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Rete L'ABUSO - Associazione sopravvissuti agli abusi sessuali del clero - Osservatorio permanente
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“MI HA CHIESTO DI AVERE RAPPORTI A TRE CON UN’ALTRA SORELLA PERCHÉ LA SESSUALITÀ DOVEVA ESSERE A IMMAGINE DELLA TRINITÀ”

BOMBASTICA TESTIMONIANZA DI UNA SUORA 58ENNE CHE ACCUSA MARKO RUPNIK, IL PADRE GESUITA AL CENTRO DELLO SCANDALO DI ABUSI SESSUALI: “LA PRIMA VOLTA MI HA BACIATO SULLA BOCCA DICENDOMI CHE COSÌ BACIAVA L'ALTARE DOVE CELEBRAVA L'EUCARISTIA. POI È DIVENTATO PIÙ AGGRESSIVO: MI RICORDO UNA MASTURBAZIONE MOLTO VIOLENTA DURANTE LA QUALE HO PERSO LA VERGINITÀ E…”

federica tourn by federica tourn
21 Dicembre 2022
in Città del Vaticano
Reading Time: 12 mins read
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Federica Tourn per “Domani” – «La prima volta mi ha baciato sulla bocca dicendomi che così baciava l’altare dove celebrava l’eucaristia, perché con me poteva vivere il sesso come espressione dell’amore di Dio».

Inizia così della violenza sessuale, psicologica e spirituale che Anna (nome di fantasia), oggi 58 anni, ex religiosa italiana della Comunità Loyola, ha subito per nove anni da parte di Marko Rupnik. Il padre gesuita, teologo e artista noto in tutto il mondo, è oggi al centro di uno scandalo per l’accusa di abusi nei confronti di alcune suore, come Domani ha raccontato nei giorni scorsi.

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Anna, arrivata a sfiorare il suicidio per le sofferenze causate dal delirio di onnipotenza e dall’ossessione sessuale del gesuita, ha denunciato più volte il suo abusatore nel corso degli anni. Ma la Chiesa ha sempre coperto tutto.

Quando ha conosciuto Marko Rupnik?

Nel 1985, avevo 21 anni e frequentavo la facoltà di Medicina. Pensavo di partire missionaria dopo la laurea e sentivo il bisogno di una crescita nella fede. Ero anche appassionata di arte e una suora che conoscevo mi presentò questo pittore gesuita che aveva un piccolo atelier in piazza del Gesù a Roma. Rupnik aveva dieci anni più di me ed era al primo anno di sacerdozio; con lui mi sentivo a mio agio ed è diventato subito la mia guida spirituale.

Che tipo di persona era?

Già negli anni ’80 per i giovani gesuiti sloveni era una star. Aveva un forte carisma personale nello spiegare il Vangelo e una spiccata sensibilità nell’individuare i punti deboli delle persone. Così ha immediatamente capito le mie fragilità, le insicurezze e le paure che avevo.

Come è iniziato il vostro rapporto?

Ho cominciato a frequentare il suo atelier perché ero affascinata dalla pittura e in particolare dai colori di Chagall. Mi sentivo importante per lui: mi piacevano i suoi quadri e molto spesso parlavamo mentre dipingeva. Poi cominciò a sottolineare ogni contatto tra noi, dicendomi che ogni gesto aveva un significato preciso: anche una semplice stretta di mano o una carezza sul braccio diventavano un’occasione per sottolineare la mia femminilità.

Non potevo certo immaginare che quella fosse già una strategia per arrivare ad avere ben altro tipo di rapporti fisici con me, come non potevo capire che quell’abbraccio dopo ogni confessione era un invito ad andare oltre. Allo stesso modo non potevo immaginare che allora, quando mi spiegava che i corpi disegnati sulle tavole del Kamasutra erano una forma d’arte, era già un assiduo frequentatore di cinema porno.

Non trovava niente di anomalo nel suo modo di fare?

