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Home Triveneto

La Corte di Cassazione: «Vittima credibile»

Redazione Web by Redazione Web
25 Maggio 2009
in Triveneto
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BOLZANO. Una conferma di tutte le argomentazioni che hanno portato la Corte d’appello a condannare don Giorgio Carli. Questo si legge nella motivazioni della sentenza dei giudici della Cassazione. Don Giorgio non sconterà un giorno di carcere, poichè il reato è prescritto. Resta l’aspetto risarcitorio, 760 mila euro che il sacerdote deve pagare alla parte lesa. «Una sentenza di rilievo nazionale – commenta Gianni Lanzinger, avvocato di parte civile – che ammette per la prima volta il disturbo da stress post traumatico, fenomeno che comporta la rimozione di un ricordo e la riemersione tardiva, anche a distanza di anni». Ora si apre la partita risarcitoria: «Mi auguro che chi fino ad oggi ha difeso a spada tratta l’imputato non si faccia da parte», dice Lanzinger riferendosi evidentemente alla Curia. Improbabile che don Giorgio possa disporre di 760 mila euro: «Noi notificheremo gli atti, come abbiamo sempre fatto, anche alla Curia».  Nelle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione vengono confermate le argomentazioni che hanno portato la Corte d’appello a condannare don Giorgio, rovesciando la sentenza di primo grado. Ecco alcuni passaggi-chiave della sentenza della Cassazione.

L’amico della vittima. Uno dei punti più discussi del processo contro don Carli è stata la deposizione dell’amico della parte lesa. Secondo l’accusa, lui stesso una vittima delle attenzioni morbose del sacerdote durante gli incontri hard nella canonica, durati dal 1989 al 1994. Il giovane, in aula, ha detto di non aver assistito alle violenze contro l’amica, contraddicendosi rispetto a ciò che aveva precedentemente riferito al pubblico ministero. I giudici della Corte d’appello avevano ritenuto il testimone inattendibile, interpretazione contestata dalla difesa. «L’affermazione dei giudici di merito – si legge nelle motivazioni della Cassazione – che le dichiarazioni dello X non sono in alcun modo idonee “ad inficiare l’attendibilità della persona offesa, che al contrario ha reso deposizione estremamente lunga e al contempo lucida, lineare e coerente”, si palesa assolutamente immune da vizi logici e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità».  Il prete e la catechista. I giudici della Cassazione hanno ritenuto esaustive anche i ragionamenti che hanno portato la Corte d’appello a ritenere inattendibili le testimonianze di Adriana Culati Vigni, ex catechiesta della vittima, e di don Gabriele Pedrotti, all’epoca dei fatti diretto superiore di don Giorgio (ed ex vicario generale della Curia). Pedrotti e Culati Vigni erano legati da profonda ed intima amicizia. «La valutazione della loro inattendibilità – dicono i giudici nella motivazione della sentenza – è stata desunta dai giudici di merito dalla contraddittorietà e incoerenza delle dichiarazioni rese dagli stessi in dibattimento… dall’ambiguità del loro atteggiamento processuale, dall’interesse personale a tenere nascosta la vicenda nella quale erano in certa misura coinvolti per la posizione istituzionale e di responsabilità rispettivamente rivestita.

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Sicché – si legge ancora – anche sul punto la conclusione dei giudici di merito che “le loro dichiarazioni contraddittorie non possono essere ritenute idonee al fine di smentire o intaccare la deposizione coerente ed intrinsecamente attendibile della persona offesa”, si palesa fondata su argomentazioni assolutamente esaustive ed immuni da vizi logici». Una delle argomentazioni della difesa di don Carli, prendeva spunto da una telefonata tra Pedrotti e la catechista, intercettata dagli inquirenti. I due parlavano in termini dubitativi delle accuse contro don Carli, secondo la difesa la prova che non erano al corrente di quello che è successo ormai vent’anni fa. Non sono d’accordo i giudici: «Il carattere dubitativo delle espressioni utilizzate dagli interlocutori a proposito delle accuse formulate contro l’imputato, peraltro con una decisa propensione per la loro veridicità, ben può trovare giustificazione nel fatto che a suo tempo entrambi non avevano dato pieno credito alle accuse della minore o nell’inconsapevolezza della reciproca conoscenza delle stesse».

I diari. Violenze frequenti e durate per anni. Ma nei diari della vittima non c’era traccia. Anzi, la parte lesa non risparmiava nelle sue annotazioni quotidiane parole di affetto per don Giorgio Carli. Uno dei punti più complessi del processo contro il sacerdote. Per l’accusa (supportata dalle perizie degli esperti) la prova dello «sdoppiamento» vissuto dalla parte lesa, incapace di sopportare a livello cosciente il peso delle violenze subite. «E’ stato evidenziato dai giudici di merito a proposito dei diari tenuti dalla X negli anni 1990-1992 – scrivono i giudici della Cassazione – che gli stessi sono stati prodotti da quest’ultima, che è riuscita a trovarli, malgrado il tempo trascorso, dimostrando così la sua piena disponibilità a contribuire all’accertamento della verità, “a fronte del comportamento dell’imputato, le cui agende e taccuini degli appuntamenti riguardanti gli anni interessati dai fatti non sono mai comparsi in Aula”.

La sentenza, sulla base delle dichiarazioni del consulente, ha affermato, da un lato che dai diari si evince una accentuata sessualizzazione della bambina, inusuale per la sua età, dall’altro che il “diario evidenzia chiaramente uno sdoppiamento del vissuto di X, dividendosi in alcune pagine infantili ed alcune altre con una marcata sessualizzazione delle immagini incollatevi”. Quanto all’assenza nei diari di qualsiasi riferimento al vissuto concernente le violenze sessuali subite ad opera del Carli, la sentenza osserva che la stessa trova la sua giustificazione nel rilevato sdoppiamento della personalità della minore, causato dall’esperienza traumatica e nell’esigenza della X di evitare che anche attraverso la scrittura potesse riemergere il ricordo delle violenze subite». Secondo la Cassazione la sentenza ha evidenziato l’estrema accuratezza delle indagini preliminari che, «attraverso le intercettazioni telefoniche disposte dalla parte lesa, hanno consentito di accertare che la X è stata sempre esclusivamente animata dall’interesse a far emergere solo la verità e di rendere testimonianza assolutamente conforme al vero». (g.f.p.)

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