Parla uno dei sopravvissuti che per primo denunciò gli abusi di Fernando Karadima, spretato dal Papa. «Tanti vescovi e cardinali contro il provvedimento: temono emerga il sommerso»
SALVATORE CERNUZIO
ROMA. «Finalmente una buona notizia! È terminato il carnevale dell’oscurità in cui si sono rifugiati per anni abusatori e insabbiatori». Sono quasi un sospiro le parole di Juan Carlos Cruz che tuttavia rivelano la soddisfazione per il provvedimento del Papa di abolire il segreto pontificio sui casi di abusi dei chierici a danno di minori. Cruz è nome noto nei Sacri Palazzi per esser stato una delle vittime che ha scoperchiato il vaso di Pandora sui crimini di Fernando Karadima, il potente sacerdote amico delle élites cilene, abusatore seriale di giovani e seminaristi, spretato da Francesco nel 2017.
Nella sua casa negli Stati Uniti, dove risiede da quando ha lasciato quel Cile che gli ricorda gli orrori subiti, Juan Carlos è stato tirato giù dal letto alle cinque del mattino. Erano le vittime di tutto il mondo con cui è costantemente in contatto che, tramite sms e messaggi via social, volevano condividere la gioia per questo «passo avanti del Papa» che va ad abbattere un muro di omertà durato troppo a lungo nella Chiesa.
Come sopravvissuti cosa pensate del gesto di Francesco nel giorno del suo compleanno?
«Il compleanno era il suo ma il regalo lo ha fatto a noi vittime. Da tanto tempo chiedevamo al Papa che prendesse una decisione del genere e lui lo ha fatto, con coraggio, andando controcorrente, a costo di risultare impopolare».
Perché controcorrente?
«Perché tanti vescovi e cardinali della Curia e del mondo si sono opposti a questo provvedimento. Lo posso affermare con certezza: lo so e l’ho vissuto sulla mia pelle. Molti temono che quanto hanno nascosto finora possa venire alla luce, hanno paura dei risarcimenti, delle sanzioni o di perdere il posto. Penso in particolare all’episcopato del mio Paese, il Cile, che con grande arroganza si sente al di sopra di tutto. C’è, infatti, la paura che adesso le indicazioni del Papa non trovino una implementazione pratica».
Coinvolgendo laici nei ruoli di avvocati e procuratori e collaborando con i magistrati civili diventa difficile «sfuggire» a tali norme…
«Infatti ora dovranno fare tutti i conti con la giustizia. Doveva essere così da tempo. Per anni molti vescovi hanno visto soffrire le vittime e sono rimasti immobili, anzi sono arrivati pure a colpevolizzarle. E quando hanno insabbiato sono rimasti impuniti. Adesso è il momento di dire basta, esca fuori la verità».
Lei era a Roma nei giorni del Summit sugli abusi in Vaticano e con gli altri sopravvissuti si è detto deluso per i risultati finali del vertice. Adesso, dopo dieci mesi, vede che qualcosa si è mosso?
«Si può sempre fare di più, però riconosco che siamo avanzati rispetto a come stavamo prima. Questo grazie a Papa Francesco, ma anche a monsignor Charles Scicluna (segretario aggiunto della Dottrina della Fede ed ex pm vaticano, ndr), ai sopravvissuti che hanno avuto la forza di parlare e ai giornalisti che li hanno sostenuti».
Quale dovrebbe essere il prossimo passo da fare, secondo lei?
«Anzitutto l’obbligo di denuncia alle autorità civili. Poi sanzioni forti per chi viola le leggi stabilite dal Papa: vescovi, preti, cardinali. Chi non collabora dovrebbe essere dimesso dallo stato clericale o andare in carcere, immediatamente».
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