Ciò non toglie che la gran massa dei vescovi ha davvero trattato il problema dei preti pedofili proteggendo i colpevoli – Come nel caso del cardinale Bernard Francis Law, arcivescovo di Boston, trasferito a Roma da Giovanni Paolo II per evitargli disavventure con la giustizia americana…
1. UNA CATENA DI COMANDO HA OCCULTATO TUTTO
Marco Politi per ‘Il Fatto Quotidiano‘
HOLLANDE IN VATICANO INCONTRA PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
La folgore dell’Onu cade sul Vaticano e illumina violentemente colpe, omissioni, ritardi nel contrastare gli abusi sessuali del clero. Al tempo stesso costringe la Santa Sede a rendere conto di quanto ancora non sta facendo per portare alla luce i crimini commessi e assicurare alla giustizia i preti delinquenti.
Ci sono passaggi nel rapporto del Comitato per i diritti dell’infanzia, che sembrano scritti prima del 2010 quando Benedetto XVI fece pubblicamente mea culpa (nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda) per i silenzi della Chiesa, il mancato ascolto delle vittime, la disapplicazione delle norme canoniche che punivano il crimine, l’assenza di intervento dei vescovi e – testualmente – la “preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali”.
Allora e in seguito Benedetto XVI ribadì più volte che i preti colpevoli dovevano sottoporsi alla giustizia civile. Sia Ratzinger che Bergoglio hanno inasprito la normativa del codice canonico e – a differenza della giustizia civile – i delitti cadono ora in prescrizione solo vent’anni dopo il raggiungimento della maggiore età della vittima. C’è quindi un prima e un dopo.
Della stagione precedente fa parte una catena di comando che non ha funzionato. La gran massa dei vescovi ha trattato il problema proteggendo generalmente i colpevoli. Esemplare il caso del cardinale Bernard Francis Law, arcivescovo di Boston, trasferito a Roma alla basilica di Santa Maria Maggiore da Giovanni Paolo II per evitargli disavventure con la giustizia americana. Non ha funzionato il controllo della Congregazione del Clero.
Vergognosa la lettera che il prefetto della congregazione, cardinale Castrillon Hoyos, scrive nel 2001 al vescovo francese Pican per complimentarsi di non aver denunciato alla magistratura un prete, poi condannato per abuso di undici minori. Non ha funzionato, negli anni del pontificato di Giovanni Paolo II, la Congregazione per la dottrina della fede guidata dall’allora cardinale Ratzinger: congregazione troppo lenta, troppo legalistica nel reagire ad una serie di casi gravissimi venuti poi alla luce sulla stampa internazionale, troppo silenziosa sui crimini del fondatore dei Legionari di Cristo.
Non ha funzionato la segreteria di Stato, retta dal cardinale Sodano, proprio nel caso eclatante di Marcial Maciel Degollado: il governo centrale della Chiesa non ha dato nessun seguito a lettere ufficiali pervenute tramite i nunzi e a denunce pubbliche sulla stampa. Papa Francesco nel suo primo incontro con l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha ribadito l’impegno della Chiesa a combattere la pedofilia nelle proprie file. Il rapporto Onu, rifacendo tutta la storia, mette però in luce tutto ciò che oggi ancora non funziona.
Vale poco l’obiezione di parte ecclesiastica che la Chiesa non è una multinazionale e il Vaticano non ne sarebbe il quartiere generale. Perchè certo il pontefice non può sapere cosa fa cosa fa un prete in Amazzonia, tocca al vescovo vigilare. Ma spetta ai papi e al loro governo vigilare che tutto l’organismo rispetti e applichi le leggi, che la Chiesa stessa si è data. Tanto più che il cattolicesimo gode – unico fra le religioni – di una fisionomia statuale. E allora il centro deve rendere conto del funzionamento delle sue norme in periferia. C’è da fare moltissimo.
