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Home Città del Vaticano

Il cardinale Pell “condannato” per abusi. La Santa Sede: rispettiamo i giudici australiani

Redazione Web by Redazione Web
12 Dicembre 2018
in Città del Vaticano
Reading Time: 5 mins read
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L’11 dicembre il tribunale di Melbourne ha emesso un verdetto che ritiene il “ministro dell’Economia” colpevole di cinque capi d’accusa, tra cui violenze su un minore e atti osceni. Il processo secretato dal giudice, la sentenza il 4 febbraio 2019

Che ci sia una condanna nei confronti del cardinale George Pell, il prefetto della Segreteria vaticana per l’Economia da oltre un anno in Australia per difendersi in tribunale dalle accuse di abusi sessuali su minori, sembra essere ormai chiaro, considerando anche che a confermarlo, di fatto, è stato lo stesso direttore della Sala Stampa vaticana Greg Burke parlando oggi di un «provvedimento in atto» che «impone il silenzio» e che la Santa Sede rispetta. È da capire l’entità di tale ordinanza, la cui notizia è trapelata nelle scorse ore da alcuni media ultra conservatori australiani e statunitensi che parlano di un verdetto unanime del tribunale di Melbourne nel dichiarare colpevole il cardinale di abusi sessuali.

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A quanto apprende Vatican Insider da fonti di Melbourne, il giudizio nei confronti di George Pell – che rimane per ora in carica come “ministro” dell’Economia vaticana – è giunto martedì 11 dicembre al termine di tre giorni di deliberazioni di un collegio giudicante. Lo stesso che, fino a qualche tempo fa, affermava di non poter raggiungere un verdetto per l’inconsistenza e la scarsa credibilità di alcune accuse, ma che adesso si è trovato concorde nel ritenere «colpevole» il cardinale di cinque capi d’accusa: quattro per atti osceni in luogo pubblico, uno per una violenza nei confronti di un minore negli anni ‘90.

Il portavoce vaticano Greg Burke, interpellato a riguardo dai giornalisti durante il briefing del C9 – dove ha annunciato proprio il congedo di Pell, insieme ad Errazuriz e Monswengo, dal Consiglio dei cardinali – non è entrato nei dettagli della vicenda, limitandosi ad affermare che: «La Santa Sede ha il massimo rispetto per l’autorità giudiziaria australiana, siamo consapevoli che c’è un provvedimento in atto che impone il silenzio e rispettiamo tale ordinanza».

Il giudice di Melbourne ha emesso infatti un “suppression order”, un ordine che impedisce qualsiasi tipo di copertura mediatica sul processo da parte delle testate dell’Australia, perseguibili anche a livello penale in caso di violazione. Il motivo è che, terminato questo primo processo, il cardinale dovrà affrontare un secondo procedimento l’11 marzo 2019, sempre per abusi e sempre a Melbourne, che le stesse vittime hanno chiesto si svolgesse separatamente. Quindi, da parte del giudice – seguendo anche il severo sistema legislativo australiano – c’è la volontà di non influenzare in alcun modo le decisioni della giuria. Il veto ha bloccato la fuoriuscita di informazioni certe e dettagliate sul verdetto, ma non ha impedito che circolasse comunque – anche attraverso i social network – la notizia di una presunta condanna nei confronti del cardinale.

Contro di lui, in congedo dal suo importante ruolo in Curia dal giugno 2017 in accordo con il Papa che gli ha concesso di lasciare Roma per volare in Australia e concentrarsi nella difesa, è stata mossa in questi mesi un’accesa campagna mediatica che ha raggiunto il suo culmine con il libro della giornalista Cnn Louise Millgan – ritirato dal commercio su richiesta dei legali di Pell – che raccontava, attraverso materiale raccolto per i suoi servizi giornalistici, «l’ascesa e la caduta» dell’importante porporato posto da Papa Francesco nel febbraio 2014 a capo del neonato Dicastero che aveva l’obiettivo di mettere in ordine conti, bilanci e finanze della Città del Vaticano.

