Diciamocelo onestamente: i preti non hanno mai perso quella malsana abitudine di sputare sentenze su comportamenti e scelte di vita altrui che non corrispondono con la loro visione dogmatica dell’esistenza.
Lo sanno bene i non credenti ancora oggi dipinti come individui dalla dubbia moralità e lo sanno molto bene anche altre categorie di persone come i gay e le donne che ricorrono a un’interruzione di gravidanza. Inutile sottolineare la diretta conseguenza di questi assunti religiosi. È sotto gli occhi di tutti che il loro gregge, specie quello più integralista e intransigente nostrano, si uniforma puntuale e acritico a pregiudizi ideologici da loro suggeriti. Abbiamo già dato conto di alcuni Pride divenuti addirittura oggetto di contromanifestazioni e preghiere riparatorie a supposti torti commessi nei confronti del Sacro cuore di Gesù.
Tanto per fornire ulteriori esempi concreti, è noto come ogni anno i fanatici no-choice non manchino di radunarsi alla Marcia per la Vita. Anche in queste occasioni, tra slogan che accusano i parlamentari italiani favorevoli a una legge sul biotestamento di “essere al servizio di Satana” e la negazione su base dogmatica di ogni diritto e libertà di scelta sul proprio corpo, il giudizio è ancora basato sugli anatemi religiosi. Inquietante e grottesco, occorre ribadirlo ancora una volta, è come questi convinti fedeli, abituali frequentatori di Family Day ed eventi affini, non solo non si pongano domande ma si nebulizzino fino a quasi dissolversi e scomparire di fronte a vicende ben più gravi.
La situazione che si è venuta a creare nelle settimane appena trascorse di là, in quella teocrazia guidata da quel papa Bergoglio per il quale tutti stravedono altrettanto acriticamente, ne è l’esempio lampante. Perché ben oltre gli eventuali “peccati” o lacondotta di atei e gay, che secondo i suoi criteri il clero giudica discutibile, quelli che sono emersi nelle cronache di questi giorni sono veri e propri delitti che hanno coinvolto le più alte sfere ecclesiastiche. Crimini anche reiterati nel tempo che, se negli ultimi decenni possono essere sfuggiti al popolo che abitualmente manifesta la “difesa dei veri valori cattolici”, di certo non sono sfuggiti alla magistratura. Abusi su minori e pedofilia sono infatti le parole chiave che in questi giorni hanno scosso — eccome! — la Chiesa.
Un problema, quello dei preti pedofili, che non solo non è stato risolto dopo la tanto celebrata “tolleranza zero” di Bergoglio, ma che è stato affrontato, come ha evidenziato — dati alla mano — anche lo storico inglese John Dickie, ricorrendo quasi esclusivamente a soluzioni di facciata o terribilmente tardive. Specie se si pensa al ruolo di fiducia che i sacerdoti ricoprono in contesti educativi a contatto con bambini e ragazzi e a maggior ragione in virtù degli infami crimini commessi a loro danno.
Per esempio, dovrebbe disgustare e portare alla protesta ogni credente il fatto che Bergoglio abbia ridotto allo stato laicale don Inzoli, fondatore del Banco Alimentare ed ex massimo dirigente di Comunione e Liberazione soprannominato “don Mercedes” per via del lusso in cui amava vivere, solo dopo un intero anno dalla sua condanna a 4 anni e 9 mesi per abusi sessuali su minori. Così come dovrebbe suscitare forti reazioni di sdegno anche l’intitolazione di un oratorio nella cittadina di Faiano, a don Giuseppe Salomone, condannato per pedofilia e per aver abusato di due ragazzine 12enni. E se i clericali non scendono in piazza nauseati dai dettagli emersi in queste vicende, allora che dire di dell’altro caso che vede coinvolto il cardinale George Pell, numero tre nella scala gerarchica della Chiesa Cattolica, incriminato formalmente dalle autorità australiane non solo per aver coperto in modo sistematico i preti pedofili nella sua diocesi, ma anche per uno stupro da lui stesso commesso? Giusto per fornire la misura della gravità, George Pell è uno dei nove cardinali più influenti della Chiesa, nominato consigliere per la riforma della Curia romana nel 2013 e alla Segreteria economica del Vaticano nel 2014 dallo stesso Begoglio, quando era già sotto indagine per i crimini che oggi gli vengono contestati. La constatazione plateale di quanto Bergoglio, bravissimo a parole, nel dare seguito ai fatti non è tanto diverso dai suoi predecessori.
Benché siano poche le voci intonate in un coro di scordati irrecuperabili, il trambusto generato dalle incriminazioni nei confronti del cardinale Pell ha offerto la sponda e l’opportunità ad alcuni parlamentari italiani per sollecitare una loro mozione per il superamento di una norma inserita nel Concordato. Si tratta dell’esenzione concordataria, concessa a tutto il clero cattolico dall’obbligo di fornire informazioni alle autorità civili e ai magistrati su persone e materie di cui sono venuti a conoscenza durante l’esercizio del loro ministero. In buona sostanza, la possibilità di non denunciare anche quei comportamenti criminali che coinvolgono preti pedofili.
In conclusione, se l’asservimento dei rimanenti parlamentari italiani alla Chiesa resterà pari a quello di certi fedeli, i quali si adoperano in manifestazioni liberticide contro aborto, eutanasia o gay, ma con doppiezza e altrettanta ipocrisia si voltano dall’altra parte di fronte ai pedofili nel clero; se la politica, anche quella che si dice più vicina alle istanze sociali, continuerà a cercare ispirazioni in un papa dalle tante inconsistenti parole alle quali non seguono mai azioni concrete; se gli individui vogliono continuare a dirsi liberi, vivere e costruire una società altrettanto libera, dignitosa e civile, allora saranno la realtà dei fatti, la ragione e soprattutto il loro spirito critico gli unici strumenti ai quali dovranno ricorrere. Strumenti umani che quasi mai seguono moralismi, bigotti preconcetti, o anatemi religiosi.
Paul Manoni
http://www.agoravox.it/Pedofilia-nel-clero-e-il.html
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