Dal novembre 2019 la diocesi di Savona – Noli vanta alla cronaca locale di essere la prima in Italia (in realtà è stata Milano) ad aver istituito uno sportello per la tutela dei minori composto da un prete, tre psicologi di cui diocesi e cronisti però, non hanno mai reso noti i nomi.
C’è anche un avvocato, dato ad intendere sin dalla presentazione dello sportello diocesano al teatro don Bosco di Savona, in presenza, fosse il dott. Simone Mariani, del foro di Savona, che però, prende le distanze con una missiva di rettifica. Non ci diffida, chiarisce solo la sua estraneità esplicitamente sottointesa nei fatti, dall’iniziativa; “In particolare, non sono componente, né lo sono mai stato, di alcuna commissione facente capo alla Diocesi e/o a qualsivoglia ente ecclesiastico o laico, che si occupi delle questioni e vicende da Voi indicate e, in generale, di abusi e/o violenze sulle persone”.
La domanda è d’obbligo; chi è allora l’avvocato della fantomatica commissione minori della diocesi di Savona e perché alle molteplici richieste avanzate dall’associazione, da ben tre anni ne nega la composizione pubblica?
Una vasta inchiesta della Rete L’ABUSO sul territorio italiano, avviata dall’Ufficio nel 2019 e riguardante nello specifico gli sportelli diocesani per la “tutela dei minori e delle persone vulnerabili”, voluti dal Motu proprio di papa Francesco “Vos estis lux mundi”, ha ravvisato una serie di gravi irregolarità che spaziano dalla raccolta dei dati sensibili alla loro conservazione e divulgazione, in totale contrasto con le più basilari norme regolamentate dalla legge italiana sulla privacy. Non vi è neppure il consenso informato del malcapitato, già vittima di abusi che spesso in buona fede, sulla base dell’art. 2 §3 dello stesso motu proprio, ritrova i propri dati e la sua stessa deposizione firmata, inviati ad una serie di altri uffici, senza che lui ne abbia copia e senza la possibilità di accedere in futuro a quella deposizione, ancor meno di pretenderne la restituzione.
Non è lo stesso invece per l’avvocato del sacerdote, avvantaggiato e che qualora la presunta vittima, non soddisfatta dall’operato dello sportello decidesse di rivolgersi alla giustizia italiana, non solo troverebbe il lavoro d’indagine della procura gravemente compromesso dalla precedente fuga di informazioni prevista all’art. 2 §3 del motu proprio, che nei fatti e contro qualunque principio investigativo preavvisa i coinvolti, ma rischia di ritrovare le sue stesse dichiarazioni rilasciate azzardatamente e in assenza di un difensore, sottoscritte in precedenza e spesso raccolte da persone che non hanno una specifica competenza, la possibilità che queste siano utilizzate contro di lui nel procedimento italiano.
Tornando al fantomatico sportello savonese, non risultano attivati nessuno dei servizi per le vittime di cui all’art. 5 del motu proprio, tra cui quelli di assistenza medica, terapeutica e psicologica.
Vista la gravità dei fatti emersi in questo caso specifico a Savona e oggi appesantiti controcorrente agli altri sportelli diocesani dal fatto che la stessa diocesi ne neghi la composizione da tre anni, alla luce dell’anomala strutturazione degli stessi che vede ingenuamente e “non informati” a possibile rischio la specifica popolazione, la Rete L’ABUSO chiede l’intervento della prefettura di Savona, legittimata al controllo e la sicurezza del territorio, proprio al fine di evitare che sprovveduti che hanno subito abusi, che per natura si collocano tra le c.d. fasce deboli, ne possano rimanere ulteriormente vittime.
Zanardi
Scopri di più da Rete L'ABUSO
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.