di Marco Zerbino in ADISTA n° 10 del 17.3.2012 e nel n° 11 del 24.3.2012
ROMA-ADISTA. «Indubbiamente, negli ultimi decenni, di fronte ai casi di violenza sessuale e maltrattamento dei minori, molti responsabili hanno considerato la protezione delle istituzioni una priorità, per cui hanno tentato di nascondere la terribile verità invece di riconoscerla in tutta la sua amarezza». Le parole pronunciate dall’arcivescovo di Monaco, card. Reinhard Marx, al recente simposio sulla pedofilia clericale tenutosi presso la Pontificia Università Gregoriana (v. Adista Notizie n. 7/12) hanno senz’altro avuto il pregio di riportare al centro dell’attenzione una questione troppo spesso elusa o addirittura ignorata dalle gerarchie. Non solo casi di pedofilia clericale, in Italia come all’estero, continuano a verificarsi e, talvolta, a fare notizia, ma persiste anche la tendenza, da parte delle diocesi come da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, a non prendere il toro per le corna. Le ragioni di tale comportamento sono diverse, anche se in fondo riconducibili a una matrice comune. Si va da un malinteso «garantismo» a senso unico (che tutela all’eccesso i presunti colpevoli e molto poco, o per nulla, le vittime passate e future), passando per una radicata propensione all’omertà, magari motivata dalla necessità di proteggere la «rispettabilità» dell’istituzione Chiesa, per concludere infine con la consapevolezza, ma più o meno strisciante e sottaciuta, della reale estensione del fenomeno (anche gli alti prelati furono un tempo seminaristi). In poche parole, la Chiesa mostra di avere paura. Paura di dover affrontare una discussione franca sulla sessualità, sul celibato ecclesiastico, sull’universo dei seminari. E allora reagisce – per anni e anni ha reagito – mettendo la polvere sotto il tappeto, cioè spesso astenendosi dal collaborare con la giustizia laica e limitandosi a spostare da una diocesi all’altra, o da una parrocchia all’altra, tanto i presunti molestatori quanto quelli provati e conclamati. Eppure, diceva qualcuno, i fatti hanno la testa dura, chiedono di essere considerati e non cessano di porre dubbi, domande e di suscitare riflessioni. Per cui può capitare che diventi utile, e forse doveroso, riepilogarne alcuni e fare il punto della situazione. Limitatamente ai casi italiani di pedofilia clericale, Adista non è nuova a questa pratica, avendo già cercato di familiarizzare il lettore con lo «stato dell’arte» in due precedenti occasioni (v. Adista nn. 35/06 e 65/08). Dall’ultimo aggiornamento, tuttavia, parecchia acqua è passata sotto i ponti, lo scandalo pedofilia nella Chiesa ha assunto rilevanza planetaria, e le gerarchie stesse non hanno potuto far altro che prenderne atto (lo stesso simposio dei primi di febbraio sembra rimandare all’esigenza di offrire all’opinione pubblica l’immagine di un’istituzione decisa a venire alle prese con questa piaga). Mentre si avvicina la scadenza per la presentazione, da parte di tutte le diocesi del mondo, di proprie linee guida per combattere e sradicare il fenomeno – secondo quanto stabilito il 3 maggio dello scorso anno dall’ex Sant’Uffizio (v. Adista nn. 73 e 80/11) – riteniamo quindi, ancora una volta, che sia tempo di un bilancio. Di seguito pubblichiamo la prima parte del dossier sulla pedofilia tra il clero. 20082009
Riprendiamo dunque da dove ci eravamo interrotti. Nell’ottobre del 2008, la curia di Bolzano decide di sospendere dall’incarico Peter Gschnitzer, parroco di Castelbello Ciardes, indagato per detenzione di materiale pedopornografico. Il religioso altoatesino era stato segnalato alle forze dell’ordine da un tecnico informatico al quale aveva affidato il proprio computer per una riparazione. Successivamente alla denuncia, la posizione dell’ex parroco si era ulteriormente aggravata quando, durante una perquisizione nella sua abitazione, erano state rinvenute altre foto, stavolta cartacee, che ritraevano bambini maschi nudi ripresi in comportamenti erotici. Inchiodato dai risultati della perizia web, don Gschnitzer chiederà qualche mese più tardi, nel giugno del 2009, di patteggiare una condanna ad un anno e quattro mesi di reclusione.
Circa un mese dopo la sospensione dall’incarico del prete di Bolzano, la Cassazione conferma invece la condanna a due anni di carcere per p. Kevin Chukwuka, ex parroco di San Giacomo d’Acri, in provincia di Cosenza, accusato di molestie nei confronti di una bambina di nove anni. Padre Kevin era stato in precedenza sospeso a divinis dall’arcivescovo metropolita di CosenzaBisignano mons. Salvatore Nunnari.
