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Preti pedofili: contro i vescovi negligenti, il pugno di ferro di papa Francesco

Redazione Web by Redazione Web
13 Giugno 2016
in Città del Vaticano
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Home Città del Vaticano
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38578 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Chissà quanti sono i vescovi che, alle prese con casi di pedofilia dei sacerdoti nelle loro diocesi, da qualche giorno si sentiranno malfermi sulle loro sedie episcopali. Si potrebbe supporre non siano pochi, dato che il fenomeno degli abusi sembra non aver risparmiato un lembo del globo terracqueo. A segare le gambe delle loro cattedre è intervenuto, com’è ormai noto, un decreto di papa Francesco, con data 4 giugno 2016, un motu proprio dal titolo di velluto, Come una madre amorevole, per un contenuto di ferro: la rimozione forzata dei vescovi che, di fronte agli abusi sessuali dei loro preti, siano o siano stati negligenti nell’intraprendere misure atte a bloccarne la reiterazione e a punire il colpevole.

«Il Diritto canonico – premette il papa in apertura di decreto (di soli cinque articoli) – già prevede la possibilità della rimozione dall’ufficio ecclesiastico “per cause gravi”: ciò riguarda anche i vescovi diocesani, gli eparchi e coloro che ad essi sono equiparati dal diritto» (ovvero i superiori maggiori degli Istituti religiosi e delle Società di vita apostolica di diritto pontificio). Tutto già codificato nel can. 193 §1 del Codice di Diritto Canonico e nel can. 975 §1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, ma non basta: «Con la presente Lettera – motiva con fermezza il pontefice – intendo precisare che tra le dette “cause gravi” è compresa la negligenza dei vescovi nell’esercizio del loro ufficio, in particolare relativamente ai casi di abusi sessuali compiuti su minori ed adulti vulnerabili». E, di nuovo, non basta: rammentando che il «vescovo diocesano o l’eparca può essere rimosso solamente se egli abbia oggettivamente mancato in maniera molto grave alla diligenza che gli è richiesta dal suo ufficio pastorale, anche senza grave colpa morale da parte sua», prescrive che «nel caso si tratti di abusi su minori o su adulti vulnerabili è sufficiente che la mancanza di diligenza sia grave».

In caso «appaiano seri indizi» di tali manchevolezze, «la competente Congregazione della Curia romana può iniziare un’indagine in merito, dandone notizia all’interessato e dandogli la possibilità di produrre documenti e testimonianze». E «qualora ritenga opportuna la rimozione del vescovo, la Congregazione stabilirà, in base alle circostanze del caso», se «dare, nel più breve tempo possibile, il decreto di rimozione» o «esortare fraternamente il vescovo a presentare la sua rinuncia in un termine di 15 giorni. Se il vescovo non dà la sua risposta nel termine previsto, la Congregazione potrà emettere il decreto di rimozione», la quale tuttavia sarà sottoposta «all’approvazione specifica» del pontefice, assistito da «un apposito Collegio di giuristi, all’uopo designati».

Cardinali e vescovi sotto indizio di negligenza

Avrà un bel da fare la «competente Congregazione della Curia» (non specificata; Radio Vaticana la cita aggiungendo fra parentesi «vescovi, Evangelizzazione dei Popoli, Chiese orientali, Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica»), perché «seri indizi» necessari per iniziare un’indagine sono emersi per non pochi prelati, che, se innocenti, è bene primario siano “assolti” da sospetti di negligenza o altro. Qualche nome, fra i casi di cui si è parlato recentemente, anche su Adista, relativamente ad episodi di presunta copertura di reati commessi anni addietro e da tempo riferiti dalla stampa.

