LOS ANGELES – Il film sul caso Spotlight ha vinto l’Oscar nella categoria miglior film. Josh Singer e Tom McCarthy hanno vinto il premio Oscar per la miglior sceneggiatura nel film. Il film parla di uno scoop giornalistico sul caso dei preti pedofili. La storia è ambientata negli Stati Uniti, ma diventa uno spunto di riflessione anche per il giornalismo di casa nostra. Ad esempio, Emiliano Fittipaldi de L’Espresso (che ha scritto un libro che ha di fatto dato il via a Vatileaks), ha scritto su Facebook: In Usa i giornalisti che hanno indagato e scoperto i preti pedofili hanno prima vinto il Pulitzer, e oggi il film sulla loro storia l’Oscar. In Italia i giornalisti d’inchiesta vengono ignorati, più spesso incriminati dai giudici italiani e qualche volta, come nel caso mio e di Nuzzi, processati da quelli vaticani. Solo per aver scritto fatti veri e accertati. Anche l’Osservatore Romano ha voluto commentare questo premio: Spotlight “non è un film anticattolico perché il cattolicesimo in sé non viene neppure toccato” ma “indiscutibilmente è un film che ha il coraggio di denunciare casi che vanno condannati senza alcuna esitazione”. Così il giornale della Santa Sede commenta la decisione di assegnare l’Oscar per il miglior film alla pellicola che racconta la vicenda dei preti pedofili, partendo dal caso di Boston. Per la storica Lucetta Scaraffia, alla quale il giornale affida il commento sul film, Spotlight “ha una trama avvincente”, “non è un film anticattolico” e “riesce a dare voce allo sgomento e al dolore profondo dei fedeli davanti alla scoperta di queste orribili realtà”. Seicento articoli, 1000 casi di bambini vittime di abusi sessuali e psicologici, 70 preti pedofili, una storia che comincia decenni prima e che viene fuori solo nel 2002 con uno scandalo mondiale dovuto alla super inchiesta del Boston Globe. Il pool di giornalisti investigatori, che lavorano insieme in una newsroom intitolata Spotlight, tenaci, senza fretta, testardi, a schiena dritta, coraggiosi, vince il Pulitzer. Più o meno un caso Watergate sulla omertosa chiesa americana in fatto di pedofilia. E esattamente come fu per l’inchiesta di Bob Woodward e Carl Bernstein del Washington Post, la bella lezione di giornalismo come si deve arriva al cinema: è Il Caso Spotlight. Il film diretto da Tom MacCarthy e con un gran cast in cui spiccano Michael Keaton, Mark Ruffalo e Stanley Tucci. I colleghi del pool di Spotlight, cani sciolti del Boston Globe, lavorano senza orari e senza l’incubo del pezzo del giorno dopo, martellano le fonti, consultano i documenti in biblioteca, bussano alle porte di probabili testimoni in un giogo concentrico che vuole, da un singolo caso di denuncia di molestie, capire se c’e’ un sistema piu’ grande, un coinvolgimento di istituzioni e gerarchie, un’omertà colpevole. E scoprono tassello dopo tassello nel corso di mesi tutto questo e oltre, compresi documenti pubblici secretati contro le leggi, accordi sottobanco con l’arcidiocesi di Boston e soprattutto, cosa che ha creato scandalo mondiale, la copertura colpevole del cardinale di Boston, Bernard Law, che sapeva da sempre e comprava i silenzi semplicemente spostando i preti pedofili da una parrocchia all’altra o mettendoli temporaneamente in malattia. Ritmo incalzante e una sceneggiatura che fa centro riuscendo a non perdersi dietro il filo delle tante singole storie. Michael Keaton è il caporedattore della sezione Spotlight, Stanley Tucci l’avvocato armeno che difende le vittime ma non vuole finire in prima pagina, Rachel McAdams una giornalista appassionata e compassionevole che riesce ad entrare empaticamente in contatto con chi vorrebbe dimenticare il passato di molestie, mentre Mark Ruffalo è il cronista mastino che non si ferma davanti a nessun no. Liev Schreiber interpreta il neodirettore del giornale. E’ ebreo, viene da Miami, di Boston ha solo la mappa per orientarsi e alla prima riunione spiega cosa vuole dai suoi: rendere il giornale indispensabile ai lettori con inchieste e approfondimenti.
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