Ora sarà il pontefice a decidere se confermare le richieste di dimissioni. La decisione dopo lo scandalo per gli insabbiamenti, le coperture e le vittime inascoltate
CITTÀ DEL VATICANO «Sono molto emozionato. Fa bene al nostro amato Paese, a tanta gente che ha sofferto per vescovi corrotti e falsi, a tutti i sopravvissuti ignorati nel mondo intero. Non si torna indietro. La storia è cambiata…». Juan Carlos Cruz, una delle vittime del prete pedofilo Fernando Karadima, lo aveva scritto su Twitter poco prima: «Che rinuncino tutti!». A fine aprile aveva parlato per tre ore con Francesco, «io voglio che nessuna vittima si senta più sola». Ed ora, a metà giornata, ci sono due vescovi cileni che nella sala Pio X sillabano un comunicato inaudito, alle spalle una riproduzione della Madonna di Guadalupe che schiaccia il Male: «Tutti noi vescovi presenti a Roma, per iscritto, abbiamo rimesso i nostri incarichi nelle mani del Santo Padre».
Francesco aveva concluso giovedì l’ultimo dei quattro incontri con i 34 vescovi convocati a Roma dopo lo scandalo pedofilia che ha travolto la Chiesa in Cile: insabbiamenti, vittime inascoltate e calunniate. Fin dal primo giorno i monsignori avevano dichiarato — anche perché non avevano scelta — di rimettersi alle decisioni del Papa. Sarà il pontefice a decidere se e chi confermare. Del resto, in una lettera riservata ai vescovi, Bergoglio parla di un problema che non si risolve «solo con la rimozione di persone, che pure bisogna fare»: non è che «muerto el perro se acabó la rabia», la rabbia non finisce perché muore il cane, «il problema è il sistema».
In dieci cartelle, Francesco scrive di «negazione di ascolto e giustizia», denunce e «gravi indizi qualificati come inverosimili», «gravissime negligenze nella protezione dei bambini», sacerdoti «sospettati di praticare l’omosessualità» e messi alla guida di seminari, pedofili spostati e «accolti in altre diocesi», «documenti distrutti» per occultare prove, «pressioni» su chi doveva istruire processi. Una Chiesa «narcisistica e autoritaria», «elitarismo e clericalismo» come «sinonimi di perversione ecclesiale».
Tutto nasce dal caso Barros, il vescovo accusato di aver coperto Karadima, ora 87 anni, potente fin dagli anni della dittatura di Pinochet. In Cile, a gennaio, il Papa aveva difeso Barros: «Sono calunnie, per due volte ho respinto le sue dimissioni, non ci sono evidenze». Ma poi ha disposto un’indagine affidata in febbraio all’arcivescovo Charles Scicluna: 64 testimoni sentiti a Santiago del Cile, 2300 pagine. Prima dei vescovi, ha ricevuto le vittime. Cruz, James Hamilton e José Murillo hanno accusato in particolare i cardinali Ricardo Ezzati, arcivescovo di Santiago e Francisco Javier Errázuriz, l’emerito che fa parte del «C9» del Papa: «Sono criminali». Errázuriz non ha presentato rinuncia perché è in pensione e a Roma si è mostrato indignato, «mi diffamano, il Papa ha detto che l’ho informato bene».
Francesco tuttavia aveva chiesto perdono alle vittime e ammesso i suoi errori«specie per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate». È solo l’inizio. Marie Collins, la vittima che abbandonò polemica la Commissione vaticana, non si fida: «Nessun vescovo rimosso, solo disposti a dimettersi. Niente in realtà cambia».
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