L’australiano card. George Pell ha ammesso davanti alla Royal Commission australiana, nell’inchiesta riguardante fra l’altro il suo ruolo e le sue responsabilità di copertura di casi di pedofilia tra gli anni ‘70 e ‘80, di non aver dato seguito alla denuncia di uno studente che accusava p. Edward Dowlan, prete insegnante in una scuola cattolica, di «comportarsi male con i bambini». «Ne parlò di sfuggita durante la conversazione – ha minimizzato il cardinale – non mi ha chiesto di fare nulla». Dowlan è stato poi condannato per aver abusato di 20 bambini in sei diverse scuole, a partire dal 1971. Ma Pell non pare sentirsi in colpa e ha contestualizzato il suo comportamento: «Con l’esperienza di quarant’anni dopo – ha detto – sono certamente d’accordo che avrei dovuto fare di più». «Non ne feci nulla» (v. Adista Notizie n. 12/16).

Il patriarca maronita del Libano Béchara Raï ha difeso in pubblico, come peraltro davanti al papa, il sacerdote della diocesi di Beirut, Mansour Labaki (che gode del titolo onorifico di “monsignore”), già condannato il 23 aprile del 2012 per reati di pedofilia e di crimen sollicitationis durante la confessione, perpetrati su ragazze minorenni. La condanna fu confermata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, nel giugno 2013, rigettando il ricorso presentato dall’“orco” abusatore. Il patriarca libanese ha fra l’altro affermato che «tutti i documenti» consegnati a papa Francesco «mostrano quante menzogne e falsità sono state inventate ai danni di questo uomo». Labaki sarebbe vittima, secondo il patriarca, di una «campagna diffamatoria» (v. Adista Notizie n. 13/16). All’inizio di maggio, è stato emesso contro il sacerdote libanese un mandato di cattura internazionale, perché, adducendo motivi di salute, non si è presentato al processo per crimini sessuali commessi in Francia (v. Adista Notizie n. 17/16). L’indagine potrebbe o dovrebbe riguardare anche il vescovo di Beirut, mons. Paul Matar. Il quale per esempio non ha mai pubblicato sul bollettino della diocesi le sentenze ecclesiali contro Labaki.

Il card. Bernard Francis Law è stato arcivescovo metropolita di Boston dall’11 gennaio 1984 al 13 dicembre 2002, quando è stato costretto a dimettersi in seguito allo scandalo dei preti pedofili per non aver denunciato pubblicamente i sacerdoti coinvolti. In una dichiarazione diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede, il card. Law manifestò la speranza che il suo allontanamento potesse «aiutare l’archidiocesi di Boston a trovare la cura, la riconciliazione e l’unità, di cui ha così disperatamente bisogno. A tutti quelli che hanno sofferto per le mie mancanze ed errori, domando scusa e imploro il loro perdono» (v. Adista n. 91/02). Dal 27 maggio 2004 al 21 novembre 2011 è stato arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore.

Contro l’arcivescovo di Lione card. Philippe Barbarin è stata recentemente depositata una denuncia con l’accusa di aver coperto due preti pedofili. Il cardinale ha negato qualsiasi addebito: «Non ho mai nascosto alcun caso di pedofilia», ha affermato per mezzo di un comunicato stampa della diocesi. «Pur comprendendo il dolore di ogni persona vittima di atti tanto più inammissibili perché commessi da un prete», ha spiegato di non poter «non manifestare la sua profonda incomprensione» di fronte alla denuncia sporta contro di lui, chiedendo «solennemente che si lasci la giustizia indagare con serenità» (v. Adista Notizie nn. 8 e 12/16). Il 25 aprile, parlando al clero lionese, ha riconosciuto «errori della gestione e nomina di certi preti», chiedendo comunque perdono alle vittime. L’8 giugno è stato ascoltato per 10 ore nel quadro dell’inchiesta giudiziaria preliminare.

