La scorsa estate la commissione per i diritti del fanciullo dell’Onu aveva chiesto alla Santa Sededi presentare un dettagliato rapporto sugli abusi sessuali commessi da religiosi in tutto il mondo. Il Vaticano, invece di fornirlo, ha glissato, mentre papa Francesco annunciava l’istituzione di una commissione interna per contrastare l’endemico scandalo della pedofilia ecclesiastica. Ora è arrivata la relazione Onu. E contesta al Vaticano punto per punto una serie di violazioni della convenzione.
La relazione della commissione
La commissione riconosce la volontà della Santa Sede di prendere misure per contrastare il fenomeno della pedofilia e tutelare meglio i diritti dei bambini, citando le iniziative degli ultimi anni di Benedetto XVI e Francesco. Si è consapevoli che i vescovi e religiosi di spicco “non agiscano come rappresentanti o delegati del pontefice romano”, ma si ricorda che nonostante ciò questi sono “legati a vincolo di obbedienza al papa”. E che la Santa Sede, nel ratificare la convenzione, si è impegnata a implementarla non solo nel territorio di Città del Vaticano, ma anche “in qualità di potere supremo della Chiesa cattolica attraverso gli individui e le istituzioni poste sotto la sua autorità”.
Ci si rammarica che le raccomandazioni già fatte nel report del 1995 non sono state pienamente attuate. Manca un adeguamento del diritto canonico, che funge da legge interna, alla convenzione Onu soprattutto per la tutela dei diritti dei minori contro discriminazione, violenza e abusi sessuali. Si riconoscono le tante iniziative umanitarie a favore dei bambini nel mondo da parte di organizzazioni cattoliche, ma si aggiunge che manca un “approccio comprensibile centrato sui diritti dei bambini” e un meccanismo indipendente per la tutela dei loro diritti.
La commissione vede positivamente la possibilità di modificare l’espressione discriminatoria “figli illegittimi” usata nel canone 1139 e le dichiarazioni di Bergoglio, ma è preoccupata dalle passate affermazioni sull’omosessualità, “che contribuiscono alla stigmatizzazione sociale e alla violenza contro gay, lesbiche, bisessuali, transgender e bambini cresciuti in coppie dello stesso sesso”. Invita il Vaticano a usare la propria “autorità morale” per combattere stereotipi e discriminazioni, anche modificando espressioni usate nei testi di scuola cattolici.
Serve attenzione anche per i figli nati da sacerdoti, che non vengono in molti casi riconosciuti, e per le madri, verso cui è prassi strappare accordi che impongono riservatezza in cambio di denaro. Preoccupazione è espressa anche per la pratica, promossa da organizzazioni cattoliche, delle cosiddette “ruote degli esposti” in cui si possono abbandonare bambini: si invita a trovare alternative come le nascite “riservate” negli ospedali, a permettere ai bambini di scoprire la famiglia di provenienza e soprattutto ad arginare il fenomeno fornendo adeguato family planning e impedire gravidanze indesiderate.
Violenza, tortura, pedofilia
Sul fronte della violenza e la tortura, il commitee lamenta la mancanza di misure necessarie per la difesa dei diritti delle ragazze rinchiuse in strutture come le lavanderie Magdalene in Irlanda, gestite da quattro congregazioni di suore fino al 1996. Luoghi dove le giovani erano “obbligate a forme di lavoro in condizioni simili alla schiavitù”, subivano “trattamento inumano, crudele e degradante” e anche abusi sessuali, erano private della propria identità e segregate, eventuali figli venivano allontanati. Nonostante ciò la Chiesa non ha preso iniziative per investigare e rintracciare le responsabilità (come tristemente raccontato anche nel toccante film Philomenadi Stephen Frears, la cui protagonista è stata ricevuta proprio ieri dal papa), cosa ora auspicata sulla base delle raccomandazioni rivolte nel 2011 dal Committee against Torture all’Irlanda. Analogamente si chiede che venga esplicitamente bandita la punizione corporale su bambini, in modo che le linee guida di scuole e istituzioni cattoliche siano chiare e in linea con la convenzione. Viene contestata anche la posizione secondo cui le autorità civili debbano intervenire solo in caso di “abusi provati”, per non interferire nelle famiglie: ciò “mina seriamente gli sforzi e le misure per prevenire gli abusi e l’abbandono di bambini”
