di Ersilio Mattioni e Andrea Cattaneo
Un ragazzo di quindici anni che denuncia abusi sessuali da parte di un sacerdote, tre anni di bugie e di depistaggi, un tentato suicidio, un risarcimento da 150.000 euro. Poi, davanti al tribunale di Milano, comincia un processo a porte aperte, dove decine di cronisti ascoltano e prendono appunti. Emergono, carte alla mano, le responsabilità dei vertici della Chiesa, che hanno mentito e cercato di insabbiare lo scandalo di don Mauro Galli, prete novello in quel di Rozzano, nel Milanese. Ma sulla vicenda cala l’imbarazzante silenzio di tutti i media, salvo piccole eccezioni. Un articolo sulle pagine locali de “Il Giornale”, un servizio su “Fanpage” e un gruppo di giornalisti inviperiti per aver subito la censura. Fine. Eppure i nomi coinvolti sono altisonanti, a cominciare da monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano e all’epoca del fatti vicario episcopale. È lui a gestire l’emergenza, a decidere di spostare don Mauro a Legnano, in un altro oratorio a pochi chilometri di distanza, di nuovo a contatto coi ragazzini. È lui a mentire alla famiglia della vittima, premurandosi però di ringraziarla per non essersi rivolta all’autorità giudiziaria. Ed è sempre lui a contattare il prete accusato di pedofilia, procurandogli un avvocato e raccomandandogli di stare «attentissimo», di non parlare al telefono.
Una figura poliedrica e controversa, quella di monsignor Delpini. Che nel luglio 2017, quando lo scandalo è noto persino in Vaticano, viene nominato da Papa Francesco arcivescovo di Milano, con un chiosa che sembra non lasciare dubbi circa il suo profilo: «È l’uomo giusto al posto giusto». Delpini, in effetti, sa come muoversi, tesse rapporti e proietta all’esterno una precisa immagine di sé, quella del sacerdote in mezzo alla gente. Da capo della Chiesa ambrosiana, si fa fotografare mentre esce dalla Curia in sella alla sua bici, tra i flash dei fotografi e la gloria terrena, il giorno dopo, su tutti i giornali. Quando i politici parlano, lui ascolta. E se risponde, come al leader della Lega, Matteo Salvini, che in campagna elettorale giura sulla Bibbia, lo fa con prudenza: «Nei comizi si parli di politica». Segue un democristianissimo consiglio ai neo diciottenni, che lascia aperta ogni possibilità: «Fate del vostro voto il segnale di un’epoca nuova». Per Delpini, gli applausi a scena aperta sono tanti e sono noti. I fischi dietro le quinte, invece, vengono soffocati. Anche se le critiche piovono da tutte le parti, dai superiori e dai sottoposti. Don Giorgio De Capitani, un prete scomodo, lo definisce «la mummia imbalsamata» e si chiede se la diocesi più grande del mondo «riuscirà mai a uscire a testa alta da questa insostenibile situazione». Il cardinale Angelo Scola lo definisce «maldestro» nella gestione dell’ennesimo caso di pedofilia. Mentre don Carlo Mantegazza e don Alberto Rivolta, parroci a Rozzano, dove si sarebbe consumato l’abuso, parlano così al telefono: «Aspettiamo cosa, che ci arrestino tutti per pedofilia? (…) Lui (Delpini, ndr) la fa sempre facile (…) Sì, è un minimalista del cazzo».
Tutto ha inizio il 19 dicembre 2011. Davide – nome di fantasia – viene invitato a passare la notte in parrocchia da don Mauro, suo padre spirituale, che da sei mesi è incaricato di gestire la Pastorale giovanile. Gli impegni in vista del Natale sono molti e il sacerdote chiede ai genitori del ragazzo di lasciarlo dormire in oratorio. La famiglia accetta, pensando che la proposta sia estesa a tutti gli adolescenti. Ma così non è. Dopo cena i ragazzi se ne vanno e Davide scopre di essere l’unico ad aver ricevuto l’invito per la notte. La casa è grande. C’è una stanza degli ospiti, un soggiorno con divano letto e una camera matrimoniale. Eppure don Mauro e il quindicenne dormono nello stesso letto.
