più di tipo psicologico degli abusi riproduttivi credo sia utile evidenziare come le vittime credendo di essere in una relazione si sentono responsabili/colpevoli dell’abuso e interiorizzano idee misogine sulle relazioni eterosessuali, inoltre: “non è raro che le adolescenti e le giovani donne percepiscano gli atti sessuali indesiderati e persino la coercizione riproduttiva come qualcosa da dover sopportare 42 quando sono in una relazione eterosessuale. Quando a Lori Haigh è stato chiesto perché non poteva dire ai suoi genitori dell’abuso, ha risposto che <>”. Reisinger (2022, p.13) Proprio come il caso Roy evidenzia la tendenza a colpevolizzare la vittima da parte dei colpevoli e dei superiori, Reisenger cita altri casi in cui è la donna a sedurre il prete e a portare la responsabilità maggiore di essere rimasta in cinta a seguito di un rapporto. I vescovi stessi inquadrano tali circostanze di abusi nella prospettiva di “relazioni” venendo meno ad una visione responsabile dell’asimmetria di ruoli descritta in precedenza tra clero e laico. Accade anche che le vittime non trovino ascolto e accoglienza neanche da parte delle famiglie come nel caso emerso durante il processo penale contro Miguel Luna. Una della sue vittime: “ha ricordato come Luna l’abbia penetrata sessualmente per la prima volta, all’età di 12 anni nel 1993. Dopo, ha detto, si confidò con sua madre. Ma sua madre la guardò solamente e le disse: <>.” Reisinger (2022, p.14). 43
Capitolo 3 – Analisi delle cause del fenomeno degli abusi
3.1 Perchè sono realmente un fenomeno particolare gli abusi nella Chiesa Come visto nell’excursus storico la Chiesa ha impiegato tempo per riconoscere la necessità di analizzare strutturalmente il problema degli abusi al suo interno. I vescovi, riguardo ai membri del clero, avevano la prassi di spostare di luogo i responsabili di abuso e dopo il clamore mediatico la linea dei vertici fu quella di ribadire la necessità di condanna e applicazione del diritto canonico. L’approccio era quindi quello di vedere i singoli episodi non nella loro sistematicità all’interno dell’istituzione. Specie nei primi anni del clamore mediatico le testate giornalistiche, oltre che rivelare i risultati delle inchieste, tendevano a dare una lettura dei metodi messi in atto dalla Chiesa come fossero finalizzati allo scopo di insabbiare lo scandalo nell’interesse di anteporre l’istituzione rispetto alle vittime. Anche P. James Martin nel suo intervento nel libro “Atti impuri” concorda su questo punto per il fatto che la Chiesa è storicamente avversa “nei confronti dello scandalo all’interno di essa […]. Un attacco alla Chiesa è spesso interpretato come un attacco alla stessa fede.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.164). Di conseguenza in un triste paradosso, che P. Martin definisce “terribile ironia”, è con l’intenzione di tutelare i suoi figli che vengono coperti scandali per il timore che essi possano turbare o indebolire la fede dei credenti e il loro rispetto nei confronti della Chiesa andando a costituire: “una struttura pronta a preferire il carnefice alla vittima, il clero alla cultura laica, la Chiesa istituzionale alla Chiesa pastorale” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.2). Sul fatto che vescovi e altri capi della Chiesa hanno trattato i casi di abuso come episodi eccezionali una possibile spiegazione secondo il gesuita risiederebbe nel fatto di una mancata comprensione della portata del fenomeno legata ad una cultura, quella degli anni 1970, ancora poco attenta e sviluppata in materia. Parallelamente ad una coscienza critica costruita dal giornalismo laico l’analisi scientifica del fenomeno ha offerto la possibilità di passare gradualmente ad individuare i caratteri e i fattori di rischio oltre che le cause che portano agli abusi. Come afferma Gillian Walker: “le trasgressioni sessuali da parte dei membri del clero cattolico non sono necessariamente più gravi di quelle che hanno luogo in altre istituzioni religiose o secolari, ma incantano gli osservatori laici e non cattolici perché violano l’impegno pubblico del clero cattolico per il rispetto del celibato e la divulgazione di una morale sessuale restrittiva”. Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.251). Nel libro “Atti impuri”, Mary Gail Frawley-O’Dea descrive già nella prefazione il tipico scenario tra il 1960 e il 1990 in cui un ministro spesso carismatico e attento alle attività giovanili, sviluppa col tempo amicizie particolari con ragazzi solitamente di sesso maschile tra gli 11 e i 15 anni. Spesso si trattava di ragazzi cresciuti in famiglie problematiche ma non necessariamente. Fin dalla tenera età tali ragazzi erano stati educati dalle loro famiglie (di ovvia origine credente) alla fiducia e al rispetto delle figure sacerdotali in quanto rappresentanti di Dio e del suo volere. Quando poi l’amicizia si faceva sempre più intima, il sacerdote introduceva il sesso nella relazione col giovane. Fino a qualche anno prima il 2010 a tale situazione poteva proseguire un accusa a cui lo stesso appellante rischiava però di essere accusato di voler “gettare la Chiesa nello scandalo”: “una formula spesso usata 45 per indicare un’offesa considerata da molti ecclesiastici molto più grave di qualunque cosa il prete potesse aver fatto”. Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.XXVI). Con il tempo la Chiesa si rese conto che in tali situazioni si doveva ricorrere ai ripari mandando il tale sacerdote in terapia psicologica mentre prima bastava una promessa di cambiare comportamento. Negli anni sopra descritti caratterizzati da frequenti cause legali e ingenti richieste di risarcimenti furono le vittime stesse a volere che gli abusi e i relativi risarcimenti rimanessero confidenziali. Tale pratica ancora oggi viene rivelata attuale dall’Associazione Rete l’abuso, associazione laica la quale assiste le vittime di abusi del clero in italia, rivelando una prassi di risarcimento che si aggira sui 20.000 euro. Stando sempre al tipico scenario dipinto da FrawleyO’Dea di solito quando e se riassegnato ad una nuova sede, la comunità locale non veniva informata del passato del sacerdote.
3.2 Le ragioni degli abusi – il ruolo del silenzio Già abbiamo evidenziato come a livello strutturale, essendo un’istituzione che tutela anzitutto se stessa e poi le vittime limitandosi per lo più a risarcire in cambio del segreto, si possano di conseguenza basare le fondamenta di un silenzio che permette la perpetrazione del reato con responsabilità che quindi vanno attribuite sia al singolo che al sistema. Afferma Jordan in “Atti impuri”: “Gli stratagemmi impiegati per mantenere il silenzio spesso prevedono forti denunce del desiderio omosessuale, dichiarazioni enfatiche sulla purezza dei sacerdoti e prediche infuocate contro l’orrore degli abusi sessuali. Questa non è semplice ipocrisia, ammesso che l’ipocrisia all’interno delle istituzioni religiose possa essere 46 semplice. Denunce, dichiarazioni e sermoni servono a distanziare la “Chiesa” dai suoi crimini interni in modo più efficace della pretesa implausibile che il vescovo non sappia ciò di cui legge o scrive. […] I crimini mostruosi, per definizione, non possono nascere dall’interno della Chiesa. Sacerdoti che abusano di ragazzini… questo è assolutamente estraneo alla vita cattolica. Quindi la causa deve essere una qualche influenza esterna, Satana o la degenerazione della cultura circostante.” FrawleyO’Dea e Goldner (2009, p. 275-276). Come concretamente i casi vengono messi a tacere? Continua Jordan: “Le reti del potere clericale sono sistemi per imporre il silenzio. Esse cercano dapprima di mantenere il silenzio nei modi ordinari: nascondendo gli atti e i perpetratori, chiudendo la bocca ai testimoni e negando le accuse. Se queste tattiche falliscono, i membri del clero iniziano ad alzare la voce: si mostrano ansiosi di dissociarsi dal reato specifico, ma cercano anche di impedire che il caso specifico divenga un’occasione per aprire la discussione su questioni più ampie. Essi mirano non solo a proteggere la Chiesa da un possibile scandalo, ma anche a usare lo scandalo per impedire ulteriori discussioni.