Lo scandalo pedofilia clericale ha colpito “decine di migliaia di bambini in tutto il mondo” e il comitato è “seriamente preoccupato” per il lassismo della Santa Sede. Non solo, ma anche per aver coperto preti noti per gli abusi, trasferendoli di parrocchia in parrocchia o in altri paesi, una “pratica documentata da numerose commissioni nazionali d’inchiesta” che ha consentito loro di rimanere a contatto con bambini, permettendo così ulteriori violenze. Fenomeno tutt’altro che archiviato, se si considera che qualche giorno fa Le Iene hanno portato alla ribalta l’ennesimo caso di prete condannato per abuso su minori, ma che è tuttora catechista, nonostante la presunta rivoluzione di papa Bergoglio. Perché il vescovo di Verona don Giuseppe Zenti e il Vaticano — “dopo approfondite indagini compiute in sede diocesana e presso la Santa Sede”, come si perita di chiarire lo stesso vescovo in una lettera affissa nelle parrocchie — hanno giudicato che potesse ancora stare a contatto con bambini e ragazzi, limitandosi a spostarlo in un’altra parrocchia. Un modo tutt’altro che trasparente e rispettoso delle leggi e della dignità delle vittime di gestire questi casi, che conferma come il Vaticano sia portato a conoscenza di questi episodi e abbia potere decisionale in merito, ma tenda tuttavia a insabbiare, arrivando a rispondere alle recenti richieste dell’Onu che la Chiesa è entità “distinta e separata” e la responsabilità è dei singoli ordinamenti degli stati dove avvengono gli abusi.
Anche se il Vaticano ha la piena giurisdizione sugli abusi sessuali almeno dal 1962 e questi casi siano gestiti dalla Congregazione per la dottrina della fede dal 2001, non sono stati forniti alla commissione i dati richiesti. Le misure disciplinarie interne hanno permesso alla “maggior parte” dei preti coinvolti di sfuggire ai tribunali. Il “codice del silenzio” imposto a tutto il clero “sotto pena di scomunica” ha permesso di insabbiare i casi, con suore e preti scomunicati per aver violato il segreto, cui faceva da contraltare l’incoraggiamento a mantenere il silenzio (come la lettera del 2001, resa pubblica solo nel 2010, del cardinale Castrillon Hoyos che si congratulava con il vescovo Pierre Pican, rifiutatosi di denunciare un prete poi condannato a 18 anni di carcere per stupri vari). Per lungo tempo la Chiesa ha negato collaborazione o ha posto ostacoli alle autorità civili e alle commissioni istituite per scoprire gli abusi.
Si chiede quindi che la commissione istituita nel dicembre del 2013 da Francesco investighi e che vengano rimossi tutti i religiosi coinvolti, nonché trasparenza nella condivisione degli archivi. Si propone che il Codice canonico consideri gli abusi sessuali su minori non semplici “delitti contro la morale”, ma crimini. Durante la discussione della bozza finale della Commission on the Status of Women del 2013 la Santa Sede, di concerto con la Conferenza delle organizzazioni islamiche, caldeggiava che religione, costumi e tradizioni fornissero agli stati la base per aggirare i propri obblighi nella difesa della dignità femminile e contro la violenza.
Discriminazione delle famiglie
Preoccupazione viene espressa anche per le disposizioni canoniche che non riconoscono le “diverse forme di famiglia” e “spesso discriminano i bambini sulla base della loro situazione familiare”. Anche se il Vaticano con enfasi promuove l’importanza di uno sviluppo armonioso della personalità del bambino, come riconosciuto positivamente dalla commissione, suscitano dubbi situazioni come quelle dei Legionari di Cristo, in cui ragazzi vengono “progressivamente separati dalle loro famiglie e isolati dal mondo esterno”. Si ricorda che persino il presidente della conferenza episcopale francese, monsignor George Pontier, ha ammesso lo scorso novembre la manipolazione delle coscienze individuali in alcune congregazioni e istituzioni cattoliche.
