L’accusa al vescovo Barros di aver coperto le violenze. Il ruolo del suo mentore Karadima. Gli incroci con l’omicidio del generale Schneider nel 1970. L43 ripercorre la vicenda che bussa alla porta del pontefice.
Vedo il corpo incosciente di Schneider, immobile sul lettino, il viso di marmo e il busto bagnato di sangue. Una delle tre pallottole gli ha perforato i polmoni, sfiorato il cuore e infranto il fegato. Sento un intenso dolore di fronte alla tragedia del mio grande amico ed è come se precipitassi in un nero precipizio, vertiginosamente illuminato da immagini sinistre di gente spaventata che grida mentre mitragliatrici sparano e bombe esplodono»: con queste parole il generale cileno Carlos Prats descriveva nel proprio diario l’attentato contro il capo delle forze armate, suo amico e compagno d’armi, René Schneider avvenuto il 22 ottobre del 1970. Il 25 Schneider sarebbe morto in conseguenza delle ferite riportate, il 24 ottobre Salvador Allende giurava come presidente del Cile. Prats avrebbe preso, di lì a poco, il posto di Schneider al vertice delle Forze armate cilene. Successivamente sarebbe entrato a far parte del governo di Unidad Popular fino ad assumere l’incarico di vicepresidente di Allende. Dopo il colpo di Stato del 1973, rifugiatosi in Argentina, sarà assassinato a Buenos Aires, insieme alla moglie, dall’agente della Cia Michael Townley.
«ANNI DI ABUSI COPERTI». La ‘colpa’ di Schneider e Prats fu quella di aver scelto una linea costituzionalista in contrasto con l’opzione golpista di settori importanti delle forze armate, gli stessi che – con varie complicità nelle organizzazioni di estrema destra del Paese e a livello internazionale – misero in atto i due omicidi. Ma cosa c’entra questa storia proveniente dal passato con il caso del vescovo Juan Barros, titolare della diocesi di Osorno (dove fu nominato da papa Francesco nel 2015) accusato di aver coperto per lunghi anni i gravi abusi sessuali su minori della sua guida spirituale e mentore, il sacerdote Fernando Karadima, già riconosciuto colpevole dal Vaticano nel 2010? Per capire come stanno le cose è bene cominciare, per una volta, dalla fine.
Il caso Barros è diventato, negli ultimi mesi, una sorta di slavina mediatica in grado di mettere in crisi la Santa Sede, all’origine delle ‘querelle’ c’è la visita compiuta da Francesco in Cile nel gennaio scorso; durante la trasferta nel Paese sudamericano il pontefice ha difeso Barros, con una certa asprezza e a più riprese, sostenendo che contro di lui non c’erano prove concrete. Le affermazioni del pontefice non hanno mancato di suscitare le proteste di larga parte dell’opinione pubblica e di indignare le vittime di Karadima che da anni accusavano Barros – e con lui altri prelati – di conoscere nel dettaglio gli abusi commessi da Karadima, di averli insabbiati e di aver poi negato le proprie responsabilità. Non solo: a essere coinvolti sono stati – nel corso degli anni – i massimi vertici della Chiesa cilena, ovvero i cardinali Ricardo Ezzati, attuale arcivescovo di Santiago del Cile, e il suo predecessore, Francisco Errazuriz Ossa che fa parte del C9, il ristretto gruppo di cardinali collaboratori del papa nel governo della Chiesa universale.
LE ACCUSE AI PORPORATI. I due porporati sono stati accusati dalle vittime degli abusi di aver cercato in tutti i modi di nascondere la vicenda, di aver protetto prima Karadima poi Barros. Non solo: qualche anno fa, nel 2015, è stata diffusa dalla stampa cilena una corrispondenza via mail fra Ezzati e Errazuriz nella quale i due si preoccupavano per la possibile nomina di una delle vittime di Karadima, Juan Carlos Cruz, nella Pontificia commissione contro gli abusi istituita da Francesco. Poiché Karardima era già stato riconosciuto colpevole dal Vaticano e dalla giustizia cilena, di certo l’allarme maggiore riguardava evidentemente le coperture di cui egli aveva goduto, in Cile come a Roma. Francesco dopo aver difeso Barros, di ritorno dal Cile si è scusato con le vittime per le sue parole, ma non ha rinunciato immediatamente alla difesa del vescovo. Tuttavia il 30 gennaio, in seguito “a nuove informazioni pervenute” sul caso Barros, Bergoglio ha mandato in Cile a indagare nuovamente sull’intera vicenda un suo uomo di fiducia: monsignor Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, ex promotore di giustizia (pubblico ministero) della Congregazione per la dottrina della fede per i reati di abuso contro i minori, e attuale responsabile dei ricorsi nelle cause presso lo stesso dicastero. Ma soprattutto Scicluna è uno degli uomini di Chiesa che ha preso sul serio lo scandalo pedofilia.
LE PRESSIONI SUL PAPA. La sua missione in Cile è durata diversi giorni, ha ascoltato vittime e testimoni, e presto il papa prenderà provvedimenti in base alla relazione dell’arcivescovo maltese. D’altro canto lo stesso pontefice si è trovato al centro di un reticolo di pressioni da parte di alcuni stretti collaboratori che lo hanno certamente influenzato e ne hanno indirizzato il giudizio, anche se questo non basta a spiegare tutto. Ma chi era Karadima? Il sacerdote, parroco della parrocchia del Sacro cuore di Gesù di El Bosque, una zona altolocata di Santiago del Cile, fondò poi la Pia Unione Sacerdotale, organismo che godeva di una certa autonomia nella Chiesa. Nella cerchia di Karadima si formarono diversi sacerdoti i quali assunsero poi, non casualmente come vedremo, incarichi di rilievo; oggi, diversi di loro sono accusati dalle vittime di aver coperto i numerosi casi di abuso sessuale di cui fu responsabile il sacerdote (come accertato dalle autorità vaticane), si tratta dei vescovi Andrés Arteaga (vescovo ausiliare di Santiago del Cile), Horacio Valenzuela (vescovo ausiliare id Santiago del Cile), Tomislav Koljatic (vescovo di Linares). Barros, da parte sua, è stato anche per circa un decennio vescovo castrense, cioè ordinario militare (dal 2004 al 2015).
