La svolta storica annunciata da Francesco nove mesi fa non si è mai realizzata. Le richieste di accesso agli atti dei processi cadono nel vuoto. Come accade ai legali della vittima del caso don Galli a Milano
di Giorgio Gandola
Parole in libertà. Ci sono due termini che il Vaticano ha fatto propri, irradiandoli come se fossero stati colpiti da una lama di sole nella penombra di una chiesa: inclusione e resilienza. Oggi abbelliscono ogni discorso come le palline di Natale, danno un superficiale senso di profondità a ogni concetto. Non più espressioni, ma simboli. Ecco, per le vittime degli abusi sessuali da parte dei sacerdoti le due parole contano zero, sopraffatte dai loro contrari: esclusione dagli atti, fragilità nel concretizzare gli annunci di papa Francesco. Lui vorrebbe accelerare, la Chiesa rimane graniticamente ferma.
Era dicembre 2019 quando tutti i media italiani e internazionali diedero ampio risalto a una decisione del Pontefice che, secondo le entusiastiche conclusioni dei commentatori, avrebbe cambiato per sempre i rapporti con le vittime di violenza facendo esaltare un terzo termine chiave: trasparenza. Il Santo Padre decise di abolire il “segreto pontificio” per i casi di abusi sessuali sui minori e di rendere disponibili gli atti (anche solo il verdetto) del processo canonico a carico dei preti accusati di pedofilia. Dopo la svolta arrivata a mettere il punto esclamativo sul convegno internazionale in Vaticano dedicato al delicatissimo tema, numerose vittime hanno chiesto l’accesso ai documenti attraverso i loro legali ma non hanno ottenuto nulla, né dossier né risposte.
Un esempio concreto è quello legato al procedimento giudiziario e alla condanna in primo grado (sei anni e quattro mesi) a Milano di don Mauro Galli per l’abuso di Alessandro Battaglia, minore al tempo della vicenda avvenuta nel dicembre 2011 a Rozzano. Un caso molto dibattuto per l’opaca gestione da parte della diocesi ambrosiana e soprattutto dell’allora vicario episcopale Mario Delpini, attuale arcivescovo di Milano, che invece di proporre l’apertura dell’ “Indagine Previa” (l’inchiesta prevista dal diritto canonico) decise semplicemente di trasferire il sacerdote a Legnano, sempre in unità parrocchiali con oratori, quindi a contatto con adolescenti. Un atteggiamento che lo stesso Papa avrebbe in seguito condannato nel motu proprio “Vos estis lux mundi”, allargando l’imputabilità anche ai vescovi e ai chierici cosiddetti omertosi o insabbiatori.
Attraverso l’avvocato Fulvio Gaballo, la famiglia della vittima ha fatto richiesta alla Congregazione per la dottrina della fede della documentazione relativa al processo canonico e di quella relativa a eventuali provvedimenti presi a carico di monsignor Delpini e di monsignor Pierantonio Tremolada (allora responsabile dei giovani sacerdoti). Silenzio assoluto da quasi tre mesi, come se il segreto pontificio fosse ancora in vigore. Silenzio assoluto anche per le altre numerose vittime italiane e straniere come sottolinea Francesco Zanardi, presidente dell’associazione Rete l’Abuso.
“Purtroppo quella dell’accesso trasparente agli atti è un’altra Papa-bufala. Nove mesi dopo l’annuncio tutto è rimasto come prima; come ci confermano diversi nostri assistiti che hanno avanzato domanda di accesso, non solo non hanno ottenuto i documenti promessi, ma neppure gli hanno risposto”. Un piccolissimo passo avanti va comunque segnalato: in un paio di casi nei quali a fare la richiesta è stata l’autorità giudiziaria, la risposta è arrivata, accompagnata da scarni dossier. Precisa Zanardi: “Tranne poche carte di nessuna importanza come la consacrazione del sacerdote e qualche altro appunto, nulla di rilevante”.
Da qualche tempo il Vaticano mira a evitare le denunce mettendo a disposizione risarcimenti in denaro con assoluto vincolo di riservatezza. All’estero la media è di 50.000 euro, in Italia nella prima fase si va da 5.000 a 25.000. E se nell’inchiesta c’è il rischio del coinvolgimento di alti prelati, si superano anche i 100.000 euro. Una brutta china.
Eppure papa Francesco aveva puntato molto sulla rimozione del segreto pontificio per dare un segnale mondiale di trasparenza e al tempo stesso di discontinuità. Doveva essere un gesto di grande liberalità, a conferma della volontà di collaborazione della Chiesa nel combattere una battaglia giusta contro uno dei crimini più odiosi. Allora il Pontefice disse solennemente: “Dobbiamo ascoltare il grido dei piccoli che chiedono giustizia, non con semplici e scontate condanne ma con misure concrete ed efficaci per contrastare un male che affligge la Chiesa e l’umanità”. Un invito che nove mesi dopo si rivela un colpo di vento.
La melina vaticana sui risultati dei processi canonici è determinata da un prevedibile risvolto legale: in caso di condanna, gli abusati avrebbero un’arma in più per portare nei tribunali laici i sacerdoti colpevoli.
In ogni caso il silenzio suscita diffidenza perché, nel caso di don Galli, un’eventuale assoluzione canonica gli consentirebbe in teoria di essere assegnato a una parrocchia nonostante la condanna di un tribunale italiano. La vicenda specifica non è finita, si attende il processo d’Appello. Rete l’Abuso ha chiesto ufficialmente un sollecito perché il dibattimento venga messo in calendario dal tribunale di Milano; all’orizzonte del 2021 – in assenza di resilienza, trasparenza e inclusione – c’è il concreto rischio di prescrizione.
(trascrizione da La Verità del 30 settembre 2020)
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