L’accesso all’aborto in caso di pericolo di vita è un tema caldo evidenziato in sede Onu. Si cita il caso avvenuto nel 2009 in Brasile di una bambina di nove anni stuprata e messa incinta dal patrigno, in cui l’arcivescovo di Pernambuco e la conferenza episcopale hanno condannato la madre e il dottore che aveva effettuato l’interruzione di gravidanza. Per questo l’ente Onu chiede al Vaticano di “rivedere la sua posizione sull’aborto che pone rischi evidenti per la vita e la salute delle ragazze incinte”, nonché di emendare il canone 1398 in modo da “identificare circostanze in base alle quali possa essere consentito l’accesso ai servizi di aborto”. La posizione chiusa della Chiesa sulla contraccezione ha “conseguenze negative” per la diffusione di malattie e la mancanza di adeguata informazione sessuale: per questo si ricordano i pericoli delle gravidanze “precoci e indesiderate” e dell’aborto clandestino, con picchi di malattie e mortalità tra le adolescenti incinte e ragazzi. Anche le scuole cattoliche dovrebbero assicurare una educazione sessuale e riproduttiva adeguata per prevenire la diffusione dell’AIDS e altre malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze indesiderate, viene suggerito.
Altra questione è la separazione di migliaia di bambini dalle madri, specialmente in strutture gestite da congregazioni cattoliche di Spagna e Irlanda. Questi bambini furono mandati in orfanotrofi o assegnati a famiglie adottive all’estero e il Vaticano non ha agito. In generale, di fronte ad abusi su bambini, la Santa Sede “ha sistematicamente messo al primo posto la reputazione della Chiesa e del presunto reo rispetto alla protezione delle piccole vittime”, nonché osteggiato le famiglie e “imposto la riservatezza” come “precondizione per una compensazione finanziaria”. Dopo aver snocciolato i punti critici e le violazioni vaticane, riconoscendo quanto intanto fatto e incoraggiandone sforzi ulteriori, la commissione raccomanda alla Santa Sede di ratificare altri documenti che ancora non ha sottoscritto, sempre sul tema della tutela dei bambini. Quindi si annuncia il prossimo appuntamento al primo settembre 2017, per il prossimo report.
Confessione religiosa o stato sovrano?
Il Vaticano si è detto sorpreso dalle osservazioni della commissione. Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa, in una nota ha contraccato parlando di attentato alla libertà religiosa, di “intrusione” in “posizioni dottrinali e morali”, nonché influenza di lobby gay e laiche “pregiudizialmente contrarie alla Chiesa cattolica e alla Santa Sede” e mancanza di attenzione “alle posizioni della Santa Sede stessa”.
Ma è difficile sostenere che quella dell’Onu sia un’ingerenza arbitraria su affari unicamente spirituali. Il Vaticano infatti è prima di tutto uno stato (e a tutti gli effetti: grazie, vale la pena di ricordarlo, al concordato con il regime fascista nel 1929), la Santa Sede fa parte delle Nazioni Unite in qualità di osservatore e ha voluto di propria iniziativa sottoscrivere, seppure con vistose riserve motivate dalla dottrina, la convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Invitato il Vaticano a modificare specifici canoni del suo codice
La Commissione per i diritti dell’infanzia non fa altro che monitorare periodicamente i sottoscrittori di questa convenzione affinché la applichino in concreto, li avverte se vi sono violazioni, li invita a sanarle. Quindi, visto che il Vaticano è uno stato sovrano e si è dotato di un corpus di leggi (il codice di diritto canonico), la commissione è legittimata e ha anzi il dovere (come tutte le altre commissioni Onu incaricate di far applicare le convenzioni internazionali) di evidenziare, come fa anche con altri stati, i punti della legislazione che cozzano con la convenzione. Ed è proprio ciò che ha fatto la commissione nelle considerazioni finali al suo secondo rapporto sulla Santa Sede: ha elencato le varie violazioni della convenzione e invitato il Vaticano a modificare specifici canoni del suo codice. Questa è una prassi normale se si pretende di far parte dell’Onu e di sottoscriverne le convenzioni.
Durante la 65esima sessione della commissione a Ginevra, conclusasi il 31 gennaio, anche altri paesi sono stati oggetto di monitoraggio. Ma il Vaticano chiede un trattamento speciale, contando sul fatto di poter mettere il piede in due staffe: considerandosi un ente spirituale per rivendicare la propria libertà religiosa e non essere toccato dalle contestazioni di natura legale, ma tornando ad essere stato sovrano e istituzione quando si tratta di rivendicare una posizione nel consesso internazionale ed esercitare la sua ingerenza a livello politico. Se vuole evitare di essere messo sotto osservazione, non ha che una strada: rinunciare a ogni pretesa temporale, quantomeno in sede Onu. Nessuno lo obbliga a farne parte.
La redazione
Il Vaticano strigliato dall’Onu per aver violato la convenzione sui diritti dei minori
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