Da oltre quattro anni, l’alta gerarchia vaticana sarebbe al corrente di un’inchiesta a carico di un prete, Joseph Palanivel Jeyapaul, accusato di aver abusato di una ragazzina di 14 anni nello Stato americano del Minnesota e nonostante questo ancora in attività pastorale in India: la rivelazione, ancora una volta, arriva dall’edizione on-line del New York Times, che cita quanto è emerso dal lavoro degli inquirenti.
Le accuse formali della Procura americana risalgono al 2007: da allora, le autorità giudiziarie hanno cercato di ottenere l’estradizione di Jeyapaul, ma il sacerdote, che all’epoca si trovava già in India, ha negato ogni responsabilità, sottolineando di non avere «nessuna intenzione» di rientrare negli Usa per essere processato.
Il suo attuale superiore, il vescovo Almaraj, della diocesi di Ootacamund, nell’India meridionale, ha fatto sapere che il prete lavora in un ufficio che organizza l’attività dei docenti di alcune scuole cattoliche, senza entrare in contatto con minori.
Nel maggio del 2006, l’arcivescovo Angelo Amato, all’epoca segretario del cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva scritto a Victor Balke, vescovo del Minnesota, per rassicuralo sul fatto che il presule indiano era stato «istruito a dovere» e che avrebbe sorvegliato Jeyapaul in modo che, scrive il prestigioso quotidiano americano, «non sarebbe stato un rischio per i minori e non avrebbe creato scandalo»; Balke rispose subito a Levada, esprimendo comunque tutto il suo allarme: «È difficile per me quantificare il danno che quest’uomo ha fatto alla dignità del sacerdozio».
Secondo i documenti del procuratore, la ragazzina accusò il prete di avere minacciato di uccidere la sua famiglia se non fosse andata con lui in canonica, dove venne costretta a fare sesso orale.
Il vescovo Almaraj ha detto di non avere mai discusso con il Vaticano la possibilità che questo sacerdote ritornasse negli Usa per affrontare il processo: «Nessun passo è stato intrapreso in tal senso, nessuno me ne ha parlato e nessuno me l’ha chiesto», ha detto al Nyt il vescovo Almaraj. Nel 2005, quando s’incominciò a parlare del suo caso, il sacerdote tornò a casa in India per andare a trovare la madre malata: «Lei stessa – ha dichiarato Jeyapaul – mi disse di rimanere in India. Lo stesso fece il vescovo del Minnesota. esortandomi a non tornare». Ma è lo stesso vescovo Balke a scrivere nuove lettere preoccupate sia a Levada sia a padre Pietro Sambi, nunzio apostolico a Washington: «Spero che per il bene della Chiesa siate capaci di trovare una soluzione rapida a questo caso». Una settimana dopo, stando a quanto pubblicato dal Nyt, la risposta di Sambi al vescovo Balke : «Ti assicuro che la documentazione è già stata inoltrata alla Santa Sede». A quel punto non si sa cosa sia accaduto. Fatto sta che Jeyapaul si trova ancora in India.
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