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p. 276). Anche la Commisione CIASE si sofferma sul tema del silenzio evidenziando come, specie nel primo periodo preso in analisi quello dal 1950 al 1970: “La gestione della violenza sessuale è rigorosamente interna. L’esistenza stessa della vittima dell’aggressione viene taciuta. In particolare durante il procedimento canonico, viene menzionata solo per assicurarsi che i fatti addotti si siano verificati e che taccia. La prassi è quindi quella di farle giurare sulle Sacre Scritture che non 47 parlerà contro l’istituzione. Questa ingiunzione al silenzio si trova anche all’interno delle famiglie. Rappresentativa di questo contesto è la testimonianza di un parrocchiano che giustifica il silenzio di fronte agli attacchi perpetrati da un sacerdote nella diocesi di Rodez negli anni Sessanta: «Negli anni Sessanta un mio amico confidò ai suoi genitori come se ne occupò l’abate. È stato schiaffeggiato due volte, a letto e senza mangiare.” Report CIASE (2021, p. 125-126). Dal lato della vittima vari fattori determinano il silenzio. Fra le vittime che hanno risposto al questionario di ricerca attivato dalla CIASE il 7% non aveva mai parlato dell’abuso prima dell’occasione del questionario. Le motivazione addotte sono (fra parentesi il numero delle persone): “vergogna (6), dolore (5), richiesta dell’abusante (3) e imbarazzo per la famiglia (3)”. Report CIASE (2021, p.185). Bisogna evidenziare come l’intento alla custodia del segreto non sia un fatto chiuso ad una sorta di casta clericale ma coinvolge anche i laici fino a perfino i genitori dei minori abusati che possono minimizza, negare o comunque preferire altri interessi piuttosto che quello per il proprio figlio. Il dott. Dante Ghezzi, psicologo psicoterapeuta, che lavora per il centro Tiama per i traumi dell’infanzia, dell’adolescenza riguardo maltrattamenti abusi la denuncia, oltre che membro del CISMAI (Coordinamento Italiano Servizi contro il Maltrattamento e Abuso all’Infanzia) per poter aiutare le vittime degli abusi a elaborare il proprio trauma è fondamentale un intervento tempestivo. Il problema del segreto è causa di attivazione nel soggetto abusato di meccanismi relativi alla lungo latenza che portano al misconoscimento non dell’abuso in sé ma della sua pesantezza, profondità, della sua capacità di fare danno. A titolo di esempio cita il caso clinico di un suo paziente venuto al centro Tiama il quale da bambino fu abusato da un prete, raccontò il fatto alla 48 madre che lo invitò a dimenticarsene. Divenuto adulto a distanza di 19 anni circa e dopo aver avuto bambina al secondo genito di sesso maschile, tale evento di gioia diventa per lui attivatore dell’evento da lui subito da bambino chiedendo aiuto ai terapisti perché teme che anche a suo figlio potrà accadere quanto successo a lui. (L’abuso sessuale spiegato dal dott. Dante Ghezzi – VIDEO Rete L’ABUSO – YouTube.). Per Mary Gail Frawley-O’Dea, l’autore di delitti sessuali è straordinariamente capace di entrare con sensibilità e in punta di piedi nella vita delle loro vittime e di rispondere ai loro bisogni emotivi e relazionali: “evocando un senso di rispetto, fiducia e dipendenza molto prima che abbia luogo il primo contatto fisico.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.86). La segretezza è indispensabile per l’abuso sessuale. Le vittime vengono messe in allarme che se dovessero rivelare l’abuso verrebbero messe in orfanotrofio, lontane da casa; altre volte, riportano le autrici, le vittime vengono minacciate di subire del male loro o i membri della famiglia. Talvolta l’abusante incolpa la vittima dicendo di averlo sedotto, scaricando così su di lei la propria vergogna e il proprio disprezzo di sé. “In aggiunta, molti minori abusati restano in silenzio perché sentono chiaramente che nessuno, nel loro ambiente, li aiuterà, se diranno la verità. Per un bambino è più rassicurante tenere in vita la fantasia per cui, se avesse parlato, qualcuno lo avrebbe aiutato, piuttosto che rivelare l’abuso a qualcuno che potrebbe ignorarlo, accusarlo o violarlo di nuovo. Molti bambini adolescenti non rivelano il segreto sull’abuso perché vogliono bene al suo autore. Una crudeltà fondamentale dell’abuso sessuale, infatti, consiste nel modo in cui il suo autore calpesta l’affetto e il rispetto che il giovane gli offre con generosità e fiducia. E’ da questo epicentro di fiducia tradita che origina l’effetto di dissociazione mentale dell’abuso sessuale.” Frawley-O’Dea e Goldner 49 (2009, p.86)
3.3 Le ragioni degli abusi – il ruolo del clericalismo e il laisser-faire sociale Se il silenzio costituisce un importante e grave fattore di rischio di tipo ambientale, specie in quanto fattore di perpetrazione, ne possiamo individuare altri in un complesso articolato tra potere, dottrine e contesto socio-religioso. Per il rev. Thomas P. Doyle la capacità e le possibilità dei vescovi di mantenere il segreto non sarebbe stata la stessa senza l’acquiescenza della comunità laica che riteneva di dover partecipare alle operazioni di occultamento nell’interesse della Chiesa. “Il clericalismo laico si basa su un’immatura dipendenza dal clero quale intermediario della spiritualità del credente e della relazione con Dio. Nel cattolicesimo, i preti controllano l’accesso del fedele ai sacramenti, e i sacramenti costituiscono per la comunità laica la sorgente del nutrimento e della sicrurezza spirituale. In sostanza, le minacce al blocco di potere gerarchico sono minacce alla sicurezza spirituale personale degli individui.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.185) I cosidetti terzi non direttamente coinvolti nei casi di abusi sono quindi soggetti che per così dire non vogliono vedere. Conclude Doyle: “Molti clericalisti laici, quindi, sono stati più intenti a proteggere le proprie fantasie di una Chiesa istituzionale perfetta e popolata da un’onorata casta clericale che a protendersi verso le vittime. Purtroppo, un numero troppo elevato di quelle vittime, delle loro famiglie e dei loro sostenitori ha subito l’ostracismo, anziché il sostegno, 50 dei fratelli laici.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.187) Reverendo Richards così racconta episodi relativi a tale argomento: “Parte del mio lavoro, una volta che un prete fosse stato accusato di cattiva condotta sessuale e l’indagine fosse proceduta al punto da indicare con certezza che un’infrazione aveva effettivamente avuto luogo, consisteva nel recarmi presso la parrocchia per incontrare i fedeli e spiegare loro cosa stava accadendo e in che modo si stava affrontando il problema. Senza eccezioni, e persino nei casi più drammatici di infrazioni gravi e prolungate, i parrocchiani si rifiutavano di credere che il loro prete avesse trasgredito; reagivano con grande rabbia, e cercavano risolutamente degli alibi o delle giustificazioni per il suo comportamento.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.200). Sette e Tuzza prendono in analisi una ricerca etnografica in materia di abuso perpetrato effettuata in un piccolo paese francese. Il titolo di tale studio “incesto ordinario” era piuttosto eloquente e descriveva come per 28 anni, Nelly fu violentata e torturata dal padre, Lucien. Da tali fatti nacquero 6 bambini, noti a tutti in paese compresi amministratori locali, servizi sociali, ospedali e scuole. Tutti sapevano e tutti ne parlavano. Tale ricerca dimostrò una tipica situazione di “laisser-faire” e per analizzare l’ondata di indignazione collettiva generata solo a seguito della testimonianza pubblica di Nelly. “L’incesto di Lucien su sua figlia diventa un problema per gli abitanti soltanto a causa della mediatizzazione generata dalla denuncia sporta da Nelly e dell’indignazione che ne è seguita. Questo perché la denuncia pubblica di Nelly ha minacciato il corso della vita ordinaria del paese e, quindi, da quel momento in poi, l’incesto era stato nominato e, qualificato giuridicamente come crimine, ritornava ad essere una proibizione sociale e legale. Come in una famiglia in cui la vittima rivela l’incesto e i cui membri restano ancorati all’ordine preesistente e la escludono, gli abitanti di questo paese hanno tentato di ripristinare l’ordine del villaggio scagliandosi contro Nelly”. Sette e Tuzza (2021, 79).
