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Il caso Rupnik e la morale cattolica che va a farsi benedire

I vescovi e i dirigenti gesuiti sanno tutto dei vizi di Rupnik già dagli anni Novanta e non fanno niente. Al contrario, l’astro di Rupnik splende sempre di più nella Chiesa, decennio dopo decennio. Ancora una volta si ha l’impressione che tutta la morale cattolica serva solo a disciplinare e terrorizzare il popolo, mentre i sacerdoti, in virtù di un incomprensibile privilegio di ceto, vi si possono facilmente sottrarre.

Redazione Web by Redazione Web
21 Dicembre 2022
in Cronaca
Reading Time: 4 mins read
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Il “caso Rupnik” – le accuse di violenza e abuso sessuale mosse da alcune suore nei confronti del cardinale gesuita, ndr – si è arricchito, da qualche giorno, di nuovi e più sconvolgenti elementi.

Due donne per anni vicine al gesuita sloveno hanno iniziato a parlare. Una prima testimonianza è stata raccolta da Federico Tulli e pubblicata su Left; una seconda è stata affidata da una ex consacrata a Federica Tourn e pubblicata su Domani. È proprio al contenuto di quest’ultima che si ispirano le riflessioni che seguono. L’autenticità del racconto di Anna, questo il nome di fantasia scelto per designarla, non è naturalmente da me verificabile e tuttavia a me la sua storia pare fortemente verosimile.

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Prima considerazione: Rupnik ha usato il suo potere pastorale di guida spirituale per ottenere dei favori sessuali e per subordinare completamente una donna. Il potere del gesuita su Anna e su chissà quante altre donne per qualche ragione altrettanto vulnerabili è stato illimitato, senza confini: l’ha sedotta fino al punto da indurla a farsi monaca per stargli accanto. In seguito, quando lei minacciò di denunciarlo lui rispose dileggiandola: “chi vuoi che ti creda? se parli ti faccio passare per matta”. E in altre occasioni Rupnik parlò apertamente delle sue “tattiche per ammorbidire quelle che gli resistevano”, facendosi così vanto della sua capacità di manipolare e coartare altre persone.

Tutti questi sono stati gesti e parole di Rupnik, ma per me non sono nuovi perché li ho sentiti riportare in una forma pressoché identica molte altre volte dalle vittime di altri “preti carismatici” che ho incontrato in questi anni. Le parole e i gesti sono di Rupnik, ma il suo potere il gesuita lo ha ricavato in larghissima misura dal credito che gli ha dato la Chiesa Cattolica, dall’investitura gigantesca che la sua produzione artistica e teologica ha ricevuto da Roma, dalla possibilità che gli è stata fornita di avere per qualche tempo una comunità femminile completamente isolata dal resto del mondo a sua disposizione. Seconda considerazione: può darsi che all’inizio della sua carriera clericale Rupnik ci abbia anche creduto al celibato, alla castità e a tutto l’armamentario cattolico sul sacerdozio.

È evidente però che, se quel che dice Anna corrisponde a verità, a tutte quelle norme Rupnik non crede più da molto tempo. In lui, come in molti altri preti che fanno cose simili alle sue, il linguaggio religioso e sacrale si è mescolato, nella sfera privata, a quello sessuale: la bocca da baciare è diventato l’altare, la trinità è diventata la metafora del triangolo amoroso, le carezze e i rapporti intimi sono stati continuamente rappresentati ricorrendo a espressioni religiose.

Una ragazza incorsa in una storia analoga a quella di Anna mi raccontò un giorno che il suo “padre spirituale”, dopo averla indotta ad avere un rapporto sessuale, le citava, sorridendo e riferendosi alla loro relazione, la “felice colpa” menzionata in tante omelie a proposito del peccato originale. Rupnik e quell’altro prete hanno assimilato tutte quelle espressioni dottrinali negli anni di formazione e in quelli di sacerdozio, ma le hanno poi usate a modo loro, le hanno personalizzate e indirizzate a costruire un sistema di potere che prevede la dominazione e la subordinazione di altre persone.

Anche questa per me non è una sorpresa, ma una conferma del fatto che le norme sul celibato e la castità sono feroci e inderogabili solo sulla carta. Nel corso della loro carriera molti sacerdoti fanno, al riparo dallo sguardo dei fedeli con i quali mantengono tutt’altro contegno, un uso “creativo” dei contenuti religiosi che hanno appreso, combinandoli in vario modo con le proprie emozioni, desideri e progetti. Aggiungendovi una propria cifra: talvolta cinica, talaltra realmente umana e dolorosa. È un meccanismo universale nel rapporto tra esseri umani e istituzioni a cui la Chiesa Cattolica non si sottrae, dal momento che, al pari di tutte le altre, è un’organizzazione umana e di umani.

Terza considerazione: la sessualità di Rupnik che emerge dall’intervista è compulsiva, violenta e anaffettiva. Il gesuita è insaziabile e va a letto con decine di suore dello stesso convento; la sua è una sessualità aggressiva: Anna racconta di aver perso la verginità in seguito a una masturbazione violenta; Rupnik è ossessionato dai rapporti orali, probabilmente preferiti perché non rischiano di generare una gravidanza indesiderata (con tutto quello che questa comporta per un sacerdote). Anche in questo caso nulla di sorprendente. Lavorando alla Casta dei casti, ascoltando tanti racconti di vita affettiva e sessuale, ho avuto più volte l’impressione che tanti preti abbiano un’attività sessuale intensissima, molto superiore a quella media della popolazione “laica”.

Quanto poi alla violenza essa mi pare legata a un’immaturità di fondo e all’incapacità, o alla mancata volontà, di costruire, attraverso l’eros, un’autentica relazione affettiva, caratterizzata dalla parità, dal reciproco riconoscimento e dal rispetto dell’altro. Il “sesso da preti” molto spesso non ha niente a che fare con l’amore. È sesso e basta senza l’ombra di un sentimento. Quarta e ultima considerazione: ad un certo punto Anna ha chiesto aiuto e ha denunciato la situazione che si era creata con Rupnik. Nessuno l’ha ascoltata. Anzi, il consigliere spirituale di Rupnik, non appena lei fa cenno alla relazione con il gesuita sloveno, si rifiuta di confessarla e la invita a lasciare la vita consacrata senza menzionare il vero motivo delle dimissioni.

La superiora, una volta conosciuta la sua situazione, la punisce destinandola alla cucina del convento e dice a lei che è posseduta dal demonio e alla famiglia che è schizofrenica. I vescovi e i dirigenti gesuiti sanno tutto dei vizi di Rupnik già dagli anni Novanta e non fanno niente. Al contrario, l’astro di Rupnik splende sempre di più nella Chiesa, decennio dopo decennio. Ancora una volta si ha l’impressione che tutta la morale cattolica serva solo a disciplinare e terrorizzare il popolo, mentre i sacerdoti, in virtù di un incomprensibile privilegio di ceto, vi si possono facilmente sottrarre. Almeno fino a oggi.

https://www.micromega.net/il-caso-rupnik-e-la-morale-cattolica-che-va-a-farsi-benedire/

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