Il giorno dopo la madre di Davide riceve una chiamata dalla scuola, suo figlio sta male. Quando la donna arriva, lo trova in stato di choc: non parla e ha lo sguardo perso nel vuoto. Una volta in macchina, la mamma riesce a ottenere una reazione: «È successo qualcosa stanotte?», chiede. «Quello che puoi immaginare», risponde Davide. I genitori allarmati chiamano i parroci, don Alberto e don Carlo. Quest’ultimo incontra don Mauro, che ammette di aver passato la notte con il giovane nello stesso letto e di averlo abbracciato per evitare che cadesse. Nega di aver avuto rapporti sessuali con lui. I sacerdoti allertano i loro superiori. È la vigilia di Natale e Delpini, all’epoca vicario di zona, si precipita a Rozzano. Alla Polizia, che lo interroga tre anni dopo, racconterà: «Don Carlo mi disse al telefono che Davide aveva segnalato presunti abusi sessuali commessi da don Mauro». A Delpini, dunque, viene riferita ogni cosa. Ma lui decide – e rivendicherà poi la scelta – di spostare don Mauro a Legnano, dove lo nomina, il primo marzo 2012, vicario nella parrocchia di San Pietro e responsabile della Pastorale giovanile nelle parrocchie di Santa Teresa, dei Santi Magi e del Santissimo Redentore. Sembra più una promozione che una punizione, se si considera che gli oratori da gestire non sono più due, bensì quattro.
Mentre la Curia si adopera per archiviare lo scandalo, i genitori di Davide vengono a sapere cinque mesi dopo, quasi per caso, che don Mauro è ancora a contatto con gli adolescenti. Così chiedono un incontro ai vertici della Diocesi. Parlano prima con monsignor Pierantonio Tremolada (responsabile della formazione permanente del clero) e poi con Delpini, divenuto nel frattempo vicario generale.
La famiglia registra gli incontri di nascosto e gli audio finiscono nelle carte del processo. Dai colloqui emerge un particolare inedito sullo spostamento di don Mauro. Ai parrocchiani di Legnano viene raccontato che questo giovane prete ha bisogno di cambiare aria: a Rozzano ha accolto in oratorio Davide, un ragazzo difficile scappato di casa. Da allora i genitori dell’adolescente lo perseguitano, accusandolo di assecondare il comportamento del figlio. Una colossale bugia per tenere nascosti i presunti abusi. Le voci però circolano e arrivano all’orecchio di un parroco, don Piero Re. Il sacerdote indaga e svela le menzogne raccontate dalla Curia ai parrocchiani legnanesi. Tremolada lo rimbrotta: «Doveva tenere il segreto, non avrebbe potuto dirlo». I genitori di Davide non sono soddisfatti, chiedono spiegazioni più convincenti e il 24 settembre 2012 vengono convocati da Delpini. Il registratore è sempre acceso. L’allora vicario generale li mette in guardia: «Basta una notizia di un abuso per farlo diventare un titolo sul giornale. Questa è una cosa che ci ferisce molto, perché noi preti non ci sentiamo tutti pedofili». Poi ringrazia la famiglia per «aver scelto questa strada invece che l’altra», cioè il dialogo al posto della denuncia. Poco dopo quest’incontro don Mauro lascia Legnano e viene trasferito al Seminario Pontificio Lombardo di Roma.
Rassicurata la famiglia, per Delpini il caso è chiuso. Ma le condizioni di Davide peggiorano e il 10 luglio 2014 il giovane tenta il suicidio. Sul posto, oltre ai medici, arrivano anche i Carabinieri. Agli uomini dell’Arma il ragazzo confida: «Sono stato abusato da un prete». Parte, finalmente, la denuncia. Mentre Davide è ricoverato, trova la forza di confidarsi anche con mamma e papà. Chiede di non essere interrotto né guardato, tira il lenzuolo sopra la testa e racconta: «Di notte, mentre lui credeva che io dormissi, mi ha lentamente tolto i pantaloni del pigiama e le mutande”. Poi il quindicenne descrive ogni dettaglio, anche il più scabroso. E conclude: “È andato avanti per almeno due ore».
Iniziano le indagini della Procura e le intercettazioni telefoniche. Agli amici don Mauro confida l’interessamento dell’attuale Arcivescovo di Milano per levarlo dagli impicci: «Ho ricevuto una mail da Delpini, che diceva: “Sei da queste parti? Telefonami, scrivimi, che ho bisogno di vederti”. Allora io, anche se ero all’estero, l’ho chiamato subito. Mi ha detto: “No, dai, fissiamo un appuntamento. Così ci vediamo giovedì, che ho bisogno di dirti delle cose”. La prima domanda che gli ho fatto è stata: “Mi devo preoccupare? Ho combinato ancora qualcosa?”. E lui: “No no, il problema non è quello che hai combinato tu, ma quello che hanno combinato gli altri (la telefonata arriva un mese dopo la denuncia, ndr). Non è il caso che ne parliamo per telefono. Dobbiamo stare molto attenti”. Ha chiuso così». Don Mauro tradisce un certo nervosismo: «Sono cazzi amari». Ma Delpini non lo abbandona. Anzi, gli fissa un appuntamento con l’avvocato della Curia, Mario Zanchetti, che già difende diversi sacerdoti accusati di molestie sessuali, tuttora suo legale di fiducia.
