I preti pedofili “sono un pericolo sociale, dunque la Chiesa non può esimersi dal compiere i passi necessari”. Lo afferma padre Giuseppe Crea, missionario comboniano e psicoterapeuta, in un’intervista al Servizio Informazione Religiosa della Cei. Anche se le nuove norme impongono la riduzione allo stato laicale, ci sono sacerdoti condannati per abusi dai tribunali civili, che chiedono di poter restare preti, come se tale condizione fosse necessaria alla loro salvezza, mentre è vero esattamente il contrario. “Il vescovo – spiega padre Crea – continua a essere capace di discernere quale sia la volonta’ di Dio. Non e’ soltanto questione di mannaia, ma di intravedere il progetto di salvezza per un individuo profondamente malato. Molte volte queste persone si sono rifugiate nella Chiesa. Capire che se ne devono andare, significa rispondere al progetto di Dio”.
Secondo padre Crea, “la Chiesa continua a essere madre, anche quando decide che non c’è più posto per loro”.
Autore di numerose pubblicazioni, padre Crea ha recentemente dato alle stampe il volume “Tonache ferite” per le Edizioni Dehoniane: “La Chiesa ha le strutture per garantire la prevenzione e l’accompagnamento delle persone in difficoltà. Le comunità sono luogo eletto di formazione. Non bisogna dimenticarlo, soprattutto quando i confratelli stanno male”.
Alla domanda del Sir “Quanti sono i consacrati in difficoltà? Qual è l’incidenza rispetto alla popolazione?”, padre Crea ha risposto: “Le percentuali sono minime, la stragrande maggioranza di sacerdoti e religiosi non rientra in queste dinamiche disfunzionali”. Alcune forme di disagio, però, sono caratteristiche della vita religiosa: “Soprattutto quelle a livello relazionale. Gli affetti sbilanciati portano a essere troppo centrati su se stessi o sugli altri. I religiosi possono faticare a riconoscere la propria identità. La capacità di una sana dedizione agli altri – precisa padre Crea -,permette invece di ricaricarsi ed essere equilibrati nella comunità”. D’altra parte, le cattive modalità relazionali verso l’esterno si ripercuotono anche all’interno della comunità: “Talvolta si può cadere in una dipendenza dagli altri membri o in manifestazioni di grande aggressività. Quel che non si trova dentro, lo si va a cercare fuori. E viceversa”. Questo vale anche per i sacerdoti diocesani, che se sperimentano difficoltà nel presbiterio possono isolarsi e soffrire la vita pastorale.
Selezione dei seminaristi e direzione spirituale. “Occhi aperti sulle ammissioni nei seminari”, come ha chiesto Papa Francesco denunciando il rischio che la carenza di vocazioni porti ad abbassare il livello di guardia. “Più che di un rischio – sottolinea padre Crea – parlerei di un dato di realtà. La mancanza di persone con cui discernere, alimenta l’incertezza. Se i candidati sono pochi prima di dire no a una persona ci si pensa centinaia di volte”. Talvolta, poi, la cura del malessere psicologico non è affidata a un esperto del settore ma demandata al direttore spirituale: “Quante volte ho sentito dire: ‘Speriamo che Dio intervenga, speriamo che possa stringere i denti e andare avanti…’. Così si rimanda soltanto l’escalation. Le categorie spiritualizzanti fanno parte della malattia e sono talmente insidiose che possono apparire una risorsa salvifica, nascondendo il malessere che invece provocano nell’individuo e nell’istituzione”. Ma per padre Crea, “spiritualizzare il problema significa dilazionarlo nel tempo. Nelle nostre comunità siamo pieni di queste situazioni. La direzione spirituale è fondamentale ma dobbiamo essere vigili perché non diventi l’espediente per spostare l’attenzione altrove”.
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