Il card. Juan Luis Cipriani, arcivescovo di Lima dell’Opus Dei, all’inizio dello scorso aprile, è stato citato in giudizio da un Tribunale provinciale penale peruviano per non aver denunciato gli abusi sessuali sui minori commessi da Fernando Figari, fondatore nel 1971 della Società di vita apostolica Sodalitium Cristianae Vitae, e da altre persone della stessa istituzione. Risultano indagati ancheVíctor Huapaya Quispe, vicario giudiziale e presidente del Tribunale ecclesiastico dell’arcivescovato di Lima, e Enrique Elías Dupuy, procuratore di Sodalitium. Secondo una denuncia presentata dall’Istituto per la Difesa dei diritti del Minore, il cardinale, in qualità di moderatore del Tribunale ecclesiastico, era a conoscenza, fin dal 2011 (v. Adista Notizie nn. 11, 12 e 71/11), delle violenze sessuali e psicologiche subite da quattro persone e non avrebbe fatto nulla né per investigare né per prevenire che il delitto si ripetesse (v. Adista Notizie n. 15/16).

Il card. Angelo Sodano ha svolto il ruolo di Segretario di Stato, su nomina di Giovanni Paolo II, dal 29 giugno 1991 al 15 settembre 2006. È stato un sostenitore di Marcial Maciel, il sacerdote messicano fondatore dei Legionari di Cristo, condannato dalla Santa Sede nel 2006 per gli atti di pedofilia compiuti su seminaristi della sua congregazione e per averne successivamente assolti alcuni in confessione, delitto punito dal diritto canonico con la scomunica latae sententiae. Destinatario, negli anni, di donazioni milionarie da parte di Maciel, che cercava protezione a Roma, Sodano, ancora nel novembre 2008, dunque due anni dopo la condanna vaticana, e dopo la morte di Maciel, invitava seminaristi e sacerdoti della Legione, nella sede della direzione generale dei Legionari di Cristo a Roma – in occasione del 64° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Marcial Maciel – a mantenere viva la devozione per il loro fondatore: «Dobbiamo avere grande venerazione per il nostro fondatore, se siamo tutti peccatori… Si può affermare: guarda com’è infangato l’anello del cardinale, ma è stato un momento; un diamante è sempre un diamante, quindi posso concludere che mi pare che il piano di Dio per la Legione è che essa continui». A quell’incontro prese parte, fra gli altri, il card. Franc Rodé, anch’egli estimatore di Maciel. Queste alcune sue frasi: «Non dovete giudicare padre Marcial, verrebbe frainteso, lasciate il giudizio al Signore, spetta a Lui. Un fondatore può avere debolezze, anche difetti sul piano psicologico, intellettuale e persino morale, e in questo caso se vivono debolezze sul piano morale, ciò che si impone è la misericordia, la comprensione».

E veniamo ad uno dei vescovi più invisi agli stessi suoi fedeli: mons. Juan de la Cruz Barros, vescovo di Osorno, in Cile, accusato di complicità con il prete Fernando Karadima (condannato in sede di giustizia civile e dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per abusi sui minori), o quanto meno di averlo coperto (ma, da taluno, anche di aver partecipato ad atti di abuso sessuale su minori; v. Adista Notizie nn. 4, 10, 13, 14, 26 e 35/15). Il papa è però convinto dell’innocenza di Barros: lo ha nominato malgrado la contrarietà di laici e preti della sua diocesi e di cileni di altre diocesi (compresi 51 parlamentari nazionali). In un audio “carpito” a Bergoglio mentre parlava con fedeli sostenitori di Barros, lo si sente dire: «L’unica accusa contro il vescovo è stata screditata giudizialmente, perciò non perdano la serenità». «Io sono il primo a castigare e giudicare qualcuno che ha ricevuto accuse di questo tipo, ma in questo caso non c’è prova, al contrario; ve lo dico di cuore». «Osorno soffre, ma per una sciocchezza, perché non apre il cuore a quello che Dio dice e si lascia trascinare dalle frottole che tutta questa gente dice». E ancora: «La Chiesa ha perso la libertà facendosi riempire la testa da politici, giudicando un vescovo senza alcuna prova, dopo 20 anni che è vescovo».

* Fotografia di Frang2823, tratta dal sito Wikimedia Commons, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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