Verona: il caso Provolo Verso la fine di gennaio 2009, il settimanale l’Espresso denuncia uno dei casi di pedofilia clericale più odiosi ed eclatanti verificatisi nell’Italia degli ultimi decenni (v. Adista n. 13/09). A far saltare il tappo di quello che diventerà conosciuto come il caso Provolo è il giornalista Paolo Tessadri, che raccoglie e pubblica le testimonianze di 15 ex allievi di un istituto veronese gestito in passato dalla Congregazione della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti e successivamente trasformato in un centro di formazione professionale. Secondo il gruppo di ex ospiti dell’“Antonio Provolo” di Verona, fra gli anni ‘50 e la metà degli anni ‘80, all’interno dell’istituto, si sarebbe verificato un numero inaudito di violenze ai danni di un centinaio di ragazzi non udenti. 25 i religiosi accusati, una decina dei quali, al momento dello scandalo, ancora viventi e residenti presso le sedi dell’istituto di Verona e Chievo. La vicenda si trascinerà nei mesi successivi, in un crescendo di polemiche e di accuse reciproche fra la diocesi e l’Associazione Sordomuti “Antonio Provolo”. Il presidente di quest’ultima, Giorgio Dalla Bernardina, sarà in un primo momento accusato da mons. Giuseppe Zenti di aver montato uno scandalo a base di «fandonie» e testimonianze false per ottenere i beni delle congregazione che gestiva l’istituto: «È un mio diocesano», aveva dichiarato il vescovo scaligero riferendosi a Dalla Bernardina, «se vuole andare alla guerra gli suggerirei di corazzarsi, non farla con le bici da bersagliere e con le baionette». Di lì a qualche mese, tuttavia, Zenti, a seguito dell’indagine interna effettuata dalla diocesi di Verona, sarà costretto ad usare toni decisamente più «evangelici», ammettendo in parte gli abusi anche se il numero delle violenze verrà contestato e ridimensionato dalla Curia (che tuttavia non ha ascoltato le vittime). Nell’estate del 2010, inoltre, sarà costretto a porgere le sue scuse a Dalla Bernardina per evitare un processo per diffamazione. Nel frattempo, al primo scoop de l’Espresso se ne aggiungeranno altri. Un nuovo articolo firmato da Tessadri in febbraio parlerà di un coinvolgimento attivo nelle violenze di un ex vescovo di Verona, mons. Giuseppe Carraro, morto nel 1981. Successivamente (siamo a maggio del 2009), il settimanale pubblicherà, con il titolo “Io, fratel pedofilo”, un’intervista a un laico della Congregazione della Compagnia di Maria che ammette di aver abusato ripetutamente dei ragazzi sordomuti nel corso di diversi anni: «Non c’è più nulla da nascondere», afferma l’intervistato, «io almeno ho il coraggio di dirlo, gli altri tacciono». L’intervista viene rilasciata in forma anonima, cosa che non impedirà, nei giorni successivi, l’allontanamento forzato dall’istituto di “fratel pedofilo”. Il provvedimento è firmato da un sacerdote che figura nella lista dei presunti aguzzini. Ad oggi, il caso Provolo è tutt’altro che chiuso. Dopo la conclusione dei lavori della prima commissione interna istituita dalla Curia veronese, l’associazione guidata da Dalla Bernardina ha continuato a chiedere che siano verificati tutti i fatti sulla base dei racconti delle vittime, invitando esplicitamente il vescovo Zenti a rinunciare ad avvalersi della prescrizione (i presunti crimini non sono più perseguibili in quanto verificatisi molti anni fa). Gli ex allievi dell’istituto chiedono inoltre che i sacerdoti accusati di abusi vengano allontanati dalle sedi tuttora operanti del Provolo. In seguito all’accordo raggiunto dal titolare della diocesi di Verona e dal presidente dell’associazione, il 15 luglio del 2010 è stata inoltre annunciata la costituzione di una commissione di inchiesta «indipendente, terza e imparziale» per far luce sulle violenze. Infine, la scorsa estate, dopo che la commissione ha avuto modo di sentire il racconto degli abusati, l’Associazione Sordomuti “Antonio Provolo” ha tenuto una manifestazione sotto la sede dell’istituto per ricordare le vittime e per sollecitare il Vaticano ad esprimersi.
Bolzano: benedetta psicoanalisi Torniamo ora a Bolzano. Il 19 marzo del 2009, la Corte di Cassazione proscioglie don Giorgio Carli, ex parroco della chiesa del Corpus Domini di via Gutenberg, perché il reato è «estinto per intervenuta prescrizione» (v. Adista nn. 65/08, 37/09 e 25/10). Il caso di don Giorgio aveva avuto negli anni precedenti una vasta risonanza in quanto le accuse contro il sacerdote erano state formulate da una ragazza che era riuscita a ricordare e rivivere, nell’ambito di un percorso di psicoanalisi e avvalendosi del materiale fornito dai propri sogni, una serie di esperienze di abuso cui era stata costretta dal parroco bolzanese fra il 1989 e il 1994. Il religioso era stato assolto in primo grado perché «il fatto non sussiste», mentre la Corte d’Appello aveva giudicato i ricordi della vittima talmente minuziosi e coerenti da attribuire ad essi un valore probante: don Giorgio era stato quindi condannato a 7 anni e mezzo di carcere e al pagamento di 760mila euro di spese di risarcimento. La Cassazione, pur considerando prescritto il reato, decide di non annullare la condanna al pagamento del risarcimento, mostrando quindi di ritenere fondate le accuse. Nel corso dell’iter processuale, la Curia di Bolzano, sotto la guida di mons. Wilhelm Egger e, successivamente, di mons. Karl Golser, ha sempre ribadito la propria stima e il proprio sostegno nei confronti dell’imputato, mantenendolo nell’incarico, anche se in altra sede. I guai giudiziari di don Carli, tuttavia, sono ricominciati agli inizi del 2011, quando la donna da lui abusata ha deciso di intentare contro il sacerdote e contro la diocesi stessa una nuova causa, stavolta in sede civile, per ottenere il pagamento del risarcimento disposto dalla giustizia penale. Dopo la prima udienza, il processo è stato aggiornato al 2013.