Benedetto XVI incaricò le conferenze episcopali di dotarsi di Linee-guida per contrastare il fenomeno. Ci sono conferenze episcopali, che si sono dotate di strutture nazionali e diocesane serie, e ci sono conferenze episcopali – fra cui brilla la Cei – che finora si sono rifiutate in tutti i modi di assumersi responsabilità nel fare applicare le norme ecclesiastiche.
È un atteggiamento di fuga, che non può continuare. Dopo il rapporto del comitato Onu per i diritti dell’infanzia è evidente che dal Vaticano devono arrivare indicazioni cogenti per tutti – con la creazione di strutture ecclesiali locali e nazionali per scoprire i crimini – se la Santa Sede non vorrà trovarsi di nuovo fra tre anni sul banco degli accusati.
Inoltre non è tollerabile restare a metà del guado rispetto al dovere di denuncia alla magistratura. In coerenza con gli auspici di Benedetto XVI, il Vaticano la deve dichiarare obbligatoria. Se la pedofilia è un crimine, come ha ricordato papa Francesco ai giornalisti tornando dal Brasile, l’omertà di un vescovo non è sostenibile. Dire ad esempio, come fa la Cei, che in Italia il vescovo non è un pubblico ufficiale, è ridicolo. Perché? Se io privato cittadino vedo che per strada massacrano una vecchietta, che faccio? Tiro avanti zitto perché non sono un pubblico ufficiale? Il lavoro del comitato di Ginevra si sta rivelando prezioso.
Grazie alle audizioni, cui sono stati chiamati i rappresentanti vaticani, è emerso che Benedetto XVI in due anni ha espulso 384 preti indegni. Bene. Il rispetto delle vittime esige che siano aperte inchieste in tutti i Paesi perché vengano alla luce i crimini nascosti e avvolti nel silenzio. Papa Francesco lo sa dall’esperienza che hanno fatto i suoi connazionali in Argentina.
Quando è in gioco la violazione dei diritti umani non esiste una trasparenza a metà. Non si fa pace con il passato, se prima non si porta alla luce tutta la verità. Chiarendo chi è stato colpevole e chi complice. Il comitato ha toccato anche un punto delicato, che finora era stato sempre rimosso: il destino dei figli dei preti. Non c’è dubbio che tutto ciò rappresenti una sfida per il pontificato di Francesco. Ma la Chiesa non può eluderla.
2. FINITA LA TREGUA TRA MONDO E FRANCESCO
Da ‘Il Foglio‘
Dicono che il comitato Onu che ha sferrato un feroce attacco alla chiesa cattolica è composto di esperti indipendenti. Non esistono in queste materie affrontate dal comitato, pedofilia aborto contraccezione omosessualità, esperti indipendenti.
L’Onu è un pozzo di dipendenza ideologica, perfino tossica, dall’ideologia del contemporaneo: le accuse indiscriminate di pedofilia e di protezione canonica della pedofilia del clero sono una bugia statistica, che converte in comportamenti pandemici le devianze sessuali abusive dei bambini di una infima frazione del medesimo.
Sono sopra tutto l’altra faccia del progetto di modificazione identitaria e strutturale del cattolicesimo, perseguita attraverso l’aggressione al Vaticano come Santa Sede della chiesa, ai vertici della gerarchia episcopale in tutto il mondo.
Gli esperti indipendenti Onu si riuniscono a Ginevra, magnifica e colta città ma per eccellenza anticattolica, o nella città più modernamente bella e moralmente corrotta del mondo, New York, e sermoneggiano corteggiando le paure e i pregiudizi anticattolici della bella gente che conta, in particolare nel nord americano ed europeo segnati dalla Riforma protestante, allo scopo di demolire ciò che è percepito, il cattolicesimo, come l’ultimo ostacolo sulla via della redenzione dalla religione (che è una cosa diversa dallo spiritualismo new age).