A dispetto delle bugie, la fede non vacilla. La famiglia di Davide, cattolica fervente, non smette di credere che, dentro la Chiesa, qualcuno possa fare giustizia. Decine di lettere vengono spedite alla Curia di Milano e al Vaticano. Giungono le risposte, alcune nette e rassicuranti, ma alle parole non seguiranno i fatti. Il 16 novembre 2015 il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano prima di Delpini, informa che don Mauro sarà sottoposto a processo ecclesiastico, del cui esito non si avranno mai notizie. Scola non spiega invece perché, dal 2011 al giorno della denuncia, nessun provvedimento venga assunto nei confronti del prete sospettato di pedofilia, sospeso soltanto dopo lo scoppio dello scandalo. L’allora arcivescovo, tuttavia, non lesina critiche a Delpini: «Non è stato valutato con adeguato rigore il fatto già di per sé assai grave che don Mauro abbia passato la notte con un minore condividendo lo stesso letto. Improvvida è stata la scelta di trasferire don Mauro in un contesto pastorale che gli consentisse ancora una volta il contatto coi minori».
Ma anche in Vaticano sanno tutto. La prova è in una lettera del 22 marzo 2016, firmata dal nunzio apostolico del Papa, Adriano Bernardini, che risponde alla famiglia di Davide: «Le vostre missive sono regolarmente giunte alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Inoltre, circa le accuse mosse ai collaboratori dell’arcivescovo (Delpini e Tremolada, ndr) esse saranno debitamente esaminate». Eppure, nonostante bugie e depistaggi siano acclarati, il 2017 è anno di promozioni: Tremolada viene nominato vescovo di Brescia e Delpini arcivescovo di Milano. Papa Francesco ha sempre mostrato i muscoli, quando c’è di mezzo la pedofilia. Viene da chiedersi perché abbia promosso Delpini, elogiandolo: finge di essere all’oscuro oppure non è stato informato dai suoi più stretti collaboratori?
Intanto a Milano comincia il processo, con una prima sorpresa: 150.000 euro vengono versati alla famiglia di Davide, che il 12 dicembre ritira la costituzione di parte civile. Di questi soldi, 50.000 euro sono il risarcimento per le spese legali e mediche già sostenute. Le difficoltà sono molte, i conti da pagare salati. Davide e i suoi cari, al loro fianco, hanno “Rete l’Abuso”, l’unica associazione italiana che da anni si batte per tutelare le vittime dei preti pedofili. Da notare che alla somma di 150.000 euro si arriva dopo un’estenuante trattativa, perché all’inizio sul tavolo vengono messi 15.000 euro e non un centesimo di più. Poi una perizia quantifica i danni subiti dal ragazzo in 416.000 euro. Così l’offerta si moltiplica per dieci. Ma chi ha pagato? La Curia nega di aver scucito un quattrino. A risarcire è stato don Mauro in persona, consegnando un assegno circolare, cioè denaro contante, emesso da una filiale UBI Banca di Cislago, in provincia di Varese, dove il prete è nato e cresciuto, nonché ancora residente. Curioso che il sacerdote, identificato come “nullatenente” nell’interrogatorio del 14 dicembre 2016, sia riuscito ad accumulare una tale liquidità nel volgere di un solo anno.
Tanto più che don Mauro non sembra condurre una vita propriamente monastica. Dai fatti del 2011 a oggi è impossibile ricostruire tutti i suoi spostamenti: Legnano nel 2012 e Roma nel 2013, ma anche Milano, prima come cappellano all’ospedale Niguarda e poi alla clinica San Giuseppe, infine di nuovo Roma, dove ha sede quella che dovrebbe essere la sua attuale dimora: il Seminario Pontificio Lombardo. Condizionale d’obbligo, perché da qualche mese non risulta più lì. Risultano invece le sue vacanze sia in Italia nell’Alto Lazio sia all’estero, al mare in Croazia e in Romania. E, dalle telefonate, spuntano le serate mondane. Una volta al concerto di Max Gazzé a Milano, un’altra al ‘Verve’ di Solaro, nel Varesotto. Oppure in Brianza, al ‘Pork ‘N’ Roll’ di Carnate. Qui però il sacerdote declina l’invito, ma solo per ragioni tecniche: non ha la macchina e gli servono i mezzi pubblici per tornare. Troppo complicato.
In ore e ore di intercettazioni telefoniche, tra don Mauro e tanti altri sacerdoti, non si sente una parola di conforto, o anche solo di solidarietà, per Davide e il suo dramma. L’impressione è che Santa Romana Chiesa sia impegnata nella solita ‘grande’ missione: salvaguardare se stessa e il suo buon nome agli occhi del mondo. Il resto sono seccature.
di Ersilio Mattioni e Andrea Cattaneo
per FQ MILLENNIUM aprile
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