Un ambiente isolato, protetto e in cui vige l’omertà. Ma finalmente il velo si sta alzando.
Negli Stati Uniti ci sono circa 340mila amish, sparsi per le zone rurali di Pennsylvania, Ohio, Indiana, Kentucky, New York, Michigan, Wisconsin e noti soprattutto per il loro rifiuto di qualunque forma di tecnologia (anche se questa posizione è più sfumata di quanto si pensi). Non solo: grazie all’elevata natalità e al fatto che pochi abbandonano la comunità, gli amish sono uno dei gruppi religiosi americani dalla crescita più rapida.
Ma ci sono altri elementi, molto meno noti, che sono al centro di una recente inchiesta di Cosmopolitan grazie alla quale è stato svelato il lato oscuro di questo mondo. Un numero in particolare colpisce: 52. Sono i casi documentati di bambini che hanno subito abusi sessuali in sette diversi stati nel corso di due decenni. Una cifra preoccupante, ma che – stando alle indagini condotte per oltre un anno dalla reporter Sarah McClure – rappresenta solo in minima parte la situazione complessiva che si vive in questo mondo chiuso, tradizionalista e suddiviso in congregazioni di 20-40 famiglie.
“Praticamente ogni amish con cui ho parlato – soprattutto donne ma anche parecchi uomini – mi hanno detto che la loro famiglia o i leader della chiesa li avevano dissuasi da denunciare gli abusi alla polizia o li avevano condizionati al fine di evitare che cercassero aiuto esterno”, racconta McClure. “Alcune vittime hanno raccontato di essere state intimidite e minacciate di scomunica. Le loro storie raccontano quanto sia diffuso e distribuito l’insabbiamento dei casi di abusi sessuali da parte del clero amish”.
Una di queste storie è quella di Sadie, nome di fantasia dietro cui si cela una ragazza della comunità della Pennsylvania: “Fin da bambina, Sadie è stata attentamente protetta dalle influenze esterne, non le è mai stato permesso di guardare la tv, ascoltare musica pop o ottenere il suo foglio rosa. Frequentava invece una scuola amish composta da un’unica classe e si recava in chiesa su un calesse trainato da un cavallo; una vita progettata per essere umile, disciplinata e timorata di Dio”, racconta sempre Cosmopolitan.
Sul finire degli anni ’90, all’età di nove anni, Sadie era già stata violentata da uno dei suoi fratelli più anziani. A 12 anni aveva subito abusi sessuali anche da parte del padre Abner (nome di fantasia), chiropratico che la penetrava con le dita affermando di star “controllando il suo utero” per assicurarsi che la figlia fosse fertile. A 14 anni, sempre stando ai racconti di Sadie, era stata violentata da altri tre fratelli, anche più volte a settimana. E la stessa cosa, come scoprì più tardi, accadeva nello stesso periodo anche alle sorelle.
Quella di Sadie non è l’unica terrificante storia investigata da McClure. Lizzie Hershberger aveva 14 anni quando, nel 1989, venne assunta come ragazza alla pari da Chriss Stutzman e dalla moglie per prendersi cura dei quattro figli e dare una mano nella fattoria. Nel giro di cinque mesi, Lizzie venne violentata 25 volte da Stutzman.
Perché questi episodi sono così comuni tra gli amish? Ovviamente, non è solo una questione religiosa: “Si tratta piuttosto di una tempesta perfetta di fattori”, scrive McClure. “Uno stile di vita patriarcale e isolato in cui le vittime hanno poca possibilità di entrare in contatto con la polizia o con chiunque altro possa aiutarle, un sistema educativo che finisce in terza media e in cui nessuno insegna ai bambini nulla che riguardi il sesso e il loro corpo, una cultura che colpevolizza la vittima e in cui c’è scarso accesso a tecnologie che possono aiutare a comunicare o a conquistare una maggiore consapevolezza. E infine di una religione che dà la priorità al pentimento e al perdono sulla punizione e la riabilitazione”.
In effetti, le “pene” che hanno dovuto scontare i due stupratori al centro delle vicende appena narrate confermano tutto ciò. Uno dei parenti di Sadie raccontò ai leader della congregazione che cosa stesse avvenendo in quella casa. Risultato? Abner, il padre, fu “respinto” per sei settimane: una punizione tipica in cui “l’accusato viene ostracizzato vietandogli per esempio di mangiare allo stesso tavolo degli altri membri della congregazione”. Al termine del respingimento, la persona confessa in chiesa e alla comunità viene chiesto di perdonare e dimenticare. In poche parole, dopo un mese e mezzo di relativo isolamento, la vita riprende come se nulla fosse. Lo stesso trattamento è stato riservato anche a Stutzman.
Le due vittime, invece, hanno dovuto affrontare quella colpevolizzazione che – come sappiamo fin troppo bene – non è prerogativa solo degli amish o di altre culture estremamente conservatrici. Chi ha subito lo stupro è visto come corresponsabile dell’avvenuto e la comunità tende anzi a schierarsi dalla parte del carnefice: un giudice ha raccontato alla giornalista di Cosmopolitan come durante le udienze su casi di violenza nella comunità non è raro trovarsi di fronte a interi gruppi di amish presenti in difesa dell’accusato.
Lizzie, invece, oltre alle continue violenze ha dovuto affrontare anche un periodo di reclusione in una “comunità di recupero” in South Dakota. Recupero a base di Bibbia, massaggi terapeutici e una medicina che avrebbe dovuto aiutarla a dormire ma, in base ai registri medici, era invece olanzapina, un farmaco antipsicotico per curare la schizofrenia.
Nell’estate del 2018, a trent’anni di distanza dagli eventi, Lizzie si è finalmente ribellata a questo sistema, denunciando Stutzman alla polizia e ottenendo una condanna – comminata in un tribunale pieno di amish schierati a supporto del violentatore – a 45 giorni di carcere e 10 anni di libertà vigilata. Sadie invece è oggi una madre di 32 anni che ha lasciato la comunità e vive col marito nel midwest. A differenza di Lizzie – e nonostante le frequenti visite della polizia avvenute all’epoca – non ha mai trovato la forza di denunciare il padre, oggi deceduto, o i fratelli; che anzi vede ancora durante alcuni raduni familiari.
Nel frattempo, la comunità amish, in particolare quella della Pennsylvania, sta cercando di riformarsi e creare un rapporto di fiducia con alcune realtà organizzate della società esterna, i cosiddetti “inglesi” (gli amish parlano infatti un dialetto tedesco chiamato “Pennsylvania dutch”). In altri casi sono stati creati dei comitati d’intervento che hanno il compito di riferire alle autorità locali casi di violenza e simili, in modo che possano essere puniti secondo la legge statunitense.
È ancora poco, soprattutto per una società chiusa e tagliata fuori dal resto del mondo che per comunicare all’esterno deve spesso andare in cerca di telefoni a gettone. Ma è un primo passo, come conferma Linda Crockett, fondatrice dell’organizzazione Safe Communities: “Negli ultimi dieci anni c’è stata un netto aumento di donne amish pronte a farsi avanti. Sentono le storie che circolano – non su Twitter o Facebook, ma attraverso la normale comunicazione interna alle comunità – e trovano coraggio e forza l’una nell’altra”.
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