Il processo a Milano
Milano – Un triangolo: la suora, il sacerdote, la ragazza. A uscirne stritolata, fu la ragazza: Eva Sacconago si impiccò, il 21 giugno del 2011, dopo avere mandato al prete un ultimo sms: «Pinguino mio, ti voglio salutare.
Ti voglio bene, non essere troppo triste perché ti guardo ogni volta che cerchi una stella».
Ieri, gli sms – insieme ai diari e a decine di lettere – sono entrati nel processo alla suora: Mariarosa Farè, ovvero «suor Mary», la religiosa che coinvolse Eva in una storia di sesso quando era poco più che una bambina, e che la violentò ripetutamente dopo essere stata piantata per il prete. In primo grado la donna è stata condannata a tre anni e mezzo. In appello, i giudici hanno chiesto a uno psichiatra, Franco Martelli, di analizzare gli scritti lasciati dalla vittima: per capirne il grado di sudditanza, di depressione, di fragilità; per cercare, insomma, di fare luce sulle dinamiche che inghiottirono Eva.
Ai giudici serve per valutare quanto la ragazza fosse padrona delle sue azioni quando andava volontariamente a letto con la suora, o se una condizione di «inferiorità psichica» rendesse comunque quei rapporti atti di violenza. Ieri, interrogato in aula, sul punto Mantelli è netto: Eva era bisognosa di affetto, fino ad una «ricerca ossessiva di supporto», ma non aveva patologie o disturbi tale da farle perdere la bussola. Ma di certo c’è che nella sua perizia, lo psichiatra tratteggia un quadro sconfortante della vita di parrocchia, un luogo in teoria sicuro dove Eva cercava conforto, e dove invece una suora prima ed un prete poi la portarono nel loro letto.
I messaggi di suor Mary alla ragazza sono crudi, espliciti: «aprimi e bagnami della tua tenerezza». Le lettere di Eva al prete, don Alessandro, sono invece di grande dolcezza, ma non lasciano molti dubbi sul «rito del venerdì», quando la ragazza e il sacerdote cenavano e dormivano insieme: «mi sono accorta che quando dormi da me la mia giornata inizia meglio».
Stretta tra la gelosia della suora e la ritrosia del prete, preoccupato delle voci che giravano in parrocchia, Eva annuncia il suo suicidio: «la cosa che mi resta da fare non è la cosa migliore». Per lo psichiatra, anche il legame col sacerdote fu una causa indiretta del suicidio. Per questo la Procura generale voleva che l’uomo, che non è mai stato indagato, venisse interrogato in aula. Ma i giudici hanno deciso di no.
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