A volte mi sembrava strano, ma me lo spiegavo con il suo essere artista. Voleva che gli facessi da modella e una volta mi ha chiesto di posare per un suo quadro perché doveva disegnare la clavicola di Gesù e non cercava delle ragazze “del mondo”, che esprimevano a suo dire solo sessualità, ma una persona in ricerca come me.

Non è stato difficile accettare e sbottonare qualche bottone della camicetta. Per me, che ero ingenua e inesperta, significava soltanto aiutare un amico. In quell’occasione mi ha baciata lievemente sulla bocca dicendomi che così baciava l’altare dove celebrava l’eucarestia.

Ero frastornata: da una parte sarei voluta scappare, dall’altra padre Marko mi incoraggiava dicendomi che potevo vivere quella realtà perché ero speciale ed era un dono che il Signore faceva solo a noi; che solo con me poteva vivere, anche nel fisico, l’appartenenza a Dio senza possesso, nella libertà, a immagine dell’amore trinitario.

E lei gli ha creduto?

Bisogna capire come funziona il discernimento ignaziano (da sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ordine a cui appartiene papa Francesco, ndr): sei chiamato a una totale disponibilità e apertura ed è il tuo padre spirituale a guidarti nella comprensione di cosa è bene e cosa è male.

Se chi ti guida dice che Dio lo vuole e tu non obbedisci, ti metti contro Dio. È proprio lì che si può insinuare la manipolazione, come è successo con padre Rupnik. Io avevo paura di sbagliare, paura di perdere la sua approvazione, mi sentivo fortemente dipendente dal suo giudizio.

Se non facevo come voleva lui, subito diceva che il mio cammino spirituale si arenava e mi presentava come “sbagliata” agli altri ragazzi e ragazze del gruppo che nel frattempo si andava formando intorno a lui. Soltanto padre Marko decideva chi andava bene e valeva la pena di supportare; chi invece era nell’errore veniva umiliato e messo in disparte.

Quando ha deciso di affidarsi totalmente alla guida spirituale di Rupnik?

Nell’estate del 1986, prima che lui partisse per un viaggio, ci siamo visti nel suo atelier. Abbiamo celebrato insieme l’eucarestia e poi lui si aspettava che mi spogliassi e mi lasciassi toccare come sempre. Quella volta però mi sono rifiutata e lui mi ha aggredita con parole molto dure e cattive, dicendo che non valevo niente, che non avrei mai fatto niente di buono; ha aggiunto che per lui ormai contavano solo altre due donne, di cui mi ha fatto il nome, e che voleva chiudere ogni rapporto con me.

Io ero disperata perché ormai dipendevo totalmente dalla sua approvazione. Non era amore, solo paura di sbagliare. Da quella volta ho deciso di mettere da parte i miei dubbi e di affidarmi totalmente a lui.

Ho creduto che quello che vivevamo insieme avrebbe fatto di me una persona migliore davanti a Dio; invece è stato solo l’inizio dello stravolgimento della mia identità e della perdita di me stessa.

Si è trattato quindi di un plagio?

È stato un vero e proprio abuso di coscienza. La sua ossessione sessuale non era estemporanea ma profondamente connessa alla sua concezione dell’arte e al suo pensiero teologico. Padre Marko all’inizio si è lentamente e dolcemente infiltrato nel mio mondo psicologico e spirituale facendo leva sulle mie incertezze e fragilità e usando al contempo il mio rapporto con Dio per spingermi a fare esperienze sessuali con lui.

Così, il sentirmi amata come la Sapienza che gioca davanti a Dio, come è scritto nel libro dei Proverbi, si è trasformato nella richiesta di giochi erotici sempre più spinti nel suo atelier al Collegio del Gesù a Roma, mentre dipingeva o dopo la celebrazione dell’eucaristia o dopo la confessione.

Come è entrata nella Comunità Loyola?