In giro per l’Italia Nel maggio del 2009, ad Enna, viene condannato a 6 anni di reclusione don Giovanni Butera, un parroco riconosciuto colpevole di aver ripetutamente violentato, dal luglio del 1997 all’agosto dell’anno seguente, un ragazzino disabile di 15 anni. All’epoca dei fatti, il minore era ospite dell’oasi francescana “Villaggio del fanciullo” di Pergusa, dove don Giovanni lo avrebbe costretto a subire atti sessuali, minacciandolo, prendendolo a schiaffi e colpendolo con la cinghia in caso di rifiuto. La sentenza sarà confermata in appello nell’aprile del 2011. Si attende ora il pronunciamento della Corte di Cassazione.
Sempre in maggio, a Brindisi, don Enzo Greco, sacerdote sessantaduenne di Nardò, viene condannato a tre anni e mezzo per abusi nei confronti di un pastorello che il religioso avrebbe molestato ripetutamente nei pressi della stazione di Erchie.
A fine giugno 2009, la Corte di Cassazione conferma la condanna a 4 anni di reclusione comminata in appello a don Giuseppe Abbiati, parroco di Borgarello, nel pavese, riconosciuto colpevole di molestie nei confronti di tre bambini. Il prete, che ha recentemente chiesto di poter uscire dal carcere e di essere affidato ai servizi sociali per svolgere attività di pubblica utilità, è sempre stato difeso dalla sua comunità e ha mantenuto lo status di sacerdote per una scelta esplicita della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il 17 luglio 2009, un prete venezuelano viene fermato e denunciato per aver molestato, durante il volo che lo portava da Caracas a Roma, due bambine di 9 e 13 anni che viaggiavano non accompagnate (i genitori italoargentini le attendevano all’aeroporto di Fiumicino). Nel corso della lunga traversata, a diecimila metri di altezza, il sacerdote aveva cercato con insistenza di entrare in contatto con le minorenni, arrivando a chiedere loro numero di telefono e indirizzo email. La scena, tuttavia, era stata notata da due agenti dell’Interpol che erano a bordo del velivolo.
In novembre, si conclude il processo canonico a carico di don Roberto Berti, ex parroco di Ginestra Fiorentina dal 1990 al 2001 e di San Mauro a Signa dal 2001 al 2008. La Congregazione per la Dottrina della Fede riconosce il prete colpevole di «molestie sessuali e psicologiche su minori» durante il suo mandato parrocchiale e ne ufficializza l’allontanamento dalla diocesi di Firenze, avvenuto in realtà già dal giugno del 2008. A don Roberto viene prescritto un percorso di recupero, con residenza obbligata e in regime di vigilanza, della durata di 8 anni, al termine del quale il suo caso sarà riesaminato dall’ex Sant’Uffizio. Durante questo periodo il religioso sarà escluso da ogni attività pastorale. Da anni il sacerdote era chiacchierato, nei due paesi in cui aveva prestato servizio come parroco, per il suo comportamento con i ragazzi e per il suo carattere irascibile e autoritario. Il processo canonico pare sia stato richiesto dalla Curia fiorentina dopo le denunce presentate da cinque vittime, alle quali tuttavia la diocesi ha sempre raccomandato il massimo riserbo. Del caso, in mancanza di querele, non si è mai interessata la giustizia laica. 2010
Il 22 gennaio 2010 l’arcivescovo di CampobassoBojano, mons. Giancarlo Bregantini, dispone l’assegnazione ad altro incarico di don Felix Cini, sacerdote che da più di un anno supporta l’anziano parroco di Cercemaggiore. In dicembre era stata diffusa dalla stampa locale la notizia che nel 2004 don Felix aveva patteggiato la pena di due anni e mezzo di reclusione per abusi commessi a danno di alcuni minori quando esercitava le sue funzioni in un centro del grossetano. La popolazione del piccolo comune in provincia di Campobasso, tenuta all’oscuro per mesi della vicenda giudiziaria che aveva visto coinvolto il religioso, si era quindi divisa sull’atteggiamento da adottare: secondo molti membri della comunità, don Felix non era più degno di fiducia, in quanto in passato aveva ripetutamente negato di essere il sacerdote implicato nello scandalo. Di ritorno dal santuario e in plein air
Nel marzo del 2010, si aprono le porte del carcere per un anonimo prete sudamericano di 39 anni, condannato in appello a 4 anni di reclusione per abusi sessuali su un tredicenne di Rimini. Il sacerdote, già sospeso a divinis per altri motivi, era entrato in contatto con la famiglia del ragazzo durante un pellegrinaggio a Medjugorie, al termine del quale era diventato intimo dei genitori cominciando a frequentarne l’abitazione. Il religioso si era avvalso, ai fini della propria difesa, della consulenza dello psichiatra Alessandro Meluzzi, ex parlamentare di Forza Italia e collaboratore nella stessa veste anche di don Pierino Gelmini (anch’egli accusato di pedofilia e tuttora sotto processo, v. Adista n. 57/07).
