“Quelle molestie in vacanza in montagna con i salesiani quarant’anni fa”
Enrico Simone a 53 anni ha deciso di parlare: “Allora non potevo farlo: i miei genitori avevano fiducia nei loro metodi educativi”. Nella colonia estiva in montagna i due sacerdoti venivano nella mia stanza di notte. Provavo disagio, vergogna e paura”
“Avevo solo 14 anni. Ricordo come fosse oggi tutti i particolari: i calzoni di velluto alla zuava, a coste larghe, che i due sacerdoti Salesiani portavano quelle sere, le bretelle, insieme a una camicia a scacchi larghi. La musica degli Uriah Heep, Genesis e Jethro Tull che il ‘prefettò che doveva sorvegliarci a quel piano della ‘Bel Bosco’, come la chiamavamo, ascoltava. La casa salesiana di Fiéry, sopra Champoluc, in Valle d’Aosta, la raccolta dei minerali per il Museo Don Bosco, le partite di calcio in un bellissimo prato, le tisane la sera e la natura magnifica.
E le mani di quei due sacerdoti che, uno alla volta, venivano nella mia stanzetta per parlarmi di quanto bene avessero conosciuto mio padre Franco ed i miei due fratelli prima di abbracciarmi e poi spingermi verso il letto tentando di infilarle nel mio pigiama e toccarmi nelle mie parti intime. Parti che io non sapevo neppure di avere. Che cosa provavo? Disagio, vergogna. Ma soprattutto puro terrore. Avrei voluto chiudermi dentro, ma era impossibile. E avevo soggezione di loro”.
Enrico Simone oggi ha 53 anni, e da quasi undici vive a Londra, dove un programma terapeutico che durerà per il resto della sua vita lo ha aiutato ad arrestare la sua condizione di dipendenza da stupefacenti. Racconta seduto nella hall di un grande albergo del centro di Torino: non è più un ragazzino, ma il sorriso e la disinvoltura, la camicia bianca e i mocassini da barca sono ancora quelli, con in più un’ombra negli occhi. Racconta la sua storia di ex bambino che giocava con i soldatini e non sapeva nulla del sesso, la storia di una vittima che diventa un cattivo ragazzo, e solo molto tempo dopo un uomo consapevole. Una storia di “ordinari” abusi troppo a lungo taciuti e mai dimenticati, una storia che potrebbe capitare a chiunque, e trasmette un’inquietudine sottile.
Oggi Enrico è sposato, lavora, attivamente coinvolto nel programma dei 12 passi che lo ha aiutato a rinascere, continua a frequentare come paziente la comunità di Charter Harley Street. Sono passati quarant’anni da quando i due sacerdoti, oggi entrambi scomparsi, avrebbero abusato di lui nella casa di vacanze estiva di Fiéry, sopra Champoluc, collegata a Valdocco, la centrale salesiana di Torino, e al liceo Valsalice ambedue frequentati da Enrico, dal padre, professore insigne di letteratura francese, e dai fratelli, mentre la madre insegnava a Maria Ausiliatrice. Enrico era uno di quei rampolli della Torino bene che amava, e ancora ama, affidare i suoi figli ai metodi educativi di don Bosco.
Signor Simone, perché parlare dopo quarant’anni? Si aspetta un risarcimento? Una causa legale?