Sono stata fra le prime sorelle della Comunità Loyola di Mengeš, una località a quindici chilometri da Lubiana, e ne ho fatto parte dall’1 ottobre del 1987 al 31 marzo 1994. In un periodo così delicato e fragile come è quello in cui si sceglie quale strada prendere nella vita, padre Marko ha preteso da me una disponibilità e un’obbedienza assolute, caratteristiche che erano anche un tratto distintivo del carisma della Comunità, di cui lui era il garante davanti alla Chiesa su incarico dell’allora arcivescovo di Lubiana Alojzij Šuštar.

Padre Marko mi ha chiesto quindi di lasciare medicina e di partire per la Slovenia con la superiora, Ivanka Hosta, e altre sei sorelle. Isolata dalla mia famiglia e dai miei amici, è stato facile per Marko manipolarmi a suo piacimento.

Che cosa è successo in Comunità?

Il primo gennaio 1988 ho professato nella cappella di Mengeš i primi voti religiosi davanti a monsignor Šuštar, voti che ho poi ripetuto nel 1991 nelle mani dello stesso arcivescovo. Gli abusi di padre Marko sono continuati e avvenivano in auto quando lo accompagnavo durante i suoi viaggi.

È diventato più aggressivo: mi ricordo una masturbazione molto violenta che non sono riuscita a fermare e durante la quale ho perso la verginità, episodio che ha dato inizio a pressanti richieste di rapporti orali. La dinamica era sempre la stessa: se avevo dubbi o mi rifiutavo, Rupnik mi screditava davanti alla Comunità dicendo che non stavo crescendo spiritualmente.

Non aveva freni, usava ogni mezzo per raggiungere il suo obiettivo, anche confidenze sentite in confessione. Lì è cominciato il mio crollo psichico.

Le violenze sono avvenute soltanto in Slovenia?

No, anche nella sua stanza del Centro Aletti a Roma. Qui padre Marko mi ha chiesto di avere rapporti a tre con un’altra sorella della Comunità, perché la sessualità doveva essere secondo lui libera dal possesso, ad immagine della Trinità dove, diceva, «il terzo raccoglieva il rapporto tra i due».

In quei contesti mi chiedeva di vivere la mia femminilità in modo aggressivo e dominante e dato che non ci riuscivo mi umiliava profondamente con frasi che non posso ripetere. L’ultimo gradino di questa discesa all’inferno è stato il passare dalle giustificazioni teologiche del sesso ad un rapporto esclusivamente pornografico.

Nel 1992, mentre frequentavo il quarto anno di filosofia alla Gregoriana, mi ha anche portato due volte a vedere dei film porno a Roma, in via Tuscolana e nei pressi della stazione Termini. Ormai stavo malissimo.

Rupnik abusava soltanto di lei o anche di altre donne?

In quel periodo padre Marko aveva cominciato apertamente a plagiare altre sorelle della Comunità, con le solite strategie psico-spirituali che già aveva usato con me, con l’obiettivo di fare sesso con quante più donne possibile.

All’inizio degli anni ’90 eravamo 41 sorelle e padre Rupnik, da quel che so, è riuscito ad abusare di quasi venti. A volte a caro prezzo: una di loro, nel tentativo di opporsi, è caduta e si è rotta un braccio. Lui era sfacciato e parlava apertamente delle sue tattiche per ammorbidire quelle che gli resistevano. Ho provato a fermarlo ma era inarrestabile nel suo delirio. L’ho anche minacciato di denuncia ma mi ha risposto: «Chi vuoi che ti creda? È la tua parola contro la mia: se parli, ti faccio passare per matta».

Lei che cosa ha fatto?

A quel punto volevo soltanto che tutto finisse. Sono scappata dalla Comunità per lasciarmi morire nei boschi: speravo che quel gesto estremo avrebbe ricondotto padre Marko alla ragione.

Per fortuna, invece, è sopravvissuta. Lui come ha reagito?

L’ho affrontato accusandolo di falsità ma la sua unica reazione è stata il silenzio. Volevo anche parlare con la mia superiora Ivanka Hosta di quel che era successo ma in quel momento non ne ho avuto la forza e ho cercato invece di concentrarmi sulla tesi in filosofia, che ho discusso a giugno del 1993.