Perseguono l’affermazione di un puritanesimo religioso che riscatta con le campagne antifumo e quelle antipedofili, parte integrante della ricca piattaforma politicamente corretta, il patto con il diavolo contratto in tema di aborto, divorzio, eutanasia, contraccezione come bandiera anti-natalista invece che come prassi in certi casi obbligata, ed eugenetica dispiegata.
Un’ideologia di morte, affine alle pratiche naziste e totalitarie degli anni Trenta europei del Novecento (eutanasia dei deboli, superomismo come segno della libertà femminile riproduttiva), opportunamente targata Nazioni Unite, si fa premura per l’incorruttibile identità dell’infanzia, in un gioco a mentire, deformare, ingigantire, giuridicizzare che è in sé pericoloso, violento, invasivo e distruttivo del pluralismo dello spazio pubblico sociale.
Quello spazio in cui i cattolici in quanto cattolici, e i preti e i vescovi nella loro funzione sacramentale e apostolica, hanno il diritto di vivere senza che gli esperti indipendenti allevati nel salotto di Kofi Annan e dei suoi compari della pseudo “liberal society” metropolitana si sentano autorizzati a dettare le regole del diritto canonico e dell’umanità e paternità del sacerdozio agli eredi di Gesù Cristo, di san Paolo, sant’Agostino, san Tommaso, Ignazio di Loyola e molti altri santi laici, razionalisti o mistici.
La chiesa ha forgiato l’individuo moderno come persona, ha emancipato il mondo dalla superstizione alimentando un legame sponsale tra fede e ragione, dando ragione della fede cristiana e allargando l’orizzonte della ragione umana, ciò che è il suo patrimonio più prezioso, oggi a rischio di impoverimento per una serie di equivoci spiritualisti.
Le pratiche degli esperti indipendenti hanno portato alla rinuncia di Ratzinger, altro che l’attendente di camera e i leaks di quattro fregnacce finanziarie, e ora dopo una tregua determinata da verità ed equivoci nutriti dal nuovo Papa Francesco si rimettono all’offensiva, scommettono sull’emarginazione della chiesa da sé stessa, sulla sua remissiva incapacità di risposta, e rilanciano il loro progettino in vista del Vaticano III sinodale su famiglia, gender, sessualità, matrimonio e vita nell’ambito comunionale cattolico e nel mondo laico esterno alla chiesa.
La nostra speranza laica, razionale, di sostenitori gratuiti di una verità che riguarda il nostro modo liberale di vivere, che comprende la libertà della chiesa, è che il Vaticano di Francesco sappia dare risposte a tono. Vedremo per il futuro. Il primo passo è decisamente timido, ed è stato fatto ieri in serata. Si affida a un comunicato interno alla logica istituzionale del comitato che ha sferrato l’attacco e a una dichiarazione di monsignor Silvano Maria Tomasi, con funzioni diplomatiche all’Onu di Ginevra.
Si attribuisce correttamente all’organismo Onu la volontà di interferire con l’insegnamento cattolico in materia di vita umana, ma senza l’enfasi necessaria; si insinua che il testo, come da altre fonti è confermato al Foglio, era pronto già da moltissimo tempo e non è stato riscritto alla luce delle modificazioni che la chiesa stessa ha introdotto nelle procedure per la sanzione degli abusi da parte di chierici; e si suggerisce, infine, che l’attacco è frutto delle pressioni lobbistiche di ong proabortiste, che scambiano volentieri la libertà della chiesa cattolica con la battaglia per il diritto di aborto.
Ma sono proteste nella migliore tradizione diplomatica della Santa Sede, laddove secondo noi è improcrastinabile una risposta di cultura e di libertà imperniata su ciò che la libertà morale e religiosa dei cattolici significa nel mondo moderno. Qui siamo all’intimazione onusiana di mollare sull’aborto e sul resto del non negoziabile, in perfetta continuità con lo sventramento delle tombe dei padri del Concilio effettuato dalla polizia belga mentre i vescovi di quel paese erano ristretti nelle loro sedi. Non è tempo di reazioni solo diplomatiche
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