3.4 Le cause degli abusi – una scarsa selezione e inadeguata formazione del clero al difficile ruolo e alla possibilità-impossibilità di espressione sessuale Lo scarso numero di sacerdoti, l’impropria selezione dei candidati al sacerdozio e la scadente formazione vengono riconosciuti come cause da P. Martin e dal Rev. Richards. Martin fa notare come negli anni Quaranta e Cinquanta (gli anni che hanno ordinato i preti che a distanza di una ventina di anni hanno fatto registrare il picco dei dati statistici fin’ora rivelati dai vari report) per poter aver accesso al suo ordine (quello dei gesuiti), “era sufficiente presentare una lettera di raccomandazione da parte di un altro sacerdote e avere un incontro con il padre provinciale. Se il padre provinciale dava il suo assenso, il candidato era ammesso.” Continua il suo racconto dicendo che invece quando nel 1988 entrò lui nei gesuiti i candidati: “erano sottoposti a una batteria di test psicologici i cui risultati erano contenuti in un rapporto inoltrato all’ordine stesso.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.162). A questo si aggiungevano i soliti colloqui e ritiri spirituali. Si richiedeva poi anche una autobiografia esaustiva, sei lettere di raccomandazione provenienti da amici e colleghi di lavoro oltre che un certificato sanitario. La questione 52 relativa alla formazione, rileva il gesuita, ha invece delle criticità che riguardano non solo l’aspetto psicosessuale ma anche alla capacità di definire i giusti confini tra se stessi e il prossimo. La Rev. Richards fa notare che già il fatto della prassi cattolica, che a differenza di quella episcopale prevede sia un soggetto a presentarsi “per conto proprio” come candidato piuttosto che scelto da una comunità come nella sua Chiesa (a titolo di esempio nel suo caso è stata coinvolta per tre anni nell’elezione alla candidatura), costituisce un potenziale fattore di rischio. L’impulso iniziale all’ordinazione rimane prerogativa dell’individuo che si trova per una prassi millenaria a dover accettare senza altrettanta libertà il celibato. La propensione al sacerdozio viene poi valutata non solo dal punto di vista delle doti necessarie al ministero ma anche alla conformazione verso uno sviluppo psicosessuale che diventa troppo spesso omologante piuttosto che frutto di un percorso di individualizzazione del sé erotico-sessuale. A questo si aggiunga che quella dell’ordinazione “per conto proprio” è una “decisione che spesso viene presa durante l’adolescenza o nelle prime fasi dell’età adulta” e che “ può sostanzialmente isolare, mettere da parte o spegnere la vita emotiva di un uomo, in modi che alla fine si rivelano poco salutari per lui e per l’istituzione.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.194) Anche lei concorda con P. Martin sull’importanza in ambito formativo di sviluppare una capacità di mantenere consapevolmente dei confini che viene definita come: “la capacità di assumere su di sé un ruolo ampiamente pubblico”, quale quello del sacerdote, “sostenendo al contempo una vita interiore che è parte integrante del sè pubblico pur senza essere condivisa pubblicamente” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.210). Se tale percorso 53 formativo non viene intrapreso seriamente, continua, “le tensioni emotive del lavoro sono in genere tali da minacciare, almeno occasionalmente, la capacità di mantenere confini appropriati” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p. 217) comportando dolore e sofferenza emotiva negli altri: il rischio di invadere la sfera dell’altro è piuttosto vicino. La funzione del ruolo deve essere ben chiara al pastore ed essendo la sua una “professione profondamente eterodiretta” espressione della Richards diventa necessario far spazio ad altre persone affinché riescano a diventare ciò che esse sono veramente. Il sacerdote rappresenta Dio e tutte le energie ad esso associato dalla tradizione religiosa (esempio funzione di produzione del sacro per mezzo dei sacramenti ma anche qualità come la creatività, apertura, autotrascendenza ecc). La cultura non è capace di aiutare le persone a comprendere e assimilare tali energie, così quando una persona laica è in ricerca di elaborazione della propria fede, di crisi personale o mera ricerca spirituale assimila piuttosto la persona che le rappresenta senza capacità di distinzione. Si apre così la possibilità di rendersi vulnerabile ad un altro che può manipolare e abusare colui che diventa vittima. Afferma infatti Richards: “Semplicemente, la figura del prete esercita un enorme potere psichico. Questi si situa sulla soglia tra l’umano e il divino, rappresentando Dio. Gli scritti dei mistici di ogni tradizione religiosa testimoniano che energia spirituale ed energia sessuale sono la stessa energia; e quindi il prete – in virtù della sua vocazione – costituisce un’icona sessuale.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.199) Per di più il rischio maggiore è dato dal fatto che tale energia sessuale fluisce, secondo Richards, “tra i laici e i membri del clero in forme che possono non raggiungere mai un livello cosciente.” (ibid.) Quando tale energia sarebbe gestita male, il prete non è capace o disposto a rispettare le persone laiche come off-limits per lui, agendo come Dio stesso e non come suo funzionario. Vi può essere quindi anche il caso per cui relazioni che nascono dalla violazione di un confine vengano poi risolutamente difese da coloro che sono coinvolti come relazioni d’amore uniche e speciali. 3.5 Le cause degli abusi – il legame tra potere, sesso e controllo sociale Secondo Walker vi è poi una connessione tra i precetti sessuali repressivi della Chiesa e le illecite relazioni di potere al suo interno che sono andate a definire un sistema gerarchico il quale: “ha portato all’erompere dell’abuso sessuale su minori cattolici da parte della casta sacerdotale, mentre la volontà del sistema di preservare il proprio potere è sfociata nel generale occultamento degli abusi.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.251). Richard Sipe si è soffermato su quelle che secondo Walker sono due teorie importanti, le quali hanno definito le “strutture di sesso/potere del celibato”. La prima teoria che spiega questo intreccio è quella Foucaultiana per cui gli usi della sessualità sono legati a meccanismi di potere e controllo, si legge infatti in “No al sesso Re” dell’autore francese: “il sesso ha rappresentato nelle società cristiane, la cosa che bisognava esaminare, sorvegliare, confessare, trasformare in discorso […]. Dal Cristianesimo in poi, l’Occidente non ha smesso di dire <> ”. Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p. 255). In questo senso la morale sessuale della Chiesa insieme alla sua struttura gerarchica ben rientra secondo Walker in questa visione espressa da Foucault che unisce sesso e potere. La seconda teoria appartiene all’antropologa Douglas e riguarda il modo in cui regole di purezza costruiscono e rafforzano confini socio-religiosi che vengono percepiti come speciali e sacri. Riprendendo Douglas in “I simboli naturali: esplorazioni in cosmologia”, Walker afferma: “un gruppo esposto a pressioni sociali dall’esterno tenderà a enfatizzare l’adesione a rigide norme di autocontrollo fisico come indice di conformità da parte dei propri membri.” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.258), un ambiente che risulterebbe quindi gerarchico, disciplinare, basato sul controllo della sessualità. Quali sarebbero i fatti e le conseguenze di queste regole sessuali in particolare del celibato? Per Sipe, psicologo ex sacerdote, dopo aver intervistato 1500 preti dal 1960 al 1995 anno di pubblicazione di “sex, priest and power: anatomy of a crisis”, si tratta di un patto in cui i preti cedono la loro promessa di celibato in cambio di: “una confraternita di impiego garantito, rispettabilità, prestigio e potere […]. Tutti i benefici maturano automaticamente nella misura in cui l’apparenza del celibato è abbracciata pubblicamente o ufficialmente […]. Il potere è conferito e mantenuto, a meno che l’esposizione pubblica non minacci lo scandalo” Frawley-O’Dea e Goldner (2009, p.261). Tuzza e Sette prendono in analisi i principali fattori di rischio. Il primo è quello relativo alla cultura istituzionale e organizzativa della Chiesa caratterizzata da fede, fiducia e autorità. Gli studi criminologici hanno evidenziato similarità di comportamenti da parte degli autori abusanti. Gli addescamenti sono basati su una pianificazione a lungo termine: 56 “caratterizzati da un rapporto fiduciario solido, presenza di una posizione di autorità e il rispetto dell’abusante; e sostenuti dalla segretezza, dalla vergogna e dall’isolamento della vittima. […] In altri termini, circostanze nelle quali un adulto ha alti livelli di autorità/fiducia/responsabilità e attività che implicano la cura o il contatto fisico/intimo con la vittima.” Sette e Tuzza (2021, p. 40-41). I rischi aumenta quando i minori in questione sono già stati trascurati o vittime di maltrattamenti o abusi anche da parte di coetanei (si pensi al bullismo). Per gli autori: “il contesto esprime di per sé un fattore per il quale i bambini e i giovani sono intrinsecamente più a rischio di abusi, a causa della loro esposizione in quel dato contesto ad altre forme di maltrattamento infantile.” Sette e Tuzza (2021, 42). Oltre a ciò le culture organizzative influenzano anche il modo in cui le istituzioni reagiscono di fronte ad un evento di abuso. Le vittime possono non essere credute specie quando il colpevole è un membro molto stimato della comunità, lo staff dell’istituzione è reticente a considerare che un collega possa aver agito in modo inappropriato. Nei contesti in cui le figure di tutela e cura appartengono a organizzazioni basati sulla fede-fiducia l’abuso assume un ulteriore connotato per le vittime. Esse sperimentano anche una forma di abuso cosiddetto “spirituale”. Elementi del campo spirituale-religioso possono quindi entrare in gioco per l’addescamento e la perpetrazione dell’abuso. Tali elementi includono narrazioni che esaltano l’ordinazione del clero a compiere l’opera di Dio; l’importanza di obbedire a Dio e quindi al clero; inoltre peccato, pentimento e confessione vengono controllati sempre dal clero stesso. Gli stessi termini “Padre” o “Fratello” indicano un’intimità e una fiducia a cui il credente fa riferimento. Qui si inserisce la necessaria considerazione riguardo al clericalismo. Esso, connaturato al contesto organizzativo della Chiesa, veicola una cultura di dominazione di un gruppo su di un altro e rappresenta la base per comportamenti abusanti, assegnando ai religiosi poteri psicologici e spirituali. L’autorità del singolo si confonde con il potere del singolo. L’autorità infatti appartiene legittimamente all’istituzione ma il clericalismo slitta tale autorità al burocrate che svolge le funzioni dell’istituzione conferendo alla sua persona poteri che propriamente non gli appartengono. Gli abusi sessuali commessi da personale del clero risultano quindi doppiamente abusi di potere e abusi d’autorità. Ancora più perniciosa è la cultura del cosiddetto “gerarchismo”: “un neologismo che individua nello specifico la peculiarità della cultura del potere esclusiva delle alte cariche episcopali, una cultura più problematica e sconosciuta di quella clericale.” Sette e Tuzza (2021, p.46). Allo sbilanciamento di potere dovuto alla funzione sacerdotale e alla cultura clericale si aggiunge quella di genere. “La letteratura socio-criminologica in tema di abusi e di violenze ritiene che la dominazione maschile rappresenti un modello storicamente contingente, ma duraturo, di relazioni di genere. Mentre questo modello è istituzionalizzato attraverso le pratiche collettive dello Stato, del posto di lavoro, della scuola e della famiglia, esso è incarnato dagli uomini nella loro vita quotidiana e vissuto come forza costitutiva nei loro rapporti interpersonali e sessuali.” Sette e Tuzza (2021, p. 47-48) La costruzione della “mascolinità egemonica”: “ ha la funzione di legittimare il dominio della mascolinità associando caratteristiche socialmente apprezzate a uomini e ragazzi, mentre caratteristiche meno apprezzate, o addirittura disprezzate, sono associate alla femminilità.” Sette e Tuzza (2021, p. 48). Tali 58 costruzioni sociali costituiscono dinamiche di potere sbilanciato. Gli autori citando le analisi di Keenan confermano che l’abuso dei religiosi sui bambini è istituzionale e può definirsi l’esito “inevitabile” delle dinamiche di potere e delle strutture della Chiesa. I responsabili degli abusi vengono visti dalla psicoterapeuta e sociologa americana come parte di una istituzione totale di assoluta gerarchia maschile in cui impotenza privata e dominio pubblico incontrollato e incontrastato si incontrano in un mix dagli esiti pericolosi.