Nel frattempo, però, un’altra sorella si è rivolta a Hosta per raccontarle del devastante rapporto che padre Rupnik intratteneva sia con lei che con me.

Che cosa è successo a quel punto?

Padre Marko è stato provvisoriamente allontanato dalla Comunità per il periodo estivo. Ho chiesto allora di poter incontrare il consigliere spirituale di padre Rupnik, padre Tomáš Špidlík (poi creato cardinale diacono nel 2003 da papa Wojtyla, ndr), con la speranza di poter finalmente riuscire a dire a qualcuno quello che era successo in tutti quegli anni.

L’ho raggiunto al santuario vicino a Livorno dove risiedeva durante l’estate e gli ho chiesto di confessarmi. Ho cominciato quindi a parlargli degli abusi e lui mi ha bloccata dicendo che quelle erano cose mie e che non voleva ascoltarmi.

Ero sconvolta, per un sacerdote rifiutare una confessione è un peccato grave. Non solo: mi ha consigliato di scrivere una lettera di dimissioni, lettera che ha poi scritto lui stesso e che conservo ancora, nella quale specificava che non c’erano motivi precisi per la mia richiesta di dispensa dai voti, soltanto una generica tensione che non ero più in grado di reggere.

A quel punto ho capito che era d’accordo con padre Rupnik e che non voleva essere coinvolto nello scandalo insieme al centro Aletti, di cui era ideatore e primo referente.

È stata aiutata da qualcuno in quel frangente?

Nessuno mi ha aiutata: né la superiora Ivanka Hosta, a cui alla fine mi ero rivolta, né le altre sorelle della Comunità. Nemmeno i gesuiti superiori di Rupnik e l’arcivescovo Šuštar. Padre Marko era protetto da tutti e io non ero altro che il capro espiatorio di una situazione imbarazzante, l’anello debole della catena che si poteva sacrificare per un bene superiore.

Nel settembre del 1993 sono quindi rientrata a Mengeš con Ivanka come consigliera provvisoria, in attesa delle elezioni interne, previste per la Pasqua dell’anno successivo. Il clima di ostilità nei miei confronti era palpabile ma ricordo che una sorella, di cui ancora non sapevo nulla, è venuta in lacrime a confidarmi che padre Marko aveva abusato anche di lei.

Nessuna però osava parlare apertamente e vivevamo in un clima di omertà. Prima di Pasqua fu organizzato un incontro fra padre Marko, Ivanka Hosta e l’arcivescovo per affrontare finalmente la questione: avrei dovuto partecipare anche io ma all’ultimo momento la superiora me lo impedì. Io scrissi una lettera di denuncia che lei avrebbe dovuto consegnare all’arcivescovo ma non so neppure se monsignor Šuštar l’abbia mai ricevuta. Hosta comunque non disse nulla contro Rupnik, l’altra sorella abusata rifiutò di scrivere una testimonianza e tutto finì in un nulla di fatto. Quel che è certo è che proprio in quel periodo le costituzioni della Comunità erano in Vaticano pronte per l’approvazione.

Rupnik non è stato sanzionato in nessun modo?

È stato allontanato dalla Comunità ed è tornato a Roma e da allora ha continuato tranquillamente la sua carriera.

E lei?

Ivanka mi aveva destinata a lavorare in cucina a Mengeš per il resto della mia vita, senza nessuna prospettiva di cambiamento. Ho obbedito, anche se in cuor mio pensavo che sarei morta.

Poco tempo dopo, alla vigilia delle elezioni interne, durante la condivisione comunitaria ho provato ancora a denunciare il malessere profondo che era alla base delle nostre relazioni ma la superiora mi ha estromessa dalle votazioni dicendo che ero pericolosa perché sotto l’influenza del diavolo. Il giorno seguente ho lasciato definitivamente la Comunità.

Dopo che cosa è accaduto?