Nello stesso mese, il quotidiano Tageszeitung riporta la testimonianza di un ex allievo di un istituto religioso bolzanese che afferma di aver subito diversi abusi da parte di cinque frati negli anni ‘60 (v. Adista n. 25/10). Le violenze sarebbero avvenute nei vigneti, in cantina, in stanza e perfino in sacrestia. «Solo ora che in mezza Europa si parla di violenze sessuali commesse da uomini di Chiesa oso uscire dalle tenebre», afferma l’uomo dalle colonne del giornale di lingua tedesca.
È del marzo del 2010 anche la condanna a sei mesi di reclusione di don Claudio Ballerini, prete originario di Brescia ma residente in provincia di Perugia. I fatti risalgono al 2008, quando don Claudio, seduto su una panchina e in pieno giorno, compie davanti a due sedicenni atti di autoerotismo. Il religioso era stato trasferito dal nord Italia presso la Comunità dei Figli della Misericordia di Collevalenza per seguire un «percorso di rafforzamento dell’identità umana e vocazionale dei sacerdoti». Aveva infatti già collezionato due condanne per reati simili a quello attribuitogli dal tribunale del capoluogo umbro.
Sempre nel marzo di due anni fa, mentre il Vaticano è investito dagli scandali sui casi di pedofilia clericale verificatisi in Irlanda, Germania e Stati Uniti, alcuni organi di informazione campani tirano fuori dal cassetto una vecchia storia, quella che ha per protagonista don Giuseppe Salomone, sacerdote salernitano condannato nel 2000 a un anno e cinque mesi di reclusione con sentenza passata in giudicato. I fatti risalgono ai primi anni ‘90, quando don Giuseppe, che all’epoca insegnava religione presso una scuola media di Pontecagnano Faiano, aveva compiuto alcuni atti di libidine violenta nei confronti di due studentesse. Dopo gli episodi, i genitori delle vittime avevano sporto denuncia alla procura di Salerno. Nonostante la condanna in primo grado, sopraggiunta nel 1996, il sacerdote aveva continuato ad insegnare regolarmente. Oggi è a riposo, ma è consigliere dell’istituto interdiocesano per il sostentamento del clero ed è membro del collegio presbiterale. A chiamarlo a ricoprire quest’ultima carica è stato, anni fa, l’ex arcivescovo di Salerno, mons. Gerardo Pierro.
Nel maggio 2010, il processo di appello conferma la condanna a 8 anni di don Pierangelo Bertagna, ex parroco dell’abbazia di Farneta, nel Comune di Cortona (v. Adista n. 35/06). Il suo caso era esploso nel 2005, quando il religioso era stato arrestato in seguito alle rivelazioni di un tredicenne. Una volta in cella, l’ex abate aveva confessato ben 38 casi di abusi commessi su minori nell’arco di svariati anni, uno degli scandali pedofilia più consistenti che abbiano mai toccato la Chiesa italiana. Nel corso delle indagini venne chiamato in causa anche p. Vittorio Cappelletto, il gesuita fondatore della discussa associazione «Ricostruttori nella preghiera» della quale il prete pedofilo faceva parte. Bertagna, di fronte ai magistrati, ha più volte sostenuto di aver accolto l’arresto come una liberazione, essendo consapevole dei problemi che lo affliggevano, di cui aveva in più occasioni informato i suoi superiori (Cappelletto in primis), i quali tuttavia si erano sempre rifiutati di aiutarlo e di garantire la sicurezza dei bambini che lo frequentavano. L’ex abate è stato prima sospeso a divinis e in seguito dimesso dallo stato clericlale. In flagranza di reato Secondo la legge italiana, il rapporto sessuale con un minorenne è un reato grave e, in caso di flagranza, è punibile con l’arresto. Ma quando la polizia stradale di Napoli, il 6 luglio del 2010, ha sorpreso don Michele De Masi, parroco di San Giorgio a Cremano, mentre consumava in macchina un rapporto sessuale completo con una quindicenne, incredibilmente lo ha lasciato andare senza spiegazioni. Don Michele aveva adescato la ragazzina via chat, dicendole di essere un professore. In seguito, il sacerdote sarà trasferito dalla Curia in un luogo non precisato per affrontare un percorso di recupero spirituale. Ricomparirà qualche mese dopo, nell’ottobre 2010, intento a dire messa nella parrocchia napoletana di Santa Lucia a Mare.
