Diversi casi in poche settimane scuotono la Puglia. Un gruppo di cattolici brindisini chiede alla Santa sede di istituire una commissione di inchiesta su scala nazionale.
Una commissione diocesana di inchiesta sui casi di pedofilia da parte del clero. Lo chiede all’arcivescovo di Brindisi-Ostuni, mons. Domenico Caliandro, un numeroso gruppo di cattolici brindisini riuniti nel cartello “Manifesto 4 ottobre” – un ampio documento che, a partire dall’analisi della Chiesa diocesana, conduce una riflessione complessiva sullo stato di salute della Chiesa cattolica italiana (v.Adista Notizie n. 41/14) -, in seguito al recente scandalo che ha investito l’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni.
Il caso don Peschiulli
Lo scorso 20 maggio, infatti, don Giampiero Peschiulli, ex parroco di Santa Lucia, a Brindisi, è stato posto agli arresti domiciliari con l’accusa di abusi sessuali su alcuni minori (che sarebbero stati compiuti intorno al 2002). Il caso venne sollevato da un servizio televisivo delle Iene, mandato in onda nell’ottobre 2014, che fece scattare le indagini ed ora l’arresto cautelare (perché il prete, lasciata la parrocchia brindisina, si era trasferito a Terracina, in provincia di Latina, dove continuava ad esercitare il ministero). Nei giorni scorsi è stato ascoltato dal pubblico ministero anche l’ex vescovo di Brindisi, mons. Rocco Talucci, come persona informata sui fatti: i genitori di alcuni minori abusati hanno infatti raccontato ai magistrati di avere informato mons. Talucci dei comportamenti di don Peschiulli, ma il vescovo avrebbe ignorato le loro denunce. Sulla vicenda è intervenuto anche l’attuale arcivescovo di Brindisi-Ostuni, mons. Caliandro, con una nota diramata il 20 maggio, giorno dell’arresto di don Peschiulli: «In seguito agli sviluppi del procedimento penale che ha coinvolto un ex parroco della città di Brindisi, l’arcivescovo mons. Caliandro, sulla base degli elementi finora emersi, manifesta anzitutto la sua sincera partecipazione alla sofferenza di chi avesse subito azioni così riprovevoli. Ove accertati fatti del genere, la ferita inferta alla dignità umana e cristiana delle vittime è veramente grave, ancor più se proviene da chi avrebbe dovuto custodirle e farle crescere nel bene. Se un sacerdote cade in questi comportamenti tradisce la sua missione. Ciò è motivo di grande tristezza per tutti. L’arcivescovo invita i fedeli a intensificare la preghiera e l’impegno affinché il male non abbia mai l’ultima parola. Al tempo stesso desidera incoraggiare le singole comunità cristiane della diocesi, dove tanti sacerdoti, fedeli alle loro promesse, danno la vita ogni giorno per il bene delle anime».
La Chiesa continua a minimizzare
«Lo scandalo della pedofilia, soprattutto quella sacerdotale, è per la società e soprattutto per la Chiesa una storia tristissima e una ferita che si riapre, dopo ogni fatto di cronaca che la magistratura e la stampa mettono a conoscenza di tutti», scrivono i cattolici brindisini del “Manifesto 4 ottobre”. Ma della questione pedofilia, proseguono, «all’interno della Chiesa si danno ancora troppo spesso letture banali e difensive e si è ben lontani dall’assunzione di responsabilità comuni e dalla consapevolezza che la corruzione sessuale di minorenni è di solito l’ultimo anello di una catena di scandali. Si ritiene che gli scandali legati alla pedofilia debbano essere minimizzati perché sarebbero pochi in relazione alla collettività dei sacerdoti; non si prova abbastanza vergogna per essi; oppure si ha un atteggiamento vittimistico per cui sarebbe stata la stampa ad enfatizzare il fenomeno; oppure si pensa che i soggetti che li commettono sono casi patologici. Tutte letture che ci portano lontano dal riconoscimento di quanto è successo e della sua gravità e alla certezza che dopo qualche giorno dalla notizia inizierà un processo di “rimozione collettiva” ecclesiastica».
Secondo i cattolici del “Manifesto 4 ottobre”, grazie agli interventi di Benedetto XVI prima e di papa Francesco adesso, la Chiesa sta affrontando con maggior decisione la questione pedofilia. Ma non ovunque. In Italia per esempio, diversamente da altri Paesi (Irlanda, Belgio, Usa, Australia, Olanda, Germania), «non è mai nemmeno stata ipotizzata la possibilità di istituire una commissione d’inchiesta a livello nazionale che facesse luce quanto meno sulle dimensioni del fenomeno. Eppure una mappatura sarebbe utilissima per organizzare un serio lavoro di prevenzione sul territorio che manca completamente e dare forma concreta alla “tolleranza zero” invocata prima da Benedetto XVI e poi da papa Francesco» (in realtà il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, al termine del Consiglio episcopale permanente dello scorso mese di marzo, ha annunciato che la Cei creerà una commissione per la protezione dei minori, guidata dal card. Angelo Bagnasco, ma della stessa non sono ancora stati individuati i componenti né elaborato lo Statuto). «Inoltre», proseguono, «nelle “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici” pubblicate dalla Cei il 28 marzo 2014 (v. Adista Notizie n. 14/14, ndr) non è previsto che i vescovi italiani denuncino alla magistratura italiana i presunti casi di pedofilia».
Una Commissione di inchiesta antipedofilia
«Se non sorge una nuova mentalità, una nuova sensibilità e una nuova prassi ecclesiale; se la sensibilità verso le vittime non porta alla creazione di ambienti sicuri per i minori; se da una parte si afferma che “i bambini hanno diritto a crescere in un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva” (card. Bagnasco, prolusione alla Cei del 20 maggio 2015) e dall’altra non si chiudono i seminari minori, anche secondo la richiesta formulata ufficialmente alla Santa Sede il 5 febbraio 2014 a Ginevra dalla Commissione Onu per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; se continua una cultura omofobica con l’aggravante della confusione, spesso voluta, tra pedofilia e omosessualità; se il tema-problema del celibato continua ad essere un tabù per gli stessi preti, questi eventi terribili non saranno serviti a nulla e potrebbero continuare», scrivono i cattolici del “Manifesto 4 ottobre”, che chiedono che perlomeno la loro arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, pressata dal caso don Peschiulli, si muova con decisione: «Essere inerti – concludono -, lasciare passare la bufera, non prendere altre iniziative, oltre ad un breve comunicato stampa di incoraggiamento della comunità diocesana, significa far sprofondare sempre più nel baratro la Chiesa brindisina. In Italia due diocesi, in seguito a denunce di pedofilia, che peraltro erano rimaste inascoltate per anni, hanno deciso di istituire una commissione d’inchiesta: Bressanone e Verona. Chiediamo all’arcivescovo, in spirito di collaborazione, per il bene della Chiesa tutta, se non sia opportuna una iniziativa similare anche per la nostra Chiesa locale».
Luca Kocci, Adista
http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=74470&typeb=0
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