3.6 Le cause degli abusi – fattori religiosi: influenza sacramentale, identità vocazionale, missione caritativa Anche la Commisione CIASE si sofferma su meccanismi di influenza istituzionale. Il primo dei fattori sui quale la Commissione si sofferma è l’influenza sacramentale. Il sacerdote agisce, per usare una espressione teologica, in persona Christi. I sacramenti infatti, ma anche una serie di pratiche parasacramentali come la direzione spirituale della coscienza, possono essere dispensate solo dal clero. Il report cita l’esempio di un bambino che veniva abusato all’età di 8 anni: “Il suo aggressore gli disse che quello che stavano facendo insieme era davvero un peccato, ma che era stato cancellato dal sacramento della penitenza. Da quel momento in poi diede l’assoluzione al bambino dopo ogni sessione di masturbazione.” Report CIASE (2021, p.174). Anche altri riti sacramentali possono agire a vantaggio del clero abusante. Per esempio nel caso in cui l’abusato accetta anche se a malincuore di essere sposato o che i suoi figli vengano battezzati dal sacerdote aggressore. Altro caso può essere quello dell’Ordinazione. Un prete abusato quando era in 59 seminario intervistato dalla Commissione parla di una “sacra confusione” in riferimento al momento in cui il prete aggressore pose le mani sul suo capo per la sua Ordinazione. Tali circostanze vanno a incrementare il senso di vergogna e di impotenza che caratterizza ogni vittima di abusi. Un secondo fattore di influenza attivato dagli aggressori si basa: “Sul principio vocazionale, o elezione, che sta al cuore del discorso spirituale e delle pratiche pastorali cattoliche. Si attiva nell’ambito del dispositivo di chiamata al sacerdozio o alla vita religiosa, per commettere abusi sugli alunni dei seminari minori e sulle pie fanciulle.” Report CIASE (2021, p. 175) Ogni sacerdote o religioso risponde a una elezione che risponde al volere di Dio e a cascata per la vittima, l’essere eletto sessualmente nell’abuso va a rappresentare una partecipazione a quell’elezione sacra che appartiene al sacerdote. La persona scelta dall’aggressore è in qualche modo scelta da Dio stesso e impegnata sull’elezione a sacerdote del suo aggressore. L’isolamento e il sacrificio che agli occhi del laicato apparterrebbe al clero comporta anche un carattere asessuale che dovrebbero contraddistinguere le relazioni tra laici e clero. Quando un abuso sessuale si verifica in tali ambienti risulta più difficile da riconoscere come tale, infatti: “quando ciò accade, sia gli adulti che i bambini faticano a riconoscere la distinzione tra interazione adulto-bambino appropriata e inappropriata. Gli adulti sono spesso mal equipaggiati per gestire i loro desideri sessuali ei bambini le loro eccitazioni sessuali. Di conseguenza, i giovani spesso non sono in grado di resistere alle avances sessuali degli adulti.” Report CIASE (2021, p. 176) 60 Il terzo fattore individuato si basa sul principio della carità. “Se la Chiesa è, come ogni istituzione gerarchica, abitata da un’esigenza di lealtà nei suoi confronti, anche di segretezza, anche la copertura degli abusi e la resistenza alla critica sono favorite da un fattore proprio della Chiesa Cattolica: il potere nella Chiesa è istituito come atto di carità, servizio. Ma questo modo di istituire il potere genera il suo punto cieco: l’impossibilità di pensare al <>, cioè al potere.” Report CIASE (2021, p.179-180). Si è ministri, dal latino servo, anche quando ad esempio un sacerdote si fa finanziatore dei bisogni materiali ed educativi di un minore. In modo emblematico il Rapporto descrive il caso di un intervistato che racconta di essere stato vittima di un sacerdote che risultava pubblicamente un gran benefattore avendolo accolto dopo che l’orfanotrofio in cui viveva fu chiuso. Tale riconoscimento pubblico rendeva ancora più difficile per se stesso e per coloro che vivevano accanto al sacerdote e alla vittima, all’epoca minore povera e bisognosa di aiuto, il riconoscimento dell’abuso. Come puntualizza il Report: “Se la persona aggredita avesse resistito troppo, l’aggressore avrebbe ritirato il suo aiuto finanziario. Resta il fatto che la sua parola non sarebbe creduta, tanto è accecante l’aura caritatevole del suo aggressore per chi lo sostiene, tanto il mondo dei beneficiari e quello dei donatori sono segnati dalla distanza sociale e spaziale.” Report CIASE (2021, p.180) 61 Anche Tuzza e Sette prendono in considerazione gli elementi socio-economici come fattori di rischio degli abusi. La loro è una considerazione sistemica che parte dalle conseguenze dell’ideologia neoliberale. Il riconoscimento delle vittime può essere considerato come un processo politico che si scontra con i limiti delle prospettive sociali, culturali e individuali. L’ideologia neoliberale ha avuto un impatto sulla costruzione della vittima e della vittimizzazione come esperienza individuale, patologizzante del singolo autore mettendo in secondo piano l’attenzione al sistema e causando una riduzione delle prestazioni sociali e dei servizi in favore dei singoli soggetti vulnerabili e delle comunità. “Il rischio è dunque che, avendo incentrato tutta l’attenzione sulle cosiddette “bad apples” e sulla loro punizione severa, si trascurino gli altri bisogni delle vittime e delle comunità; affermando le responsabilità individuali ci si dimentica delle questioni sociali e sistemiche quali la povertà, l’accesso all’istruzione, la classe e tutte le altre macro-variabili delle quali sono portartrici le potenziali vittime.” Sette e Tuzza (2021, p. 54)
Conclusioni Dai risultati delle ricerche che le commissioni hanno effettuato sullo specifico fenomeno degli abusi sessuali in ambienti ecclesiali si possono evidenziare delle particolarità che li differiscono dagli altri ambienti. L’ambiente ecclesiale rappresenta il primo ambiente di abusi sessuali dopo quello familiare/parentale. Mentre alcuni caratteri si ripetono e rimangono comuni, come fattori di rischio quali la disparità dei ruoli e la gestione del potere che riguarda la Chiesa ma può riguardare qualsiasi altra istituzione, altri costituiscono un eccezione. Il fattore del potere, la gestione dello stesso e il gerarchismo sembrano emergere come i principali fattori che determinano gli abusi anche nell’ambiente ecclesiale. Particolarità del sistema degli abusi ecclesiali è ad esempio la prevalenza di vittime di genere maschile che pare maggiormente a rischio per la maggior facilità di addescamento oltre che per un processo di identificazione da parte del chierico con la propria sessualità repressa negli anni pre-adolescenziali e adolescenziali che porterebbe a replicare il proprio vissuto sugli altri minori. Altri aspetti particolari sono ovviamente relativi al contesto religioso-spirituale che costituisce una base di potere a favore del carnefice a cui segue l’abuso psicologico e sessuale. Tale argomento meriterebbe un approfondimento teologico e spirituale che per ovvi motivi non competevano a questo elaborato. Dal punto di vista più sociologico ciò che si evidenzia è però la necessità di una cultura laica maggiormente emancipata dalla dipendenza dal clericalismo che distorce la visione reale degli eventi e delle relazioni. La questione della gestione del potere che appartiene a tutte le istituzioni si traduce nell’ambiente ecclesiale in 63 una gestione del potere “religioso” che di fatto svolge la funzione sociale di mediazione col divino e di produzione del sacro, elementi che pongono una separazione di casta tra gli aderenti all’ “ekklesia” (chi può produrre e mediare da una parte e dall’altra chi non è dotato di questa possibilità, il genere femminile e i laici). Il problema non si esaurisce però nel rapporto clero-non clero tant’è che le statistiche rilevano un aumento di abusatori laici laddove figure clericali lasciano incarichi educativi come ad esempio il contesto degli istituti. Questo ulteriore aspetto meriterebbe approfondimenti per valutare se c’è una continuità con le cause e la struttura dell’ambiente ecclesiale o se e in che misura tali cause vanno piuttosto ricercate altrove. Gli sforzi dell’istituzione ecclesiale e della società tutta sono aumentati negli ultimi decenni ma per avere dei riscontri sugli effetti di tali interventi è necessario attendere altri decenni, il tempo necessario perché il silenzio sofferente delle vittime possa trovare ascolto in chi li può ascoltare. Per fare questo diventano fondamentali luoghi di ascolto e accoglienza non solo ecclesiali ma anche fuori dall’ambiente che ha costituito luogo di abuso. Ovvio è l’interesse da parte della Chiesa di limitare i fenomeni di abuso al suo interno ma non può essere la sola ad occuparsene. La coscienza sociale tramite il giornalismo ha sollevato e talvolta favorito la sensibilizzazione per la tematica ma la cittadinanza può fare di più sul piano della prevenzione e della cura di minori abusati o a