7 aprile 2010
Verona: 25 sacerdoti e un vescovo accusati di violenze su ex allievi sordi, ma i reati non sono più perseguibili
di Vania Lucia Gaito
L’agghiacciante vicenda dell’Istituto Provolo per sordi, di Verona, sfociata nella testimonianza pubblica di 67 ex allievi che denunciano le violenze sessuali subite, rievoca il caso americano di padre Murphy, venuto recentemente alla ribalta delle cronache.
Testimonianze precise, che coinvolgono 25 sacerdoti e un vescovo, tutti citati per nome. Il vescovo è monsignor Giuseppe Carraro, vescovo di Verona morto nel 1981, per il quale è in corso un processo di beatificazione. Dagli anni ’50 fino al 1984, una sequenza di orrori. Eppure non ci saranno indagini e processi per i sacerdoti coinvolti, neppure per quelli ancora in vita: è intervenuta la prescrizione e i reati non sono più perseguibili. La legge italiana prevede infatti tempi precisi entro i quali i procedimenti per abusi sessuali ai danni di minori possono essere perseguiti: 10 anni.
“La prescrizione decorre dalla data in cui viene consumato il reato”, afferma l’avvocato Paola Rubino, difensore di parte civile nel processo a carico di padre Turturro (sacerdote antimafia di Palermo, accusato nel 2003 di aver compiuto abusi sessuali ai danni di alcuni bambini della sua parrocchia), conclusosi con la condanna in primo grado a sei anni e mezzo. “Quella della prescrizione è una problematica legata a tutti i tipi di reato, in particolar modo i tempi diventano problematici quando si parla di abusi sessuali. Si tratta di reati consumati con modalità particolari, spesso la vittima è già di suo psicologicamente debole, perché viene da situazioni personali o familiari problematiche. Si instaura poi tra abusante e abusato un meccanismo simile a quello del plagio. Non di rado occorre parecchio tempo, anche anni, prima che la persona offesa sia capace di denunciare l’abuso”.
Come nel caso dei bambini sordi dell’istituto Provolo, come per i bambini delle scuole irlandesi del rapporto Ryan, come per i casi americani, trascorrono spesso anni. Molto però dipende dalla volontà politica di perseguire realmente certi crimini. Negli Stati Uniti, per esempio, lo stato della California approvò una legge che creava una finestra di un anno durante la quale potevano essere presentate denunce senza limiti retroattivi di tempo, in modo che anche abusi commessi decenni prima potessero essere perseguiti e risarciti. In Italia, al contrario, spesso non si riesce ad arrivare a sentenza definitiva prima che siano trascorsi i fatidici dieci anni della prescrizione. Come nel caso di don Giorgio Carli che, condannato in appello a sette anni e mezzo, ha visto prescriversi il reato prima della fine del processo in Cassazione. “Non è soltanto un problema legato alla tardività delle denunce” prosegue l’avvocato Rubino. “I fattori concomitanti sono molti, le indagini che si dispiegano in lunghi archi temporali, il fatto che molti magistrati siano oberati di lavoro, e poi ovviamente i tempi tecnici tra l’avviso di conclusione delle indagini, il rinvio a giudizio, l’udienza preliminare e tutti quei passaggi previsti dalla procedura. Ovviamente si tratta di un problema che investe sia il denunciante che il denunciato: nel primo caso perché potrebbe intervenire la prescrizione e il reato non sarebbe più punito, nel secondo perché se l’imputato non è colpevole dei reati a lui ascritti la sua innocenza dovrebbe essere riconosciuta il prima possibile”.
Spesso le vittime non denunciano perché non hanno la certezza che un eventuale processo si concluda nei termini previsti dalla legge, quindi, ma anche perché temono il giudizio sociale. “Gran parte della società è impreparata, incapace di fronteggiare l’abisso oscuro della pedofilia. Certo, si affronta come tematica astratta, ma quando si ‘incarna’ nel vicino di casa, nel collega di lavoro o nel proprio parroco non si riesce più a coniugare l’immagine pubblica di quella persona con le accuse. E’ uno dei motivi per cui la società si schiera spesso al fianco dell’accusato, non della vittima, emarginando chi, con grande difficoltà, è riuscito a denunciare quanto subito” afferma Massimiliano Frassi, presidente dell’associazione antipedofilia “Prometeo”, che da anni chiede l’allungamento dei tempi di prescrizione del reato, se non che la prescrizione sia del tutto abolita. Frassi è stato fra i primi a schierarsi a sostegno delle vittime della pedofilia clericale e a rompere il muro del silenzio, organizzando già nel 2001 una conferenza con l’associazione “Snap”, che riunisce le vittime statunitensi dei preti pedofili.
“Come altre associazioni, anche noi abbiamo ricevuto diverse segnalazioni di vittime di abusi da parte di religiosi, ma in particolare in questi casi ci viene chiesto di aiutare la vittima ma non si vuole sporgere denuncia. Quando si tratta di preti accusati di abusi sessuali, si arriva a situazioni veramente difficili, per la tendenza delle realtà locali a chiudersi in difesa dei propri sacerdoti”. Resta però aperta la possibilità di un risarcimento dei danni attraverso una causa civile: un danno infatti può manifestarsi anche parecchio tempo dopo, soprattutto laddove risulti di ordine soggettivo. Ma non serve assolutamente a condannare i colpevoli e, soprattutto, a tenerli lontani dai bambini.
Da il Fatto Quotidiano del 7 aprile
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2467772&yy=2010&mm=04&dd=07&title=chiesa_e_pedofilia_in_troppi_s
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