Anni dopo Ivanka mi ha scritto chiedendo perdono a me e alla mia famiglia, a cui era stato detto che ero schizofrenica. Dopo le dimissioni ho sofferto a lungo di depressione e anche in seguito non sono riuscita ad avere una relazione affettiva e a costruirmi una famiglia.

L’abuso che ho subito ha sconvolto profondamente la mia psiche e lasciato segni indelebili nello spirito e nel corpo, che mi hanno impedito di fare scelte significative.

Arriviamo ad oggi. Da quando il caso è uscito sui giornali, i gesuiti si sono espressi in modo reticente e contraddittorio. In particolare il delegato della Compagnia di Gesù a Roma padre Johan Verschueren ha detto che Rupnik non è accusato di abusi sessuali ma di “comportamenti trasgressivi” durante la confessione. È possibile che i gesuiti non sapessero delle accuse?

No, non è possibile. La Chiesa e l’ordine dei gesuiti erano a conoscenza dei fatti sin dal 1994, quando ho portato personalmente la mia richiesta di dispensa dei voti all’arcivescovo di Lubiana, nella quale denunciavo gli abusi da parte di padre Rupnik.

L’arcivescovo in quell’occasione mi disse soltanto che la Compagnia di Gesù lo aveva sanzionato severamente, cosa poco credibile visto che in quegli anni nasceva e si consolidava l’operato del Centro Aletti. Non solo: anche un’altra sorella, uscita dalla Comunità Loyola nel 1996, non direttamente coinvolta nella relazione con padre Marko ma informata dei fatti, parlò nel 1998 con padre Francisco J. Egaña, all’epoca delegato per le case internazionali della Compagnia di Gesù a Roma, che la ascoltò ma non fece nulla.

Il preposito, cioè il capo della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal, ha confermato che Rupnik è stato scomunicato, in seguito a una denuncia del 2019, per aver assolto in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale. Che effetto le fa questa ammissione?

Mi addolora profondamente, perché conferma la convinzione che ho sempre avuto, e cioè che padre Marko ha continuato ad abusare delle donne che ha incontrato durante tutto questo tempo. Andava fermato trent’anni fa. Sono sconcertata per il fatto che Rupnik ancora non avverta la responsabilità delle conseguenze che le sue azioni hanno avuto sulla mia vita e su quella di tante altre consorelle che potrebbero parlare.

Nonostante questo, il Dicastero per la Dottrina della fede ha chiuso ad ottobre 2022 un’indagine ecclesiastica su Rupnik perché ha ritenuto che i fatti erano da considerarsi prescritti. Lei è stata ascoltata in questa occasione?

Sì, ho testimoniato il 10 dicembre 2021 e ho raccontato tutto quello che ho subìto nei minimi dettagli.

Dopo la sua testimonianza al Dicastero, che cosa è successo?

Dato che per mesi non ho più saputo nulla dell’esito dell’indagine ecclesiastica, lo scorso giugno ho scritto una lettera aperta in cui ho ripetuto la mia denuncia contro padre Rupnik, indirizzata al generale dei gesuiti padre Sosa. In copia c’erano, tra gli altri, il cardinale Luis Ladaria, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis, padre Johan Verschueren, padre Hans Zollner, la direttrice del Centro Aletti Maria Campatelli e altri membri della Compagnia di Gesù e del Centro Aletti. Non ho avuto risposta da nessuno di loro.

Pensa di chiedere un risarcimento in sede civile per i danni morali e materiali?

Sto valutando con il mio avvocato questa possibilità.

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Giornalista professionista. Si occupa di migranti, religioni, diritti umani, mafie, femminismo. Ha scritto reportage da diversi paesi, dalla Siria al Libano, dalla Bosnia all’Ucraina. Ha collaborato fra gli altri con Repubblica, Il Manifesto, Left, Rolling Stone, Vanity Fair, Jesus, Eastwest. Insieme ad altre donne ha pubblicato per l’editrice Claudiana "La Parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi".

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