rischio negli ambienti ecclesiali e non solo. 64 Intervista a Francesco Zanardi (vittima di abuso sessuale clericale) Cosa puoi raccontarmi della tua famiglia d’origine riguardo in particolar modo gli anni della tua infanzia? I miei genitori non so chi siano perché sono stato adottato ma non l’ho saputo fino al funerale di mia madre quindi ti devo parlare dei miei genitori adottivi. Era una situazione piuttosto turbata nel senso che mia madre non poteva avere figli e mi adottò a Torino nel 1970 poi dopo l’adozione ebbe immediatamente vergogna di avere un figlio adottato ebbe una pesante crisi psicologica e fu costretta a lasciare Torino e venire ad abitare a Savona, questo perché a Savona nessuna sapeva che il figlio era adottato ed in qualche modo lei riuscì ad accettare di più la cosa. Purtroppo poi io per 24 anni non l’ho mai saputa poi quando mia madre si è suicidata, un parente, cercando di dare una spiegazione del suicidio, mia madre si era ammazzata buttandosi in mare, mi ha detto questa cosa pensando che io sapessi, invece mi è caduto il mondo addosso. Con mio padre, lo stesso, è sempre stato un rapporto che avevo la sensazione come non fossi stato loro figlio. Mi straniva il comportamento dei miei genitori con me e quello dei genitori dei miei amici quando andavo da loro, non coglievo cosa mancava ma mancava qualcosa. Vedevo delle differenze che oggi mi spiego, all’epoca no. Ti ricordi delle manifestazioni d’affetto tra loro o di loro con te? Tra loro come coppia no, era una famiglia assolutamente patriarcale dove mia 65 madre subiva tutto quello che c’era da subire per tutti, mio padre spadroneggiava per casa. Quando si sposarono mia madre, che già sapeva di non poter avere figli faceva l’infermiera, lavorava in ospedale, mio padre la costrinse a lasciare il lavoro perché voleva la moglie a casa; la femmina doveva stare a casa a fare la femmina non doveva lavorare. Affetto nei miei confronti la mia mamma, forse per la situazione che viveva, quello che mi offriva era più una imposizione di affetto diciamo così, inadeguate all’età che avevo che al momento ecc. Mia madre infatti si suicidò a 24 anni pochi giorni prima era venuta a sapere che ero stato abusato dal prete. Fino a quel momento nessuno le aveva detto questo, tuttavia lei andava a fare volontariato in ospedale a curare i malati di HIV con una suora che era di Spotorno. Questa suora uno di questi giorni le dice, sai che mandano via Don Nello perché violentava i bambini? Io credo che in quel momento a mia madre le si sia aperto tutto, abbia capito tutto. Come mai ero cambiato caratterialmente. In infanzia e adolescenza il tema del sesso in famiglia era un tema tabù o in qualche modo se ne parlava? Era un tema assolutamente tabù, i modi di parlare di sesso semmai erano questi, mio padre che faceva le corna a mia madre tranquillamente. Sapevo che lui andava a fare i fanghi ad Aquiterme poi lì aveva le donne, mia madre se lo subiva, non diceva nulla, classica famiglia patriarcale terrificante proprio. Questa cosa l’ho sempre saputa fin da piccolo chiunque lo avrebbe capito era molto evidente. La sera che mia madre si era ammazzata, la stessa sera mio padre aveva l’amante che era scesa da Torino. 66 Quali sono state le prime figure adulte con cui hai affrontato il tema del sesso? Eh guarda paradossalmente nel 2005-2006, un prete, col quale non ho mai fatto sesso e non ho avuto rapporti premetto. Un prete che era parroco che era collega del prete che mi ha violentato. Don Carlo Rebagliati aveva intravisto in me un’omosessualità che però io non avevo ancora visto perché avevo un blocco sessuale. Lui l’aveva già vista. Avevo circa 30 anni, fino a quell’età ho avuto un blocco sessuale totale, mai fatto sesso se non col prete che mi aveva stuprato. Verso i 30 anni uscito dalla droga, mi riconosco anche sessualmente e inizio a stare bene. Inizio a completare la mia esistenza. Prima dei 30 anni non ne parlavi neanche con il gruppo dei coetanei di sesso e sessualità? No. Era un tema di imbarazzo allucinante, quando mi avvicinavo a una ragazza mi vedevi scappare subito, se volevi farmi scappare da una situazione, mi mandavi una ragazza vicino ed era più che sufficiente e tranquillo che io in quella situazione non tornavo più. Venendo al tema della tua famiglia in termini di quanto fosse credente nella religione, tua madre era più credente vero? Sì. Guarda mio padre, ex carabiniere. Mia madre e sua madre, mia nonna, sì. Guarda mia nonna per esempio mi ricordo d’inverno si faceva una volta che 67 gli anziani si portavano a casa per non farli stare da soli, poi mia nonna viveva in campagna non si lasciava, me la ricordo che dormiva in un letto in camera mia che faceva versi strascicati ed era lei che diceva tutto il rosario, finché non lo finiva non si dormiva, lo diceva sottovoce ma io la sentivo lo stesso che rompeva le balle. Mia madre non aveva ruoli in parrocchia ma io fui violentato a causa sua nel senso che lei aveva questo suo lato di amore, secondo lei, e perché io fui violentato, perché io la domenica dovevo andare a fare il chierichetto alla domenica, assolutamente. Lei ci teneva, io non andavo perché credevo, ci teneva lei, e lo faceva in un modo particolare. Diceva che a una delle messe della domenica veniva a vedere. Quindi mi costringeva a fare la messa delle 8 della mattina ecc perché io non sapevo a che ora veniva, sapevo che veniva poi se c’era o no non sapevo, quindi subivo anche tutte le paranoie di una madre che guai se per esempio leggevo sull’altare e sbagliavo qualcosa mi rimproverava. Avevo sensi di colpa per cui andavo lì col terrore. Dall’ altro lato comunque non potevo stare in casa con mio padre perché era un uomo che non voleva fastidi, non voleva nessuno in casa, non mi faceva neanche fare i compleanni perché diceva che i bambini gli davano fastidio. Infatti quando mia madre si è ammazzata mio padre me lo disse chiaramente, tua madre voleva un figlio io no, adesso tua madre non c’è più. Più chiaro di così. Cos’era per te l’ambiente parrocchiale, non ci andavi perché credevi, cosa rappresentava per te? L’ambiente parrocchiale lo frequentavo perché vivevo in un paese di 5 mila abitanti neanche e tutti i ragazzini, in inverno sopratutto si andava in 68 parrocchia. Se non ci vai sei solo. Era un ambiente di socializzazione soprattutto per gente come me che in casa stavano male. Non potevo portare gli amici, non potevo essere libero, non potevo neanche portare un amico a un’amica a studiare perché il papà rompeva le scatole. Capisci che il bambino cerca un luogo alternativo quindi quello era il mio luogo alternativo per un paesino che ha le risorse che ha. All’interno del contesto parrocchiale la figura di Don Nello cosa rappresentava per la tua famiglia e per te? Don Nello, si amicò subito a mio padre, mia madre era più sottomessa quindi non aveva un ruolo di comando in famiglia anche se era la mamma. Don Nella mangiava, gli piaceva mangiare quindi faceva queste cene in cui gli piaceva cucinare a mio padre pure. Quindi veniva a casa da voi? Assolutamente, questo lo fanno tutti. Se guardi le storie generalmente il prete è l’amico di famiglia eh. A parte gli addescamenti a scuola o in parrocchia, ma anche quelli in parrocchia, non c’è una storia in cui il prete non diventa amico di famiglia perché è un autodifesa molto importante. Il ragazzino sa che è l’amico di papà e mamma e vagli a far del male. Lui andava anche da altre famiglie c’era la moglie ad esempio di una coppia, il prete gli stuprava i figli e la moglie invece faceva credere che lei e il prete avessero una relazione, proprio coprire la sessualità del prete. Cioè poi va beh qui siamo a livelli di 69 comportamento da setta la Chiesa non è definita tale ma come ti dovrei classificare. Questi poi sono delinquenti stanno facendo del male manco ad altri ma ai loro stessi figli. Situazioni comunque simili ci sono. Riguardo l’evento non voglio farti domande specifiche, nella biografia parli dello stanzino dove smontavi le radio, racconta se vuoi quello che ti senti. Io mentii alla Procura della Repubblica quando denunciai perché in realtà non ricordai quello stanzino. Io ricordavo il primo abuso, che invece è stato uno degli abusi, in una casa di campagna degli scout e non l’ho mai ricordato quello stanzino. Poi nel 2103, questo ti fa capire quanto la mente copra i pensieri scomodi, nel 2103 faccio quei due famosi servizi con Le Iene. Nel secondo servizio, io sapevo, avevo già ricostruito la situazione del prete che mi abusò e l’anno prima aveva preso i voti e l’anno prima aveva già abusato di un altro ragazzino infatti era stato spostato dove abitavo io per quel motivo. In quella seconda puntata de Le Iene trovarono proprio quel ragazzino che era stato abusato la prima volta a Valleggia. Questo ragazzino mentre racconta dice un particolare insignificante. Bene, in quel momento mi è venuto in mente tutto. Avevo rimosso il