“Nulla di tutto questo. Ho deciso di parlare perché, d’accordo con il mio rehab (la sua comunità, ndr), abbiamo deciso che era il momento giusto. Penso che faccia parte del mio recupero, anche se non è possibile cancellare quello che è successo. Ho imparato che se non parlo dei miei demoni li lascio crescere dentro di me. Se non sto attento questo potrebbe essere il motivo perfetto per ricadere. La squisita scusa morale. Quei fatti, come altri che mi sono capitati nell’adolescenza, hanno segnato profondamente la mia vita. Bel Bosco non fu il solo esempio di fiducia mal riposta. Negli stessi anni venivo abitualmente molestato da un collaboratore di mio padre, in casa mia in Corso Stati Uniti. Come molti bambini vittime di abusi, ho creduto che in qualche modo fosse anche colpa mia, ho immaginato che se quelle brutte cose capitavano a me, e per quel che ne sapevo soltanto a me, ci fosse un motivo: ero più stupido, più incapace… Così, ho rinunciato a essere come gli altri, ho rinunciato a studiare e ho preso la strada sbagliata. L’eroina, il più potente narcotico al mondo, fu per me la scelta più ovvia per non soffrire più. Non cerco giustificazioni, oggi una strada l’ho trovata, giorno per giorno. Ho imparato che non tutte le vittime di abusi sessuali finiscono come me. Tanti dimenticano o fan finta di aver dimenticato. Ci ridono sopra. Ma mi piacerebbe che qualcuno riflettesse ascoltando questa storia. E magari ascoltasse con più attenzione l’ansia o la paura dei propri figli senza fare spallucce. Senza dire ‘shit happens’, succede. No, non si può perdonare”
I suoi genitori non l’hanno ascoltata?
“Mio padre non seppe mai. Lo raccontai a mia madre anni dopo ma era talmente sconvolta dalle mie condizioni che non mi credette. Non voglio accusarli. Mio padre è morto quando avevo 16 anni, era un grande studioso, ed era totalmente innamorato dei metodi salesiani con i quali si era formato a Fossano in collegio, metodi che cercava di applicare perfino ai suoi studenti a Palazzo Nuovo ad Harvard e Yale. Mia madre ha insegnato nelle loro scuole. Credevano che quelle scuole, quelle colonie estive (io venni inviato due volte con l’oratorio di Valdocco), fossero il meglio per noi. Io dentro di me speravo solo che l’estate finisse, combattuto come ero tra la vergogna e il pensiero che avrei dovuto dire la verità a papà e mamma, che venivano a trovarmi ogni domenica e si rallegravano per l’aria buona e la bellezza della natura”.
Oggi cerca vendetta?
“No. Ho scritto al preside del liceo Valsalice, mi ha risposto il Superiore dei Salesiani del Piemonte, dovrei incontrarlo nei prossimi mesi quando ripasserò da Torino. Gli ho detto quello che penso: un bambino abusato da chi dovrebbe accudirlo, inseguito nella sua cameretta, crescerà esattamente come crebbi io: un infelice, danneggiato a vita, senza alcuna auto stima, spaventato di tutto e tutti. Gli ho detto che quei preti avranno trovato sprangata la porta del Paradiso e mi ha detto di si. Si è detto addolorato, è stato gentile, non dubito della sua buona fede e del resto non può sapere quello che accadeva quarant’anni fa in una sperduta casa di vacanze in montagna. Ma ho deciso di parlare pubblicamente perché spero di poter aiutare qualcun altro”.
In che modo?
“Spero che leggendo la mia testimonianza altri parlino e spezzino questo muro di omertà. Se parli ti bocciamo, se punti il dito ti abbassiamo i voti. Uno resta zitto perche ha paura delle conseguenze. Roba da matti. Soltanto tra i miei amici, ho sentito parecchie storie simili alla mia. E’ importante liberarsi, squarciare il velo, ricostruire come e perché sono andate le cose. A me ha fatto bene essere aiutato a ripensare al passato, spero possa fare bene ad altri”.
Si sente un militante antipedofilia?
“No. L’unica cosa che mi interessa è il mio recupero e poi non è nella mia natura, mi va bene vivere tranquillo con mia moglie, venire a trovare la mia famiglia ogni tanto e poi tornarmene a Londra. Però una cosa voglio proporla, e spero davvero che
i Salesiani la accettino: una procedura di whistleblowing, come si usa abitualmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che consenta a bambini e ragazzi che subiscono abusi di denunciarli senza doversi esporre. E’ questo l’appello che lancio, ed è tutto quello che chiedo”.
http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/07/08/news/quelle_molestie_in_vacanza_in_montagna_con_i_salesiani_quarant_anni_fa-90977630/
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