Non va dimenticato però che a tenere le fila della Chiesa cilena è stato per lungo tempo il cardinale Angelo Sodano, 90 anni ben portati, ex Segretario di Stato vaticano, dal 1991 al 2006, ed ex nunzio in Cile (1977-1988), fu uno dei principali collaboratori di Giovanni Paolo II, uno degli uomini più potenti della Curia romana. La prossimità di Sodano con ambienti ecclesiali conservatori, è nota (la stessa rivista dei gesuiti ‘America’ , anni fa, ne chiese le dimissioni per la sua difesa di Marcial Maciel, il tenebroso fondatore degli ultraconservatori Legionari di Cristo, anch’egli abusatore seriale di minori). Secondo una delle vittime di Karadima, James Hamilton, Sodano era un assiduo frequentatore della parrocchia del Sacro Cuore a El Bosque, tanto che una stanza della struttura era comunemente noto fra i sacerdoti come la “sala di Sodano”. Hamilton ha raccontato alla giornalista María Olivia Mönckeberg, autrice dell’inchiesta Karadima, il signore degli inferi, che il sacerdote «era ultrapinochetista, amico di Sergio Rillon (consigliere di Pinochet per gli affari religiosi, ndr) e di Rodrigo Serrano (capo gabinetto del ministero alla Giustizia). Rillon si riuniva con Karadima e Sodano e insieme decidevano quali dovevano essere i nuovi vescovi della Chiesa cilena, questo era il livello di influenza che aveva».
L’OMBRA DELL’ESTREMA DESTRA. In tale contesto è emerso pure che Karadima si vantava – secondo Hamilton e altre vittime – di aver nascosto e protetto presso la residenza di El Bosque (nel campanile) Juan Luis Bulnes, condannato – insieme a numerosi complici fra cui diversi alti gradi dell’esercito – per l’omicidio del generale Schneider. Karadima avrebbe addirittura aiutato Bulnes a rifugiarsi all’estero, in Paraguay. A ciò si aggiunga – e qui i fili si ricongiungono – che Juan Luis Bulnes è il fratello di Juan Pablo Bulnes, l’avvocato ecclesiastico che difese Karadima dalle accuse di pedofilia. Quest’ultimo, a sua volta, era legato a gruppi di estrema destra che cospirarono per sovvertire la democrazia in Cile. Insomma, scoperchiata la botola degli abusi sessuali e psicologici messi in pratica da Karadima, a emergere è una realtà di trame di potere assai più complessa, fra Cile e Vaticano, con legami non proprio edificanti.
Resta da dire, che il ripensamento di Francesco, a questo punto, potrà avere una via d’uscita fatta di rinunce o pre-pensionamenti di personaggi ingombranti nel tentativo di chiudere una vicenda che trascina con sé le ombre mai scomparse del lungo pontificato wotyliano. La Chiesa cilena, peraltro, non fu solo quella di Karadima negli anni della dittatura, anzi. È ormai storia l’azione di denuncia svolta dalla “Vicaria de la solidaridad”, organismo creato dal cardinale Raul Silva Henriquez, per denunciare le sparizioni degli oppositori, le torture e le violazioni dei diritti umani e per assistere le vittime. Al contempo è un fatto che la linea non sempre decisa di Francesco sulla questione abusi, è ora nella mani di quattro personalità forti e di fiducia del papa. In primo luogo Monsignor Scicluna (l’inviato per il caso Barros), poi il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston e capo della Pontificia commissione per la tutela dei minori (che ha criticato apertamente il papa in un primo tempo per la gestione del caso del caso Barros), quindi due gesuiti: Hans Zollner, a capo del Centro di protezione dell’infanzia dell’Università gregoriana di Roma, organismo il cui fine è formare il clero alle nuovi prassi di tutela dei minori compresa la formazione nei seminari; infine, c’è monsignor Luis Francisco Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il dicastero incaricato di gestire i processi canonici.
CRITICHE ALLA PONTIFICIA COMMISSIONE. Basterà? Difficile dirlo. Nel corso degli ultimi mesi, alcuni membri della Pontificia commissione per la tutela dei minori hanno lasciato polemicamente il loro posto contestando lo scarso peso decisionale dell’organismo, fra di loro l’irlandese Marie Collins che non ha risparmiato critiche alla curia vaticana. Ma di recente anche la francese Catherine Bonnet, psichiatra dell’infanzia – dimissionaria dal medesimo organismo dal giugno scorso –, in un’intervista al francese L’Express ha spiegato come abbia cercato senza successo di introdurre l’obbligo per vescovi e superiori religiosi, di trasmettere le informazioni relative a sospetti di abusi su minori alle autorità civili. Il discorso certo è complesso, sta di fatto che ora il papa e i suoi collaboratori stanno studiando l’ipotesi di aumentare i tribunali ecclesiastici specializzati nella gestione dei casi di pedofilia in varie regioni del mondo.
http://www.lettera43.it/it/articoli/mondo/2018/03/04/abusi-minori-cile-papa-francesco/218299/
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