particolare dei pantaloni di velluto. Lui mi sedeva sulle gambe, era un rito, ed aveva sempre i pantaloni di velluto, io avevo completamente rimosso poi questa cosa fece tornare la mente a galla. Quindi era un pensiero nascosto, ma non era vero che era nascosto perché in un secondo ha ritirato su tutto, capisci? Ciò è avvenuto prima o dopo il percorso che hai fatto con il CeIS? 70 No, quello l’ho fatto prima dei 30 anni quindi questo è successo dopo. Nella biografia parli anche dei campeggi che facevate da bambini, come erano gestiti, cosa accadeva? Semplicemente riguardo al campeggio si faceva leva su ragazzi appunto poveri, eravamo in 4 generalmente, nell’audio dove Don Nello confessa dice eravate 5 ma io ricordo 4 il quinto non so chi sia e, col senno di poi, noi vivevamo una vita monotona. Eravamo bambini che facevano casa parrocchia, casa parrocchia e scuola e basta. Le nostre famiglie non ci facevano andare in vacanza per esempio io non andavo neanche alle gite scolastiche perché i miei non volevano spendere soldi ecc ecc e insomma non avevamo niente quini era bello quando tutti gli amici venivano portati anche solo sabato e domenica a dormire in tenda. Ovvio all’epoca eravamo undicenni, non conoscevamo il sesso e la sessualità quindi non c’erano mai venute erezioni, ci venivano e eiaculavamo, non lo avevamo mai fatto quindi anche la pedofilia sembrava tutto normale. Cioè anche il fatto che un prete ti toccasse sembrava quasi, essendo ignoranti in materia, che ti aiutasse a crescere, ti facesse da papà, sembrava quasi un lato paterno, ok? Almeno all’epoca, a undici anni, ovvio adesso ha un significato tutto diverso, poco paterno e molto ragionato perché tutte le volte che andavamo in campeggio eravamo in 5, in 5 in effetti perché il quinto era lui, era Don Nello, in macchina si stava in 5 il prete e i 4 ragazzi. Lui portava puntualmente, anche se si aveva le tende grosse dove dormire insieme, ne portava sempre due, una da 3 e una da 2. Poi ho capito ai giorni 71 nostri che era perché così 3 ragazzini dormivano nella tenda e uno dormiva con lui. Poi effettivamente tutti sapevamo cosa succedeva di là, ma non perché sentivamo chissà urla o cosa, ma perché a turno toccava a tutti poi ovvio che manco ne parlavamo tra di noi era il segreto di pulcinella no? Quindi tra di voi non ne parlavate, mentre ad altre persone? Intorno a noi ovviamente c’erano degli adulti no? E vedevano, intuivano, capisci che noi da bambini, quando vedo te, adulto che non dici nulla quando quello mi tocca il pacco, a me sembra una cosa normale a quel punto, avevo 11 anni capisci? Cioè Don Nello queste cose le faceva anche in presenza di altri adulti che vedevano? Assolutamente, lui per esempio chiamava Ceccu, Ceccu era il cane, e lui ripeteva questa parola Ceccu, quando ti dava le manate al pisello e al sedere. Ma lo faceva pubblicamente, sembrava tutti così normale, almeno, ai miei occhi e agli occhi degli altri lo sembrava. Si accreditava, capisci cioè io sono un bambino di 11 anni che vedo te che vedi che Don Nello mi tocca il pisello dicendo Ceccu, ovvio non mi masturbava eh pubblicamente, mi dava una manata sul pisello ma tu da adulto devi capire che non va bene farlo a un bambino. Io da bambino non lo capivo. Vedevo te da adulto che stavi zitto, quindi per me era tutto a posto no? D’altra parte mi svegliavo la mattina eiaculato che non mi era mai successo, che mi venivano le erezioni che non mi 72 erano mai successe, voglio dire: perché mai avrei dovuto notare qualcosa di strano in tutto questo? Quando poi inoltre vedo gli adulti che vengono a fare gli educatori ai campi che avevan fatto delle canzoni addirittura nei campeggi che dicevano “viva via Don Trippa che degli schinci se ne impippa” e gli schinci sono le eiaculazioni eh. Ed erano canzoni che cantavamo intorno al fuoco, canzone che aveva scritto Don Nello sta canzone qui. Questa e poi c’erano altre canzoni veramente molto volgari e molto spinte con le parole. Tuttavia, si cantavano con gli adulti no? Quindi porca miseria dimmi te come avrei potuto trovarci qualcosa di strano. Un’altra cosa che racconti è un meccanismo che Don Nello attivava come per far ingelosire i ragazzi che rifiutavano le sue attenzioni, giusto? Ci tagliava in qualche modo, nel senso non ci dava ascolto, non ci rispondeva. Poi lui sapeva che tutti i ragazzi che eran lì era perché non avevano altro di meglio da fare no? E quindi avevano bisogno di qualcosa. Lui te la dava, ma nel momento in cui ti ritraevi lui te la negava. Quella era l’arma, era lo strumento. Gli abusi sono durati per quanto tempo? Nel mio caso dagli 11 ai 15 quasi 16 anni. Quando poi a quel punto hai lasciato la parrocchia vero? 73 Eh ho lasciato tutto, parrocchia scuola. Adesso lo ricostruisco all’epoca no, ebbi questo istinto di protezione che mi portò ad andare a lavorare e impegnarmi a lavorare tutte le ore in cui una persona sta sveglia. Era il modo per riuscire a compensare il distacco dai miei amici e dalla parrocchia e da tutto. Smisi la scuola addirittura. L’istinto di protezione era quello di togliermi, di fuggire da lì anche perché, il compromesso non c’era no? Nel senso il compromesso era stare lì ancora 15-16 anni e essere molestato. Quindi ecco forse non l’ho mai capito in quel momento no di sicuro, ma qualcosa, l’istinto mi ha fatto scappare ok? La scelta fu drastica perché fu complicata, mia madre figurati come ci teneva che io andassi in parrocchia e facessi il chierichetto, che andassi bene a scuola, facevo già il primo anno delle superiori, e lì mi si pose il problema di mia madre, che io ricordo come una depressa da sempre. Come dirgli che non andavo più a scuola? Lei ci teneva, quindi le dissi, mamma non vado più a scuola ma lavoro, cioè non è che sto lì a non far nulla. Quindi ecco mi posi tutta questa serie di problemi che da ragazzino ovviamente non fu facile. La soluzione che trovai quindi fu anzitutto scappare perché avevo capito a 15 anni che quello che faceva il prete era un abuso e sono scappato. Cioè ora non so in che forma compresi ma sentii di fare questo, di fatto qualcosa non andava e per farla funzionare unica soluzione era andare via punto. Per questo mi toccava lasciare gli amici che andavano in parrocchia. Poi non sei riuscito ad incontrarli diversamente? Quel beneficio che la parrocchia offriva della socializzazione che fine fece? 74 No, li persi completamente, la storia poi è stata un disastro perché si avevo cominciato a lavorare ma avevo cominciato anche a drogarmi proprio perché mi mancavano gli aspetti sociali. I bisogni di socializzazione venivano ripiegati nel lavoro, quindi finché lavoravo stavo bene. Poi ero solo e per superare la solitudine sì vedevo gli amici ma quelli uscivano con le ragazzine, che invece io non riuscivo ad andarci, anzi avevo paura e quindi mi sono dato alla droga perché era l’unica cosa che mi faceva dormire, non mi faceva pensare l’eroina, ti inibisce totalmente la sessualità, no? Diciamo poi 15-20 anni sei nel pieno hai bisogno di fermarti, o ti eviri o non so ecco, cerca di capire. Poi hai fatto il percorso del CeIS quando, a che età? Quello dopo la morte di mia madre, mio padre mi caccia di casa, il famoso prete Don Carlo. Mi recupera perché io dormivo nel magazzino, avevo un’azienda e dormivo nel magazzino, senza bagno, senza doccia ogni tanto chiedevo a qualche amico di far la doccia a casa e don Carlo che non avevo più visto da quando lasciai la parrocchia quindi 16, dopo il suicidio di mia madre mi viene a cercare, mi trova in questo magazzino e mi dice, ma perché non vieni su a Tosse dove sono parroco, la canonica è enorme, ha un sacco di stanze te ne do una e hai la doccia il caldo la cucina, così io andai. In realtà poi me lo disse, questo suo gesto era mosso da un suo forte senso di colpa perché mi raccontò che nel 1981 quando il vescovo mandò Don Nello da Valleggia a Spotorno disse a lui e all’altro parroco don Gianni, tenetelo d’occhio è un pedofilo e in effetti mi ricordo che don Nello all’inizio aveva proprio una 75 stanzetta, malgrado la parrocchia di Spotorno avesse tanti appartamenti, questo prete dormiva in casa di don Carlo in una cameretta. Cioè era costretto, poi ovviamente a noi non ce lo dissero, ma di fatto don Nello era costretto. Poi In seguito don Carlo me lo disse, ma in effetti era strano che in un paesino di cinque mila abitanti ci fossero un parroco, un vice parroco e un terzo prete. Don Carlo quindi per te è stata una figura di rifermento per quanto riguarda la tematica della sessualità. Sì, io quando scoprii la mia sessualità andai da lui, considera che io lo chiamavo popi, lo scrivo nel libro. Tu pensa un po’ alla definizione popi cosa vuol dire, cioè non riconoscevo mio padre perché non era mai stato un padre e riconoscevo lui come il padre. Uno perché non m’ha mai toccato, malgrado fosse gay e due perché mi ha aiutato davvero ad accogliermi e poi in qualche modo a