Di certo sta cominciando a fare sorridere la vicenda di don Francesco e il susseguirsi di apparizioni, sparizioni, dichiarazioni prive di documentazione e presunte smentite. Ma cerchiamo, documenti alla mano di fare chiarezza su questa storia e sulle rocambolesche dichiarazioni della diocesi di Civitavecchia – Tarquinia.
Partiamo dal fantomatico avviso di garanzia che secondo la Diocesi sarebbe stato notificato al presidente della Rete L’ABUSO, una notizia presa da Facebook che nulla ha a vedere con la vicenda di don Rutigliano e che con estrema malafede e superficialità la Diocesi ha ben pensato di usare nel tentativo di scagionare il sacerdote, il quale, al momento non risulterebbe aver sporto alcuna querela.
C’è poi il decreto di condanna della Congregazione per la Dottrina della Fede, dietro al quale don Rutigliano risulta essere ancora residente presso il Santuario dell’amore misericordioso di Collevalenza di Todi, struttura che notoriamente è adibita ad ospitare sacerdoti che hanno avuto problematiche come quella contestata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a don Francesco Rutigliano.
A questo decreto si aggiungerebbe un successivo documento datato 2012, miracolosamente apparso ieri ma per ora mai visto da nessuno, mai citato nei carteggi tra l’avvocato della Rete L’ABUSO Sergio Cavaliere e l’avvocato di don Rutigliano.
Di questo documento non vi è traccia neppure nella denuncia che don Rutigliano ha fatto al Garante per la Protezione dei Dati Personali, al quale in compenso don Rutigliano avrebbe fornito una smentita ai diversi articoli pubblicati nel 2011 da Calabria Ora. Peccato che quella smentita datata 2008, non riguardi la condanna a lui inflitta ben tre anni dopo.
Non di minore importanza il fatto che don Rutigliano, scrivendo al Garante si appelli alla legge sull’oblio, circostanza anomala in quanto ci si appella alla legge sull’oblio nel caso di una effettiva condanna e non quando di condanne non ce ne sono. Questa circostanza quindi conferma ulteriormente che una condanna c’è stata.
Durante la notte ci è pervenuta anche una lettera di don Ivan Leto, il quale prende le distanze dai fatti che vedono coinvolto don Rutigliano, suo vice, e ci rimprovera di non averlo interpellato prima di pubblicare sul nostro sito web le sue dichiarazioni pubbliche.
Che dire, neanche la Diocesi ha interpellato la Rete L’ABUSO prima di divulgare un comunicato stampa nel quale si sostiene che il Presidente della Rete L’ABUSO è stato raggiunto da un avviso di garanzia per la vicenda di don Rutigliano, affermazione tra le altre cose totalmente falsa e tendenziosa dietro la quale la diocesi accuserebbe noi di abuso della credulità popolare.
Nel medesimo comunicato la Diocesi dichiara che Zanardi “non risulta nuovo in simili iniziative a danno dei sacerdoti”, cosa non strana dal momento che la Rete L’ABUSO opera in questo settore.
La Diocesi, al tempo stesso dimentica di dire che tutte le querele fatte da parte di membri del clero nei confronti di Zanardi o della Rete L’ABUSO, fino ad ora sono state o ritirate, o ricusate dai pubblici ministeri che hanno rinviato a giudizio per calunnia nei confronti di Zanardi i querelanti, oppure archiviate. Un dettaglio non da poco direi.
Che altro dire, resta l’amaro in bocca nel vedere che in alcune situazioni, membri dello stesso clero non vogliano riconoscere atti ufficiali emanati dai propri organi giudiziari e che questi atti ufficiali vengano contestati verbalmente, affermando dal nulla che esistano atti successivi a quel decreto di condanna del 2011 che però nessuno ha mai visto e citato fino ad ora.
La vicenda è venuta fuori malgrado il tentativo di insabbiamento e censura, invitiamo a rendere pubblici gli atti che la Diocesi dice di aver depositato, omettendo ovviamente le generalità della vittima e degli altri soggetti riconoscibili.
L’Ufficio di Presidenza
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