Le accuse contro Pell, sia di insabbiamenti di casi di pedofilia, sia di aver compiuto abusi, si rincorrono da molti anni. Nel 2016, tra fine febbraio e inizio marzo, è stato messo sotto torchio dalla “Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse”, la Commissione d’inchiesta sulle risposte delle istituzioni agli abusi sessuali a minori negli anni 1970 e ‘80, che lo ha interrogato per circa una settimana in video-collegamento in un hotel del centro di Roma. Il cardinale aveva rifiutato infatti di recarsi in Australia a deporre, perché a causa di problemi di ipertensione e cardiopatia non avrebbe potuto reggere un lungo viaggio oltre Oceano, come affermava un certificato medico. Tuttavia aveva deciso di non avvalersi della immunità diplomatica vaticana e di rispondere alla giustizia civile.

A Pell veniva soprattutto imputata un’opera di occultamento iniziata da sacerdote e vescovo ausiliare di Ballarat, sua città natale, e proseguita come arcivescovo di Melbourne negli anni 1996-2001. Il cardinale ha sempre ribadito la propria innocenza, negando di essere a conoscenza di tali atti criminali, rifiutando ogni accusa di complicità con sacerdoti abusatori (come Gerard Ridsdale, con il quale aveva condiviso anche un appartamento nei primi anni di sacerdozio) e attribuendo le maggiori responsabilità al predecessore a Melbourne. Nel corso degli interrogatori fiume aveva ammesso tuttavia che «la Chiesa in Australia ha gestito in modo sbagliato le cose e ha fallito con le persone». «C’erano in passato – aggiungeva – ragionevoli lamentele in Australia riguardo ad abusi, ma l’uso comune era di non segnalarli alla polizia». In quei giorni di febbraio un gruppo di sopravvissuti di Ballarat era venuto nella Capitale a protestare vigorosamente contro le dichiarazioni del ministro vaticano dell’Economia con striscioni e t-shirt. Con loro il porporato aveva ristabilito, al termine degli interrogatori, una sorta di tregua con la promessa di un maggior impegno per la vigilanza e la prevenzione di tali piaghe.

Il caso Pell è deflagrato però l’anno successivo, quando nel giugno 2017 il porporato è stato incriminato per abusi sessuali su minori dalla polizia dello Stato di Victoria. Nel dare all’epoca l’annuncio il vice commissario Shane Patton precisava che le accuse provenivano da più querelanti e che le indagini riguardavano reati commessi negli anni ‘70 a Ballarat. In particolare si parlava di un abuso a danno di un 15enne durante un campo estivo a Philipp Island, nel 1962.

Il porporato era stato invitato, quindi, a comparire in tribunale il 18 luglio di quell’anno. Da qui il congedo da Roma, con un permesso accordato da Papa Francesco. Il processo ad un prelato di così alto grado ha generato un clima quasi di isteria nel Paese, frustrato da decenni di lotta a questa piaga nella Chiesa. Tanto che il procedimento a Pell è stato ribattezzato il “cathedral trial”, il processo alla cattedrale, quasi a voler dire che colpendo il suo più alto rappresentante viene punita l’intera Chiesa australiana per i suoi peccati.

Fonti di Melbourne vicine al porporato rivelano a Vatican Insider che il clima di agitazione e pressioni che sta accompagnando il processo ha costretto Pell all’isolamento e ad una sorta di reclusione forzata. Nelle sue prime uscite il cardinale era investito da urla e proteste (in alcuni casi anche dal lancio di oggetti), al punto da essere obbligato nei mesi successivi ad uscire dal retro della sua abitazione, con il volto coperto, per andare dal medico, a trovare degli amici o semplicemente celebrare una messa.

Da martedì, Pell sarebbe libero su cauzione visto che nei prossimi giorni dovrà recarsi a Sydney per subire un’operazione al ginocchio (per il giudice non c’è alcun rischio di “fuga”). Il prossimo appuntamento in tribunale per lui è il 4 febbraio 2019, quando gli avvocati – che per ora non hanno annunciato alcun ricorso al verdetto – presenteranno al giudice delle obiezioni e delle «informazioni utili» prima della sentenza che verrà emessa il giorno stesso.

https://www.lastampa.it/2018/12/12/vaticaninsider/australia-verdetto-di-condanna-per-il-cardinale-pell-la-santa-sede-rispettiamo-i-giudici-T3DEkFj5Afd1l2hZDkBqwM/pagina.html?fbclid=IwAR1ge98M19epU_fzftEctYSTzRyDGLgPmxSndtuQofjzaJ4nEGq1tRL_C4o

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