In settembre, finisce in carcere don Marco Cerullo, condannato a 6 anni e 8 mesi dalla Corte di Cassazione per esser stato colto in flagrante dai carabinieri mentre, nella sua auto, abusava sessualmente di un allievo undicenne (v. Adista n. 34/09). I fatti risalgono al dicembre del 2007, quando don Marco, viceparroco di Casal di Principe e insegnante di religione in una scuola media di Villa Literno, si era allontanato insieme all’alunno con la scusa di andare a comprare i colori per il presepe. Una volta sorpreso dai militari dell’Arma, il religioso aveva aggravato la sua situazione dandosi ad una fuga spericolata in macchina e mettendo così a rischio la stessa incolumità fisica del ragazzo. La Cassazione conferma sostanzialmente la condanna di appello, compreso il pagamento di 50mila euro di risarcimento alla vittima. Il sacerdote, che al momento del trasferimento in prigione ha già scontato due anni e 5 mesi ai domiciliari presso una comunità religiosa, risulta tuttavia nullatenente. La diocesi, che avrebbe potuto farsi carico del pagamento della somma, nel corso della vicenda processuale ha sempre mantenuto uno strettissimo riserbo. Al momento del primo arresto di don Marco, l’allora vescovo di Aversa mons. Mario Milano si era infatti schermito: «Non è che non voglio dire nulla: non posso dire nulla visto che ci sono ancora le indagini in corso». Ma la consegna del silenzio era stata zelantemente mantenuta dal prelato anche dopo le condanne in primo grado e in appello. Mai una parola è stata inoltre pronunciata dal vescovo, durante l’intera vicenda giudiziaria, per esprimere vicinanza e conforto alla vittima e ai suoi familiari. Don Marco, va infine notato, si era formato nel seminario minore di Aversa, da tempo chiacchierato per il famigerato «gioco dello scarpone», espressione con cui, fra gli allievi, ci si riferiva all’atto dell’abuso sessuale. Nella stessa istituzione il prete, promettente teologo, era in seguito tornato in qualità di assistente spirituale dei giovani ospiti della struttura.
Il primo ottobre 2010 viene condannato in primo grado a due anni e sei mesi con la condizionale don Marco Redaelli, salesiano e parroco di Arese (Mi). Nel 2007 aveva adescato presso l’oratorio da lui gestito una bambina di 7 anni, facendola entrare nel suo ufficio con la promessa di una caramella per poi toccarla nelle parti intime. La piccola, tuttavia, aveva raccontato l’episodio alla nonna, che lo aveva poi riferito al padre della vittima. Una volta sporta denuncia, l’uomo e la sua famiglia si erano trovati a dover fronteggiare un clima di forte ostilità nella cittadina, tanto da doversi temporaneamente trasferire. Nei confronti di don Redaelli, che in passato era stato missionario in Africa e America Latina, prima della condanna non era stata presa alcuna misura cautelare.
Pochi giorni dopo la condanna del salesiano di Arese, il 7 ottobre 2010 la Cassazione conferma la condanna a 4 anni nei confronti del sacerdote bergamasco don Matteo Diletti. Il trentanovenne, ex insegnante di religione in una scuola media di Vilminore di Scalve, è accusato di aver avuto un rapporto, a quanto pare consensuale, con una sua allieva tredicenne. Nel momento in cui arriva la condanna definitiva, tuttavia, don Matteo è irreperibile da circa due settimane. Il suo corpo sarà ritrovato in montagna, in fondo a un dirupo, nel marzo dell’anno successivo.
Dieci anni di reclusione e il pagamento di un risarcimento di 50mila euro. È la condanna inflitta con il rito abbreviato a don Domenico Pezzini, sacerdote appartenente alla diocesi di Lodi ma da anni residente ed operante a Milano. Il 21 dicembre 2010, il Gup Maria Vicidomini riconosce il religioso colpevole di aver avuto dei rapporti sessuali con un ragazzo tredicenne di origine bengalese e di detenere materiale pedopornografico. La notizia desta grande sconcerto nel mondo degli omosessuali credenti italiani, dei quali don Pezzini era stato, sin dai primi anni ‘80, un saldo punto di riferimento per il suo impegno teologico e pastorale sul tema della relazione tra fede e omosessualità (v. Adista nn. 1 e 93/11).
CASO PER CASO. NOME PER NOME.
LA PEDOFILIA ECCLESIASTICA IN ITALIA /2 36592. ROMAADISTA. Insistiamo. Dopo aver passato in rassegna i principali casi di pedofilia clericale verificatisi in Italia nel 2009 e nel 2010, proseguiamo con il 2011 e con quest’inizio di 2012. Le ragioni di questa nostra ricognizione le abbiamo già spiegate (v. Adista n. 10/12): non è né per morbosità né per alimentare «chiacchiericci» di sodaniana memoria. L’intento è, semmai, quello di fare il punto della situazione e di stimolare un dibattito. Se continuano a presentarsi casi sempre nuovi, riteniamo che la ragione non vada cercata tanto nel «disordine morale» del singolo (la cui condotta va ovviamente indagata e, se necessario, punita), quanto piuttosto nell’intero sistema che quel disordine favorisce e alimenta. Questa è l’idea che fa da sfondo al nostro dossier, di cui pubblichiamo nelle pagine che seguono la seconda ed ultima parte.
