La frase scelta come “titolo” di quello che sto per scrivervi, è quella che mi ha detto mio figlio qualche giorno fa. Quando l’ha pronunciata il mio cuore si è raggelato, e nello stesso tempo mi ha restituito una responsabilità positiva sulla quale vorrei riflettere.
Perché sto scrivendo all’Associazione ReteL’ABUSO?
Perché sono la mamma di un ragazzo che alcuni anni fa è stato abusato da un sacerdote, un “caso” (strano definire un “caso” mio figlio) seguito da questa Associazione.
“Io a quest’ora non sarei qui”. Una frase che significa esattamente quello che descrive, con la concretezza e la crudezza che rappresenta … non si parla ovviamente di “un trasferimento all’estero” ma di suicidio.
Mio figlio ha tentato quattro volte di suicidarsi dopo l’abuso, a distanza di alcuni anni dall’abuso, quando ha iniziato a realizzare che il malessere che progressivamente lo stava devastando, era collegato all’abuso.
Cosa significa essere genitore di un ragazzino che subisce un abuso sessuale da parte di un sacerdote?
La frase di mio figlio di qualche giorno fa mi ha posto davanti, tutto in una volta, il ruolo che mio marito ed io abbiamo avuto per lui in questi lunghi anni, e che tuttora abbiamo.
Il livello di sofferenza che viene espresso è enorme, chi non ci è passato non può, per fortuna, capire fino in fondo.
E non sempre una vittima “può permettersi il lusso” di esprimere tutto il suo dolore, perché non sempre ha accanto qualcuno che lo possa accogliere.
Penso a tutte le famiglie che, per mille difficoltà, non hanno la possibilità di sostenere, supportare e sopportare, accogliere, gestire, comprendere e affrontare tutto quello che comporta vivere ogni giorno con chi ha subito un abuso. Parliamo di bambini e ragazzini che soffrono indicibilmente, che non hanno voce per dirlo, che esprimono un malessere che sembra inspiegabile ma che devasta ogni angolo della loro personalità.
Come si fa ad essere un genitore perfetto? Non si può. Ognuno fa quello che riesce, ogni famiglia ha la sua storia, le sue difficoltà e i suoi valori. Non si può generalizzare. Spesso il prete pedofilo sceglie i bambini o i ragazzini di famiglie già in difficoltà, di famiglie che non hanno risorse (e non parlo solo di risorse economiche bensì soprattutto psicologiche), famiglie che fanno parte di quella povertà silenziosa, discreta, onesta, che mai oserebbe pensare che un ministro di Dio, al quale magari hanno affidato il proprio figlio, possa fare tanto male. Il prete pedofilo sceglie la preda. A distanza di anni, e conoscendo altre vittime, ho approfondito questo pensiero.
E la famiglia si ritrova ancora più sola. Sola a dover gestire un immenso dolore, incompreso dai più.
Noi abbiamo avuto momenti di alti e bassi, spesso ci siamo ritrovati soli: solo i parenti stretti e pochi amici “che sapevano”.
Soffrire senza poter raccontare il proprio dolore, sapendo di non essere compresi quando si prova a farlo, non è facile.
La vita di chi subisce un abuso sessuale è una vita inevitabilmente in salita. E così anche la vita della sua famiglia.
Tutto questo finché non ci si decide: non deve più essere un “segreto”, si denuncia. Se ne può parlare, si può cominciare a uscire da un silenzio assordante.
Affiancare un minore che denuncia richiede un grande supporto, la famiglia deve essere attenta e disponibile praticamente 24 ore al giorno. E dunque anche la famiglia va aiutata.
Non ci siamo sentiti soli, è stato fondamentale chiedere aiuto, affidarsi. Questo non significa che la nostra fatica è stata attenuata, ma poterla condividere è stato importantissimo. Aiuti di diverso tipo abbiamo ricevuto: psicologici, spirituali, umani.
Uscire dalla solitudine è fondamentale.
Uno dei supporti maggiori l’abbiamo ricevuto da questa Associazione: poter parlare con qualcuno “che ci è passato” restituisce la certezza emotiva di sentirsi capiti in profondità, quella comprensione che non ha bisogno di tante parole o di tanti discorsi, quella possibilità concreta di sapere che “puoi contare su qualcun altro davvero”.
Essere un genitore che ha ricevuto tanto, fa nascere in me il desiderio e la disponibilità concreta di poter essere, senza ambizioni, un semplice strumento di ascolto e di vicinanza per altri genitori che, come me, si trovano ad affrontare un dolore così grande e profondo. Sarebbe bello, all’interno dell’Associazione, costituire un gruppo di auto-aiuto, di supporto, di ascolto, tra genitori; poter condividere qualcosa sapendo che, dall’altra parte, qualcuno ti capisce davvero. Chissà…
Una mamma (lettera firmata)
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