La chiesa di Cantini, le scusa di Betori e il danno inflitto alla città intera
Postato lunedì 6 dicembre 2010 e inserito in Istituzioni totali, Laicità, Legalità. Puoi seguire i commenti a questo articolo attraverso i feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito. Stampa questo articolo solo se necessario
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di Enzo Mazzi
La visita pur tardiva dell’arcivescovo di Firenze, monsignor Giuseppe Betori, domenica scorsa, alla chiesa della Regina della pace, che fu per anni teatro delle aberrazioni pedofile di don Lelio Cantini, ha un significato che va oltre la contingenza e investe la vita della diocesi fiorentina e interessa la città. Tutta l’omelia del prelato gira intorno alla sofferenza della parrocchia a causa degli abusi di don Cantini. Ma è la diocesi intera e la stessa società civile che in qualche modo sono state abusate, sia perché i minori ai quali è stata fatta violenza sono parte integrante della città, un po’ figli di tutti noi, sia perché la «visione errata della Chiesa» di don Cantini (così definita da Betori) è stata fatta propria dalla gerarchia che ha guidato la diocesi fiorentina dopo il cardinale Elia Dalla Costa. Insomma don Cantini non è solo il prete pedofilo; è anche il parroco rigidamente tradizionalista sostenuto in questo dalla Curia.
Gli anni del Concilio e quelli immediatamente successivi hanno visto ovunque ma specialmente a Firenze una forte polarizzazione fra la resistenza del tradizionalismo autoritario e la spinta riformatrice aperta verso il positivo della modernità. Papa Giovanni concepì il Concilio proprio per rompere il centralismo romano, per far tacere i «profeti di sventura» e quindi liberare le esperienze conciliari delle periferie e dare spazio ai «segni dei tempi». E’ emblematico lo scontro durissimo che esplose nell’assise dei vescovi riuniti in San Pietro su alcuni aspetti centrali della riforma conciliare. Papa Giovanni a un certo punto s’impose sostenendo le istanze rinnovatrici di vescovi come i cardinali Giacomo Lercaro di Bologna, Frings di Colonia, Liènart di Lilla, Alfrink di Utrecht e sconfessando praticamente lo schieramento dei vescovi conservatori. Questi erano organizzati dall’arcivescovo Lefebvre in una vera e propria «compagine tradizionalista» all’interno del Concilio, che si dette anche un nome: «Coetus Internationalis Patrum», con in testa il potente cardinale Ottaviani, composta da 250 prelati fra cui l’arcivescovo di Firenze Ermenegildo Florit, il cui obiettivo conclamato era quello di trasformare il Concilio in un evento di semplice colore senza reali aperture, anzi con la conferma delle rigidezze dogmatiche e di tutte le condanne.
Lo scontro che si verificò fra i vescovi riuniti in Concilio si ripropose poi in tutta la realtà ecclesiale. Nel 1967 una decina di parroci fra cui don Cantini scrissero una lettera al cardinale Florit in cui ponevano un perentorio aut-aut: «O loro o noi: se non mette fuori loro, andiamo fuori noi». Chi erano questi «Loro» da metter fuori? I parroci delle esperienze conciliari, fra cui Don Bruno Borghi, prete operaio, don Luigi Rosadoni della Nave a Rovezzano, don Fabio Masi del Vingone, don Sergio Gomiti della Casella, noi dell’Isolotto, altri sulla stessa linea pastorale e sociale e, a livello di memoria perché era morto da poco, lo stesso don Lorenzo Milani. Fu scelta la visione autoritaria e chiusa della Chiesa di don Cantini & confratelli, che s’ispirava alla visione e alla prassi della «compagine tradizionalista» all’interno del Concilio, mentre l’alternativa conciliare fu colpita in vario modo. La città intera fu ferita e la sua anima creativa repressa se non annullata. Il «lungo inverno», di cui Betori si rammarica, è stato voluto, la diocesi è stata svuotata dalle esperienze conciliari alternative al fondamentalismo di cui don Cantini era uno degli araldi e i nefasti veleni di quel tradizionalismo autoritario si propagano fino ad oggi in questo appiattimento e grigiore di una religiosità ritualistica senza profezia, dove solo alcune esperienze di spirito conciliare si ritagliano nicchie costrette alla autoreferenzialità. E’ importante che il vescovo chieda finalmente scusa per l’abuso dei minori ma non basta.
Non sarebbe doverosa una pubblica autocritica per la scelta, imposta alla diocesi e alla città intera, della «visione errata della Chiesa» di don Cantini? E non sarebbe necessaria una conversione concreta di rotta che recuperi lo spirito del Concilio sulla linea già impostata dal cardinale Silvano Piovanelli e risarcisca finché è possibile il danno inflitto alla Chiesa fiorentina, alle persone colpite e alla città intera?
http://www.altracitta.org/2010/12/06/la-ch…a-citta-intera/
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