indirizzarmi e fare la comunità per disintossicarmi, quindi è stato davvero come un padre. Riguardo le tue prime esperienze affettive e sessuali c’erano delle cose che ti mettevano più in difficoltà? Magari facevi più fatica? Assolutamente, la mia esperienza a 30 anni mi ha fatto capire poi a 40 perché i preti diventano pedofili. E non ho vergogna a dire, cioè io non ci sono andato vicino ma l’ho vissuta un po’ questa esperienza non da pedofile naturalmente, tuttavia quando io ho iniziato a sperimentare la mia sessualità, sempre maggiorenni, ma ero attratto da persone più giovani di me, e ora mi spiego 76 perché. Perchè in realtà andavo a recuperare, cioè io a 30 anni non avevo l’esperienza sessuale che avevi tu a 30 anni, quindi io avevo vergogna. Una volta liberato nella mia sessualità, si presenta l’ostacolo per cui tu hai l’esperienza e io no quindi, se andiamo insieme io ho paura nei tuoi confronti, vergogna; della serie Leonardo ha fatto sesso con chissà quanta gente, io no. Quindi capisci che sono in un palese stato di inferiorità. Io ho ricostruito un po’ la tesi, che poi tanti psicologi mi hanno confermato, e la mia ricostruzione non è su basi scientifiche tuttavia era corretta, perché l’ho vissuta anche io in qualche modo, in una forma non pedofila. Dovevo quindi recuperare questa cosa e ho subito messo in paragone la vita dei preti. I preti andavano in seminario all’epoca all’età di 11 anni, proprio nell’età dello sviluppo. Il seminario era un ambiente omosessuale, dove le esperienze si facevano solo tra uomini e tuttavia erano penalizzate perché fondamentalmente il sesso non si doveva fare al di là dell’ipocrisia eccetera. Allora io lì ho capito che questi ragazzini spesso 11 anni che venivano intimiditi sugli aspetti sessuali naturali che avevano, poi molti di nascosto sono riusciti a liberarsi a fare esperienze e per quello che nasce una omosessualità malata come quella dei preti. Perché io sono omosessuale ma assolutamente non malato, cioè non mi riconosco come l’omosessualità dei preti che secondo me è malata no, è costretta, mentre la mia è una libera scelta, c’è stata una consapevolezza, la loro è perché vivi solo con uomini, hai voglia di fare sesso e in qualche modo i tuoi istinti li sfoghi punto, quindi è costretta perché non hai alternativa. Il mio fatto che non riuscissi ad avere rapporti con i miei coetanei legata a questa inadeguatezza che io sentivo lo ho un po’ trasferito nel mio ragionamento sulla vita di questi ragazzini che appunto a 11 anni andavano lì, avevano poi di fatto un trauma, 77 perché capisci che tu quando eiaculi come quando accade a tutti i ragazzini spontaneamente mentre dormi, la mattina il prete ti tocca i genitali, ti sente bagnato e ti manda a pregare, tu che rapporto costruisci con la tua sessualità? È una tragedia no? Anche perché parliamo di bambini che la stanno sviluppando la loro sessualità quindi per forza è deviata, assolutamente deviata. Come succede per le suore, colpevolizzate per la vergogna del ciclo mestruale. Ovviamente parliamo di pensieri malati, chiamiamoli così, tuttavia la sensazione che vive questa persona è terribile. Invece le cose che ti riuscivano con maggior facilità nelle prime esperienze? Non ti sono rispondere, non è che non voglio, proprio non saprei che rispondere, non ne ho idea ancora adesso io stesso. Ho sperimentato ecco, se devo dire, ho fatto a 30 anni quello che fa il ragazzino a 12. Altro non ti saprei dire, proprio. Oltre al percorso di terapia del CeIS hai fatto altri percorsi? No, non ho avuto la possibilità economica, come un po’ tutte le vittime quasi. Il fatto di essere vittima ti porta anche ad avere pochi rapporti sociali, interazioni, poi non accedi a questi servizi. Ho fatto poi il reinserimento, dove sono tornato da don Carlo. Lo psicologo del CeIS quando uscii mi disse, Francesco, tu vai da dove ma se vai da don Carlo vai avanti, se vai da tuo padre, tempo 3 mesi e torni a fare il tossico. Mio padre non poteva neanche venire in comunità. Era entrato due volte, avevano visto il personaggio 78 avevano disposto che non poteva più venire a trovare il figlio. Una domanda che ti vorrei fare riguarda un tema che la letteratura talvolta lega all’abuso sessuale ed è il così detto abuso sacramentale. Penso in particolare, riguardo la tua storia, al giorno del funerale di tua madre. C’erano i preti delle parrocchia tra cui don Nello, il quale tra l’altro poi ti si avvicina e ti saluta chiamandoti Ceccu. Eh sì, molto scenografico e di impatto. Fu quasi una scena teatrale. C’era don Carlo, don Gianni che era il parroco e don Nello che era l’ultimo come ruolo nella parrocchia, era tipo l’aiutante. Insomma, la situazione era stranissima, io non avevo ancora realizzato bene gli abusi quindi c’era una situazione di rifiuto di don Nello che capivo mi aveva fatto qualcosa che non andava, che poi capissi perfettamente cosa, questo no. Di fatto fui colpito perché celebrò proprio lui la messa anzi che gli altri due, io mi aspettavo uno degli altri due. Io non so dirti in quel momento non lo vidi come un personaggio scomodo, oggi sì, e quindi questo scese persino dall’altare a darmi la mano. Io non so ancora adesso sta storia come l’ho vissuta perché per me è surreale. Quello che è successo non riesco, forse ha fatto così perché lui si sentiva in colpa, io avevo un età in cui ancora non capivo bene per cui ci sono queste differenze e non so, non voglio dire o esprimere giudizi. Ricordo ancora questa cosa come surreale e ancora oggi non la metto insieme. La sento solo molto offensiva, la sento brutta, cioè brutta ma senza rabbia, sento ancora la bruttezza anche oggi che ho 52 anni. 79 Dici che non ne avevi ancora preso coscienza in quel momento perché ancora non avevi parlato dell’abuso. La prima volta che ne hai parlato è stato con qualcuno? Io non ne ho parlato con nessuno in realtà. Don Carlo poi sapeva, anche perché quel prete glielo avevano mandato là così, quindi lui sapeva. Si era creato un sacco di sensi di colpa, poi ne ho parlato con lui, prima che morisse nel 2013 mi pare, nell’occasione di quando poi io decisi di andare a denunciare nel 2008. Lui cercò di farmi ragionare, cosa vai a denunciare? E quali prove hai? Lui aveva paura in mia tutela, in realtà lui mi raccontò in quelle occasioni, che nel 1980-1981 lo avevano mandato a Spotorno e il vescovo aveva convocato lui e don Gianni che era l’altro parroco dicendogli tenetelo d’occhio perché è un pedofilo. Poi quindi in quell’occasione me ne parlò ma capisci, era il 2008. Quindi se tu pensi ad una persona che ti ha dato accoglienza per la prima volta ascoltando i tuoi racconti, a chi penseresti? Non ne ho idea, guarda per quanto io voglia bene a don Carlo ti dirò che lucidamente oggi penso che don Carlo abbia fatto questo perché si sentiva in colpa. Perché sapeva e basta. Durante il percorso di terapia del CeIS era emerso? No, figurati. No in questo vedi la gravità. Neanche lì era emerso. 80 Poi passa il tempo e fondi Rete l’Abuso, in che anno? E cosa rappresenta per te ad oggi? Eh nel 2010 quando metto insieme tutti i pezzi. Cosa rappresenta, per me è terapeutica. Faccio del bene agli altri, poi sento tante vittime simili a me con la loro esperienza personale, che poi ormai ne ho più di 2 mila, esperienze personali che cambiano i nomi ma più o meno son le stesse, vedo rinascere delle persone che arrivano qui, anche senza fare le vie legali nel senso noi facciamo le vie legali ma è un surplus, l’associazione non nasce per fare avvocatura, nasce per assistere le vittime. Gli stessi psicologi mi chiamano per dirmi sono rinate, io metto semplicemente questa mia esperienza fin dove l’ho capita a disposizione loro, loro si confrontano, si riconoscono puntualmente e da lì iniziano a fare un percorso sicuramente in salita però positivo. Crescono, si ricostruiscono la vita, per me questo son più che i soldi. Partecipiamo ad uno stesso dolore e questo è faticoso anche per me, tuttavia l’aiutarsi ha beneficio. Le vittime riconoscendosi con me, fanno più progressi che con lo psicologo, tant’è che mi chiamano e mi dicono, guardi da quando frequenta la Rete la vittima è più predisposta. La vittima in effetti sa che Zanardi è una vittima e quindi, per carità lo psicologo può essere bravissimo, ma è uno che ha studiato una cosa e non l’ha vissuta e di questo ne ha coscienza tutte le vittime. La vittima prende bene magari lo scemo che è vittima come lui. Poi se questo ti porta nelle sue riflessioni a dire, capista, l’ho vissuto anche io diventa un po’ meno scemo. E comunque la cosa è efficace perché ne escono, gli psicologi me lo hanno addirittura confermato. Ma al di là di questo io stesso lo vedo, persone che arrivano e sono degli stracci e ne escono bene. 81 Progetto educativo di prevenzione agli abusi sessuali in ambienti ecclesiali: “sfatiamo il silenzio” Il presente progetto di intervento educativo è pensato per minori di