2011 Il prete nero
Il 3 marzo del 2011, don Ruggero Conti, ex parroco della chiesa della Natività di Maria Santissima a Selva Candida, periferia occidentale di Roma, viene condannato a 15 anni e 4 mesi di reclusione e al pagamento di 200mila euro di risarcimento per le parti civili (v. Adista nn. 53 e 65/08, 37/10 e 21/11). La sentenza di primo grado attribuisce a don Ruggero, già «garante per la famiglia e per le periferie» dell’aspirante sindaco Gianni Alemanno, «condotte di una gravità inaudita, insidiose e insistenti». Le violenze si sarebbero consumate tra il 1998 e il 2008 ai danni di sette minori della parrocchia. Oltre che per l’alto numero di violenze perpetrate e per le amicizie influenti, il caso del “prete di An” aveva destato scalpore per via dell’atteggiamento a dir poco omertoso assunto nei suoi confronti da mons. Gino Reali, vescovo di Porto S. Rufina, la diocesi suburbicaria dalla quale dipende la parrocchia di Selva Candida. Durante un interrogatorio di fronte ad uno dei magistrati responsabili dell’inchiesta, il prelato aveva infatti ammesso di essere al corrente delle accuse nei confronti di don Conti già da due anni prima del suo arresto, avvenuto il 30 giugno del 2008. La notizia che il vescovo «sapeva», data ai media internazionali dall’Associated Press il 26 aprile del 2010, aveva avuto pochissima risonanza nel nostro Paese, e confermava del resto quanto andava sostenendo da tempo don Claudio Brichetto, il viceparroco della Natività di Maria Santissima, che già da un anno aveva denunciato ai superiori gli abusi del collega e che per questo era stato temporaneamente sospeso dall’incarico. Alla scuola di don Cantini
Ai primi di maggio del 2011, diversi organi di informazione riportano la notizia dell’avvenuta archiviazione dell’inchiesta giudiziaria a carico di don Lelio Cantini, parroco della chiesa della Regina della Pace di Firenze dal 1973 al 2005 (v. Adista n. 29, 65 e 67/07, 37 e 75/08, 39 e 97/10). Il Pm fiorentino Paolo Canessa motiva la sua richiesta al Gip spiegando che le violenze sessuali «ci sono state e sono gravi», che si sono protratte per circa vent’anni nel silenzio assordante dei vertici della Chiesa fiorentina, ma che i reati sono da considerarsi prescritti e che in molti casi mancano le relative querele. I fatti risalgono in effetti a molti anni prima, ovvero al periodo fra il 1973 e il 1987, ma le vittime, per lo più bambine e adolescenti che all’epoca degli abusi avevano fra i 10 e i 17 anni, hanno trovato la forza di denunciare all’autorità ecclesiastica i misfatti di don Lelio solo nel 2004. Nel corso di tutta la vicenda, la Curia fiorentina, nelle persone dell’ex arcivescovo Ennio Antonelli e del suo ausiliario Claudio Maniago (quest’ultimo allievo e «pupillo» di don Cantini), ha sempre osservato un atteggiamento volto ad occultare la verità e ad evitare le ripercussioni mediatiche. Don Cantini verrà infatti ridotto allo stato laicale solo nell’ottobre del 2008, quando il caso era ormai trapelato sugli organi di informazione nazionali. Nell’inchiesta sull’ex parroco, era stato coinvolto ad un certo punto anche lo stesso Maniago, accusato di aver preso parte nel 1996 ad un festino sadomaso nel quale sarebbe stato abusato un giovane toscano. Sebbene fossero emerse nel corso dell’indagine delle conferme rispetto a quanto riferito dal testimone, la mancanza di una querela, spiegava Canessa nella richiesta di archiviazione, aveva impedito alla procura di procedere contro Maniago. Quest’ultimo è stato confermato nel suo incarico dal card. Giuseppe Betori, succeduto ad Antonelli alla guida dell’arcidiocesi di Firenze nel settembre del 2008. Don Lelio Cantini è morto il 15 febbraio del 2012. Il cocainomane e il rockettaro
È del maggio 2011 anche l’arresto di don Riccardo Seppia, parroco della chiesa di Santo Spirito a Sestri Ponente. Ad incastrarlo è un’indagine sul traffico di cocaina effettuata dal Nucleo Antisofisticazioni e Sanità dei carabinieri. Le intercettazioni evidenziano infatti come don Riccardo fosse al centro di un giro di spaccio e di prostituzione minorile. Lo scorso 13 febbraio si è svolta la prima udienza del processo, con rito abbreviato, ma il dibattimento è stato aggiornato a fine marzo.
Giugno 2011: don Jesus Vasquez, sacerdote peruviano cinquantacinquenne, ex parroco di San Nicola Manfredi in provincia di Benevento, viene condannato in primo grado a 7 anni e al pagamento di una provvisionale di 7.500 euro per ciascuna delle parti civili. Il giudice lo riconosce colpevole di aver costretto due ragazzi, uno di 13 e l’altro di 14 anni, a subire atti sessuali. Dopo che i genitori delle vittime lo avevano denunciato all’autorità giudiziaria, la curia arcivescovile lo aveva rimosso tanto dall’incarico di parroco quanto da quello di insegnante di religione in una scuola media della città.
Il 23 giugno 2011, la Cassazione chiede un nuovo processo di appello per don Marco Baresi, ex vicerettore del seminario diocesano di Brescia, già condannato in secondo grado a 7 anni e 6 mesi (v. Adista n. 65/08 e 58/09). Per gli avvocati della difesa, tuttavia, si tratta di una vittoria a metà: la suprema corte riconosce infatti la colpevolezza di don Marco, accusato di violenza sessuale ai danni di un suo ex allievo e di detenzione di materiale pedopornografico, per il periodo precedente il dicembre del 2004. Per i fatti successivi a quella data, i magistrati ritengono invece necessario un supplemento di inchiesta e pertanto decidono di rinviare il processo ad altra sezione della corte di appello di Brescia. Tanto dopo il primo arresto, avvenuto il 26 novembre 2007, quanto dopo le condanne in primo e secondo grado, al sacerdote non era mai mancato l’appoggio della diocesi e del gruppo degli «amici di don Baresi», convinti sostenitori dell’innocenza del religioso. Quello a carico di don Marco Baresi non è l’unico processo per pedofilia clericale che vede impegnata la Corte di Cassazione nell’estate del 2011.