età compresa tra i 9 e i 12 anni, età in cui secondo le ricerche di Finkelhor si verificano il maggior numero di abusi sessuali nella popolazione generale, dato confermato anche nella popolazione coinvolta negli ambienti ecclesiali. Il nome scelto “sfatiamo il silenzio” gioca sulle parole sfatiamo il tabù (sul sesso) e sul ruolo del silenzio che copre atti criminali (il silenzio sofferente e senza colpa della vittima ed il silenzio responsabile del carnefice e di chi non ha vigilato). La struttura dell’intervento porta concretamente a confronto i minori con gli adulti di riferimento, educatori e genitori. L’intervento infatti prevede il coinvolgimento delle famiglie o caregiver di riferimento del minore e si può prestare a parrocchie, istituti o movimenti. L’intero progetto si svolge in più tappe e in più ambienti, quello parrocchiale o simile e quello familiare. Prima tappa Nella prima tappa partecipano l’equipe educativa con solo gli adulti di riferimento dei minori, nella seconda l’equipe educativa con solo i minori, nella terza non sarà presente l’equipe perché saranno genitori e figli a dover produrre un poster artistico sui temi della sessualità affrontati tra l’equipe e i minori e nell’ultima tappa parteciperanno l’equipe educativa insieme ai genitori e minori che hanno partecipato al progetto. Nello specifico nella prima tappa gli adulti verranno formati tramite la conoscenza dei fattori di rischio di 82 abusi e dei processi criminali ad essi collegati, oltre che ai danni a breve e lungo tempo che causano gli abusi. Oltre ai fattori generici legati alle istituzioni e società in genere (grooming istituzionale, processi di minimizzazione e negazione, laisser-faire sociale, il ruolo del silenzio) verrà data specifica formazione sui fattori di tipo ecclesiale con concetti quali il clericalismo: fattori di rischio specifici degli ambienti ecclesiali (clericalismo, influenza sacramentale, identità vocazionale, missione caritativa). L’obiettivo sarà quello di aumentare l’attenzione e il livello di percezione del fenomeno. Altro obiettivo sarà quello di responsabilizzare, trasmettendo l’importanza del loro essere “sentinelle” e sviluppare capacità di porsi in modo ricettivo nei confronti del bambino (preparazione all’ascolto e sensibilizzazione, osservazione di eventuali cambiamenti comportamentali). Verranno fornite schede di sintesi e riferimenti per eventuali approfondimenti. I genitori saranno alla fine istruiti e invitati a mettere in atto questa loro capacità durante lo svolgersi degli appuntamenti della seconda tappa, in cui dovranno ascoltare i feedback dei loro figli e nella terza tappa, in cui dovranno insieme a loro fare sintesi di tutti gli appuntamenti che hanno coinvolto i minori realizzando un poster. Seconda tappa Nella seconda tappa, strutturata su 3 appuntamenti, saranno presenti gli educatori con i minori. In ciascun appuntamento, dopo un primo momento di accoglienza in cerchio, si eseguiranno le attività educative. I minori in gruppo misto riceveranno informazioni sull’anatomia e fisiologia sessuale e sui 83 principali cambiamenti della loro fascia d’età (eiaculazione e mestruazione), verrà trattato il tema della prima esperienza sessuale, delle emozioni (curiosità, vergogna, paura, innamoramento, gelosia), il tema del piacere e dell’orgasmo. Altro tema riguarderà la relazione (differenza tra amicizia, amore). Nell’ultimo degli appuntamenti si affronterà il tema del SSC, del piacere e sgradevolezza dell’atto sessuale, dell’importanza di mantenere un legame con una figura di riferimento di cui poter parlare di sessualità individuandone effettivamente una concreta. La crescita e sviluppo della sessualità verrà presentato come un percorso d’interesse che non avrà mai fine. Per realizzare ciò si seguiranno le indicazioni del documento OMS riguardo ai contenuti e modalità consultabile in : www.fissonline.it/pdf/STANDARDOMS.PDF. In ciascun appuntamento, terminata la fase di interventi educativi, i minori con gli educatori passeranno alla fase di rielaborazione dove penseranno in gruppo a delle frasi slogan per sintetizzare quanto appreso. Ultima fase di ciascun appuntamento, sarà una fase di rilassamento, di respirazione e suoni rilassanti per ridurre lo stress eventualmente indotto dall’intervento educativo. Concluso l’appuntamento i minori saranno invitati a raccontare ai genitori quanto appreso quel giorno e mantenere scritto un diario con delle frasi slogan che mantengano un legame fra i 3 appuntamenti e che serviranno da riferimento per produrre alla fine della seconda tappa il poster della terza, da realizzare insieme ai genitori. Terza tappa La terza tappa si svolgerà tra genitori e figli in assenza dell’equipe. Tramite disegno, collage o qualsiasi forma artistica, dovranno realizzare un cartellone 84 di sintesi finale dell’intero percorso. I genitori dovranno aiutare i minori nell’espressione artistica di ciò che quest’ultimi vogliono esprimere senza influenzarne i concetti. Quarta tappa – conclusione Nella quarta ed ultima tappa saranno presenti equipe educativa, genitori e minori. Tutti in cerchio faranno vedere al gruppo i loro cartelloni descrivendoli come e quanto desiderano i minori che, nell’esposizione, possono essere aiutati dai genitori. Verranno lasciati contatti social dove i genitori o i minori possono entrare in contatto con l’equipe conosciuta durante il progetto. 85 Il mio percorso nel Master Questi due anni di formazione sono stati significativi per la mia crescita professionale e personale. La mia decisione di iscrivermi era dettata dal desiderio di approfondire questioni che, nella mia pratica di educatore nelle comunità di tutela per minori, si presentano all’attenzione mia e del resto dell’equipe educativa. Inizialmente il mio interesse era relativo agli abusi sessuali suoi minori, situazioni che talvolta mi capitano fra l’utenza presente nella struttura presso cui lavoro ma, nell’approfondire altre tematiche anche e sopratutto di area sanitaria, ho tratto molto vantaggio imparando nozioni e tecniche che, adattate al mio contesto vedo dare il loro frutto. Altro aspetto che colse la mia attenzione al momento della scelta di partecipare al Master fu l’approccio sex positivity. Alcune lezioni in particolare mi sono servite molto per aprire la mente, infrangere taboo e stereotipi che mi limitavano nella comprensione del mondo della sessualità. Di ciò ho sicuramente trovato giovamento non solo dal punto di vista professionale ma anche della mia vita affettiva e sessuale. Sono per questo soddisfatto della scelta fatta. Nell’occasione di scegliere e sviluppare il tema per l’elaborato finale ho avuto motivo di intessere relazioni interessanti con persone che in modo competente e appassionato si dedica da anni ad un particolare fenomeno che vorrei continuare ad approfondire investendo nella formazione e col tempo poter offrire il mio contributo. Ringrazio e dedico la crescita di questi due anni alla mia famiglia d’origine che, a loro modo, mi hanno trasmesso i valori di riferimento che mi portano oggi ad essere la persona che sono. 86 Bibliografia Sette R. e Tuzza S. (2021). Promuovere ambienti educativi sicuri. Prevenire gli abusi nei contesti ecclesiali. Fondazione Apostolicam Actuositatem Frawley-O’Dea M.G. e Goldner V. (2009). Atti impuri. La piaga dell’abuso sessuale nella Chiesa cattolica. Raffaello Cortina Editore Documenti/Report CIASE commissione (2021). Les violences sexuelles dans l’Eglise catholique. France 1950-2020. Rapport de la Commision indépendant sur les abus sexuels dans l’Eglise, Octobre 2021. Congregazione per l’educazione Cattolica (2005). Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri. Francesco papa (2019). Vost estis lux mundi, motu proprio. Francesco papa (2014). Chirografo del Santo Padre Francesco per l’istituzione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. 87 Giovanni XXIII papa (1962). Crimen sollicitationis. John Jay College of Criminal Justice the city university of New York (2004). The nature and scope of sexual abuse of minors by Catholic priest and deacons in the United States 1950-2002. A research study conducted by the John Jay College of Criminal Justice the city university of New York. Reisinger Doris (2022). L’abuso riproduttivo nel contesto dell’abuso sessuale clericale nella Chiesa Cattolica. Tr. It a cura di Ludovica E. In Adista on line, n° febbraio 2022.
Sitografia Ghezzi D. (2022). L’abuso sessuale spiegato dal dott. Dante Ghezzi – VIDEO Rete L’ABUSO – YouTube. Disponibile on line: https://www.youtube.com/watch?v=6eMfSW2davE
Intervista Marie Collins alle dimissioni della commissione per la tutela dei minori, disponibile in: https://www.repubblica.it/vaticano/2017/03/02/news/l_intervista_la_donna_ch iamata_dal_papa_a_contrastare_il_fenomeno_spiega_perche_ha_deciso_di_la sciare_l_incarico-159557952/ 8
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