A metà luglio, i giudici del “palazzaccio” esaminano il caso di don Marco Dessì, ex missionario della Confraternita Gesù Divino Operaio accusato di abusi sessuali su alcuni bambini del Nicaragua. Anche in questo caso, il reinvio del procedimento in appello ha a che fare con singoli aspetti della sentenza di secondo grado che gli alti magistrati ritengono inadeguati, ma non mette sostanzialmente in discussione l’impianto accusatorio. La lunga e complessa vicenda giudiziaria di don Dessì aveva preso le mosse, nel 2006, dalla denuncia delle associazione umanitarie «Rock no war» e «Solidando», che avevano raccolto, con concerti e manifestazioni, fondi per la missione «Betania» di Chinandega, gestita da don Marco. Alle due associazioni erano giunte voci inquietanti sul comportamento del sacerdote, tanto che un volontario si era recato in Nicaragua e aveva raccolto su un dvd le denunce filmate di sei ragazzini. Sul computer del religioso erano state in seguito scoperte 1.440 immagini pedopornografiche. Don Dessì è stato dimesso dallo stato clericale nel febbraio del 2010. Cercasi referenziatissimi, preferibilmente condannati
Settembre 2011, Brindisi: la stampa locale riporta la notizia secondo cui all’interno dell’ospedale «Antonio Perrino» lavora come cappellano un prete condannato per pedofilia nel 1992. All’epoca il religioso era stato ritenuto colpevole di atti di libidine violenta nei confronti di due bambine e, dopo un periodo di custodia cautelare, gli era stata comminata una pena inferiore ai due anni, motivo per cui aveva in seguito potuto beneficiare della condizionale. Il sacerdote era stato assunto nel 2010 dalla Asl su indicazione della diocesi per effettuare l’assistenza spirituale ai malati.
Sempre nel settembre 2011, il Pm di Lecce Stefania Mininni richiede e ottiene dal Gip l’archiviazione dell’inchiesta su don Stefano Rocca, l’ex parroco di Ugento da sempre in prima fila nel chiedere giustizia per l’assassinio del consigliere provinciale dell’Idv Peppino Basile (v. Adista n. 75/08). Don Rocca, amico ed estimatore di Basile e del suo impegno politico a favore della legalità, era stato accusato di aver avuto dei rapporti sessuali con quattro minorenni che frequentavano la sua parrocchia. Nel corso di un lungo interrogatorio, aveva ammesso i fatti, sostenendo però che si era trattato di rapporti consenzienti e fra maggiorenni. La richiesta di archiviazione è motivata dal magistrato leccese con la mancanza della condizione di procedibilità: i quattro ragazzi implicati non avevano mai sporto querela.
Il 19 ottobre del 2011, la quarta sezione della Corte di appello di Palermo conferma la condanna a 6 anni e 6 mesi inflitta in primo grado a don Paolo Turturro, ex parroco della chiesa di Santa Lucia nel capoluogo siciliano (v. Adista nn. 63/93 e 35/06). Il sacerdote, che per anni è stato un prete antimafia riconosciuto in città, venne accusato di molestie da due minori che frequentavano la chiesa. I fatti si sarebbero verificati fra il 2000 e il 2001, ma don Paolo, lontano parente dell’attore italoamericano John e fondatore dell’associazione «Dipingi la Pace», si è sempre dichiarato innocente. In un primo momento, il religioso era stato allontanato dalla provincia di Palermo, per poi tornare in città nel 2006 in qualità di cappellano ospedaliero. Dopo la sentenza di secondo grado, i suoi legali hanno annunciato di voler fare ricorso in Cassazione.
Circa un mese dopo la condanna in appello di don Turturro, è invece il turno di don Luciano Massaferro, ex parroco di San Giovanni e San Vincenzo ad Alassio, in provincia di Savona. Anche don Luciano affronta il secondo grado di giudizio e viene riconosciuto colpevole di molestie nei confronti di una sua ex chierichetta dodicenne, che aveva rivelato gli episodi durante un colloquio con gli psicologi dell’ospedale Gaslini. Quando, nell’aula della Corte di Appello del Tribunale di Genova, il presidente Giorgio Odero legge la sentenza di condanna a 7 anni e 8 mesi, gli amici e i supporter di «don Lu» scatenano il putiferio. Il religioso, del resto, aveva sempre potuto contare sul sostegno, oltre che di una parte dei parrocchiani, anche dell’allora sindaco di Alassio, il pidiellino Marco Melgrati, e della Curia savonese, che nei giorni successivi all’arresto aveva scatenato un duro attacco contro i magistrati dalle pagine locali di Avvenire.
Cassazione mon amour Ha assunto invece contorni surreali, nel gennaio del 2012, la vicenda giudiziaria di don Mauro Stefanoni, ex parroco di Laglio, in provincia di Como, riconosciuto in primo e secondo grado colpevole di aver abusato di un sedicenne con lieve disabilità mentale (v. Adista n. 35/06 e 41 e 65/08 e 46/10). La condanna a 8 anni di reclusione inflittagli dalla Prima Corte di Appello di Milano doveva essere infatti esaminata dalla Cassazione già ai primi di ottobre del 2011, ma quel giorno i giudici romani si erano trovati in agenda ben 28 cause, riuscendo ad esaminarne solo la metà. Tutto rinviato al 20 gennaio, quando però gli avvocati difensori di don Mauro hanno fatto appello ad un cavillo burocratico per ottenere un nuovo rinvio: uno di loro, Massimo Martinelli, aveva infatti ricevuto la notifica della convocazione in Cassazione con soli undici giorni di anticipo, e non un mese prima come previsto dalla legge. La nuova udienza, che stavolta dovrebbe essere definitiva, è stata fissata per il prossimo 22 maggio. In seguito all’esplosione dello scandalo, don Mauro era stato prima spostato da Laglio a Colico, e poi anche da quest’ultima località, dopo esser stato spogliato di ogni incarico pastorale. Il processo canonico contro di lui, avviato dopo la sentenza di primo grado, è stato in seguito sospeso in attesa del pronunciamento della Cassazione. Nel corso della lunga vicenda giudiziaria di Stefanoni, l’ex arcivescovo di Como, mons. Alessandro Maggiolini, era stato temporaneamente iscritto nel registro degli indagati dalla procura con l’accusa di favoreggiamento. La sua posizione è stata poi archiviata.
Torniamo ora a Savona. Il 4 febbraio 2012, don Nello Giraudo, prete pedofilo reo confesso, più volte denunciato pubblicamente dal portavoce della Rete L’abuso Francesco Zanardi (egli stesso vittima di Giraudo, v. intervista allegata), patteggia una pena di un anno di reclusione con la condizionale per aver molestato un giovane scout nel 2005. Al sacerdote savonese vengono in realtà attribuiti diversi altri episodi di abuso, ma si tratta di fatti verificatisi tempo addietro, caduti in prescrizione. Il 9 febbraio viene notificata inoltre la richiesta di archiviazione del procedimento penale nei confronti di mons. Dante Lafranconi, ex vescovo di Savona accusato di non aver agito per evitare che don Nello reiterasse i suoi crimini (v. Adista n. 7/12). Anche in questo caso, l’archiviazione non è motivata dal merito dei fatti contestati al prelato, ma dal raggiungimento dei termini di prescrizione. Dieci giorni dopo, tuttavia, la Rete L’abuso deposita nuovi oggetti di indagine a carico di Lafranconi e un’ulteriore querela da parte di una vittima già sentita in passato come teste dai magistrati. L’udienza durante la quale il Gip Fiorenza Giorgi deciderà se accogliere o meno la richiesta di archiviazione presentata dal Pm si svolgerà probabilmente ai primi di maggio.
«Io ti salverò» Un ulteriore caso di pedofilia esploso in questi primi mesi dell’anno è quello riportato dal mensile siciliano S (25 febbraio). Al centro dell’inchiesta di Andrea Cottone e Antonio Condorelli è un sacerdote della diocesi di Acireale, di cui ancora non si conosce l’identità. I due giornalisti, nel realizzare il servizio, si sono avvalsi della collaborazione di un uomo in passato abusato dal prete. Dopo anni, la vittima si è infatti presentata di fronte al religioso nascondendo una piccola telecamera: nel colloquio fra i due, che può essere facilmente ascoltato su internet, il prete ammette i rapporti sessuali e afferma di essersi comportato in quel modo per «liberare» il ragazzino. Pochi giorni dopo che la notizia era diventata di dominio pubblico, il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, ha ordinato al sacerdote di «allontanarsi dalla sua sede» per «riflettere e ritirarsi in meditazione», mentre la procura della Repubblica di Catania ha aperto un fascicolo sui fatti portati alla luce da S. A giorni, l’associazione La Caramella Buona e l’uomo molestato dal prete di Acireale dovrebbero tenere una conferenza stampa durante la quale sveleranno tanto l’identità della vittima, quanto quella del prete sotto accusa.
L’ultimo caso ci riporta in provincia di Como, dove lo scorso 7 marzo don Marco Mangiacasale, ex parroco quarantottenne di San Giuliano, è stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale continuata nei confronti di una ragazzina, oggi sedicenne, che frequentava il suo oratorio. I fatti risalirebbero al 2008, quando fra don Marco, in seguito diventato economo della diocesi, e la minore (aveva all’epoca 13 anni) era cominciata una vera e propria relazione sentimentale. La frequentazione fra i due era poi proseguita per tre anni a base di sms e email, incontri periodici nell’abitazione del sacerdote, scambi di baci e di effusioni. A metà febbraio, tuttavia, la vittima avrebbe confidato al nuovo parroco, al momento della confessione, il proprio segreto. Don Roberto Pandolfi (questo il nome del sacerdote chiamato a sostituire Mangiacasale) avrebbe poi convinto l’adolescente a rendere partecipi della vicenda i suoi genitori, dai quali sarebbe poi partita la denuncia. Il 12 marzo scorso, nel corso di un interrogatorio di fronte al giudice per le indagini preliminari Maria Luisa Lo Gatto, don Marco ha confermato tutti i fatti che gli sono stati contestati dall’accusa.
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